Il blog di Carpenedo

Il blog di Carpenedo
La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Voglia di protagonismo gratuita

Inserito il 17 Ottobre 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

Voglia di protagonismo gratuita: è la gamba sulla quale andiamo zoppi un po’ tutti. Ci piacerebbe che, senza tanto sforzo, ottenessimo un buon risultato negli studi, quel posticino in carriera cui tanto aneliamo, l’ammissione al concorso che ci aprirebbe parecchie porte, un piccolo successo per avere un trampolino di lancio verso qualcosa di più consistente e via dicendo. Invece la vita, nella quasi totalià dei casi, ci chiede sacrificio, determinazione e costanza, lasciandoci il più delle volte, a bocca asciutta o non completamente soddisfatti. Tuttavia, l’impegno non può stemperarsi, altrimenti otterremmo ancor meno: la gratuità non è quasi mai all’ordine del giorno e anche le botte di fortuna lasciano il tempo che trovano. Basti vedere la fine che fanno certe somme vinte alla lotteria, specie se cadono in mani sbagliate, o i soldi accumulati con investimenti fin troppo facili. Sono aspetti che evidentemente non hanno confini temporali o territoriali, se già ai tempi di Gesù e fra i suoi stessi apostoli serpeggiavano atteggiamenti di tal fatta che tendevano ad una sistemazione di prestigio, non in questa vita, ma addirittura nell’altra. Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, cullavano sogni di gloria e anelavano a sedersi nel Regno l’uno alla destra e l?altro alla sinistra del Salvatore. Le regole che valgono per questo mondo pieno di limiti, però, sono ancor più richieste per il mondo perfetto che ci riserva la vita eterna. Li aveva appena intrattenuti il Maestro sulle difficoltà di superare l’ingresso definitivo, con l’episodio del giovane ricco (v/il vangelo di domenica scorsa), per cui è stato perentorio e conseguente nel rispondere oggi: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo..?”. Era ovvia la risposta entusiasta dei due pretendenti: “Lo possiamo”, ma era chiaro che non sapevano ciò che effettivamente li avrebbe attesi. Senza nulla togliere alla veridicità della loro disponibilità, e il Messia gliene dà atto, l’occasione è buona per riprendere l?idea non tanto di un eventuale martirio eroico in difesa della fede, quanto di una fede espressa giorno per giorno nella carità, nel servizio agli altri, nei continui gesti di disponibilità, ad imitazione di Gesù stesso, che non è venuto per farsi servire, bensì per servire e dare la propria vita in riscatto per tutti. Quanto poi a “prenotare” il posto al banchetto celeste, è un’altra versione di protagonismo gratuito. Lasciamo fare al Padre e accontentiamoci di esserci.

Eh sì, la sapienza è un problema…

Inserito il 10 Ottobre 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

Eh sì, la sapienza è un problema che da un paio d’anni circa mi assilla sempre di più, a mano a mano che le strampalate teorie dei “no-tutto” dilagano nei mass media e nei social. Non che prima mi toccasse meno, ma le impennate erano rade, altalenanti e più circoscritte; soprattutto le percentuali rientravano nell’abituale incidenza. Oggi investono livelli culturali e sociali fino a ieri impensabili: medici, insegnanti, forze dell’ordine, financo cardinali; lasciamo perdere i politici il cui strabismo è inevitabile: un occhio è rivolto alla verità e uno alla convenienza, con accurata attenzione a non sbilanciarsi troppo su quello che si pensa effettivamente. A questo punto ha ragione da vendere Salomone, che a suo tempo la preferì di gran lunga alla ricchezza. Non occorre essere delle volpi per accorgersi di quanta labilità siano caratterizzati i beni materiali e di come invece, in tutti i campi, la sapienza sia un volano che favorisce l’evoluzione di qualsiasi situazione. Tutte le altre doti impallidiscono di fronte a essa e comunque per essere definite tali non ne possono prescindere. Vale la pena di rileggersi con molta calma la prima lettura di oggi e confrontarla con tante scelte, iniziative, investimenti, dagli esiti positivi o negativi, e magari con qualche stralcio delle teorie sopra citate e non potrà esserci dubbio alcuno che l’insipienza è la peggior iattura. Ce ne offre uno spunto anche il vangelo con il fin troppo conosciuto episodio del giovane ricco, il quale si rivolge a Gesù non perché fosse un dissoluto o uno scansafatiche, bensì per dare alla sua vita un senso più pregnante, più stimolante. Non se l’è sentita, però, di privarsi dell’agio che solo le sue ricchezze riteneva gli garantissero. Gli mancava la sapienza della mente e più ancora quella del cuore per capire la portata dell’investimento che il Messia gli proponeva. Da qui deriva l’ovvia conclusione: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno di Dio. È un’amara constatazione, per tre motivi: il primo che naturalmente un giorno dovremo comunque lasciare qui tutto ciò che abbiamo; il secondo che non avremo saputo impegnare le risorse in disponibilità per garantirci la vita eterna; terzo il non aver considerato che investirle secondo le indicazioni del Maestro ci garantisce fin da subito il centuplo. Tanto vale anche per i nostri piccoli egoismi, le idee, le convinzioni e le sicurezze cui ci attacchiamo. Imitiamo Salomone nell’implorare da Dio la sapienza del cuore e della mente.

Settimana ricca di riferimenti

Inserito il 3 Ottobre 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

Settimana ricca di riferimenti quella che stiamo attraversando: mercoledì 29 i tre Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, il primo anche patrono di Mestre; giovedì 30 San Girolamo, dottore della Chiesa, un pezzo da 90 e co-patrono di Mestre, al quale è dedicata la nostra chiesa più vecchia; l’1 ottobre Santa Teresa di Gesù Bambino, altro dottore della Chiesa e patrona delle missioni, senza mai essersi mossa dal convento; il 2 i Santi Angeli custodi e quindi festa dei nonni, il 4 san Francesco d’Assisi, patrono d?Italia; il 5 Santa Faustina Kowalska, tanto cara a Giovanni Paolo II; il 7 la Beata Vergine del Rosario. Non c’è che dire, un bel florilegio di esempi di come i disegni del Padre si muovano in direzioni ben diverse dalle nostre e dalla nostra logica. Ciò che accomuna la vita di tutti i santi, comunque, è l’umiltà e l’accettazione “a scatola chiusa” del progetto di Dio su di noi, come Maria, in primis, ha dimostrato. Non a caso il nostro Maestro insiste da qualche settimana, e anche oggi, nel mettere in primo piano i bambini come parametro: se non diventeremo come loro il Regno dei cieli ce lo sogniamo. Anche la comprensione della lieta novella è riservata ai piccoli, non tanto con riferimento all’età, quanto alla capacità di “farsi” tabula rasa, sulla quale scrivere. Ciò non significa che non si debba porsi delle domande, che ogni dubbio sia fugato. Anche la fanciulla di Nazaret ne ha manifestato al Nunzio, ma, ottenutane risposta, ha accolto il tutto senza soluzione di continuità. E questo è l’altro aspetto della liturgia di oggi, che in quasi tutti i matrimoni ci siamo sciroppati: l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto. Il per sempre ha solo un significato: la risposta al progetto di Dio non ha termini di scadenza e non la si può dare a rate. Qualcuno potrebbe obiettare che pure la Chiesa ha sciolto voti e legami, ma è fin troppo semplice ricordargli che il potere le è stato conferito direttamente da Cristo. Certo, la nostra fallacità è scontata e tradimenti, separazioni e divorzi sono all’ordine del giorno, ma a nessuno è dato di giudicare in che modo e perché si siano scelte strade improbabili per mettere in discussione l’accoglienza dell’altro e la continuità. Spetterà solo al Giudice supremo entrare nel merito. Anche Gesù giustifica il ripudio introdotto da Mosè per la durezza di cuore di chi lo interrogava. Ecco, a noi spetta far breccia sui cervelli impenetrabili testimoniando la verità. Anche e soprattutto con l’esempio.

E pensar ch’el va tanto in ciesa!

Inserito il 26 Settembre 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

E pensar ch’el va tanto in ciesa! Quante volte avremo esclamato questa frase in presenza di un comportamento poco edificante di qualcuno! O quante volte ce la saremo sentita rivolgere a fronte delle nostre incoerenze! Io da piccolo, quando facevo il quarantotto, me la sentivo continuamente gridare da mia madre esasperata, ma le occasioni non sono mancate anche da più grandicello e da adulto e, ovviamente, non più dalla mamma. Il richiamo non è peregrino e non è detto che l’autore sia sempre persona irreprensibile, anzi, ma mette il dito nella piaga circa quello che ci si aspetta “almeno” da un cristiano praticante. Il brutto è poi se il buon esempio ci arriva da coloro che praticano poco o sono addirittura non credenti e spiace dover constatare quanto parecchie volte costoro prendano le distanze da noi. Volendo allargarsi potremmo fare l’esempio di Gandhi, ma il discorso vale anche per il vicino di casa. Se poi scivoliamo addirittura nello scandalo, allora è meglio che ci prendiamo in mano la seconda lettura di oggi, dalla lettera di San Giacomo apostolo, e ci facciamo un bell’esame di coscienza. Dopo di che passiamo ai suggerimenti che Gesù ci invia dal vangelo, e cioè di tagliare tutto ciò che ci induce a dare scandalo, e avremo compiuto una bella opera di pulizia. Arriveremo alla resa dei conti un po’ storpi e malconci, ma salvi. Al qual proposito, proprio in premessa il nostro Maestro, invertendo ancora una volta la logica delle cose, sembra fare più spazio a chi opera bene nei fatti, prima ancora che ai propri seguaci, magari un po’ pettegoli ed esclusivisti. Questi infatti protestavano perché taluni “che non erano dei loro” si stavano comportando forse meglio. Il motto “chi non è con noi è contro di noi” col Messia non regge: nessuno può scacciare demoni se appartiene al demonio o fare del bene se non è per il bene. Quindi eccolo con la novità: “Chi non è contro di noi è per noi”. All inclusive, altro che distinguo! Stiamo attenti piuttosto a non essere noi a trovarci spiazzati. C’è stato un analogo precedente anche con Mosè, riportato nella prima lettura. Egli redarguisce il figlio di Nun, suo servitore, chiedendogli se agisca per gelosia e aggiunge: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore riporre su di loro il suo spirito!”. La morale è scontata: massima apertura per chi opera bene e preghiamo semmai perché siano gratificati del valore aggiunto, che è la fede.

“Serve chi serve, chi non serve non serve”

Inserito il 19 Settembre 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

“Serve chi serve, chi non serve non serve” è la massima coniata dal compianto don Franco De Pieri, mancato nel 2015 e che nell’ultimo anno della sua vita ha tenuto parecchi incontri anche nella nostra parrocchia. Penso che l’abbia attinta dall’odierno brano del Vangelo, dove Gesù raccomanda: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Non è la prima occasione in cui il richiamo che gli ultimi saranno i primi e viceversa risuona fra le labbra del Maestro, ma stavolta “definisce” come si è ultimi e come si arriva ad essere primi: servendo. Ne consegue che se uno non assume questo ruolo nei confronti degli altri, non conta niente, non serve a nulla. È il primo passo verso la carità vera, così ben definita da San Paolo nelle sue lettere. Sarà poi Gesù stesso di lì a poco a fornire un esempio simbolico, quando s’inginocchierà a lavare i piedi agli apostoli prima dell’ultima cena. Pietro, in quella circostanza, accenna a rifiutare cotanta umiliazione e si beccherà ancora un avvertimento: se non ti lascerai lavare i piedi, non avrai parte con me. L’insegnamento è diretto anche a chi deve lasciarsi servire. Oggi la faccenda è ancor più delicata, perché cade a ridosso di una debolezza che il Messia ha colto fra i suoi: la discussione fra chi fosse il più importante fra loro. Non è per niente una questioncella di lana caprina, anzi, è l’incipit di una delle devianze più consistenti dei nostri comportamenti, che innesca la gelosia, l’invidia, l’arrivismo, la contrapposizione e quant’altro, insomma la negazione delle norme più elementari per esercitare la carità stessa. Il tutto parte dalla sopravvalutazione di noi stessi, che non siamo per niente portati, nel confrontarci con gli altri, a sentirci un tantino inferiori. Se poi siamo costretti a prenderne atto, apriti cielo: non esiste sana concorrenza, ma solo boicottamento e aggressività. Qui siamo alla negazione anche di quel pizzico di umiltà, che dovrebbe essere il segno distintivo dei cristiani, cioè dei seguaci di Cristo. Se poi veniamo ripresi, neghiamo anche l’evidenza; geloso io?, ma quando mai!; invidioso io?, ma che dici, io non ho nulla da invidiare a nessuno! E questa frase diventa la prova del nove della nostra fallacità. Diamoci una ridimensionata, partendo dal principio che dagli altri abbiamo sempre qualcosa da imparare. A metro di paragone Gesù chiama ancora una volta un bambino: dobbiamo diventare plasmabili come lui, se vogliamo servire alla causa.

Ritagliarsi un’immagine di Gesù a proprio uso e consumo…

Inserito il 12 Settembre 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

Ritagliarsi un’immagine di Gesù a proprio uso e consumo o secondo un personale concetto di sequela è cosa abbastanza diffusa e non solo in campo laico. D’altronde non sarebbe che il prologo del relativismo così tanto stigmatizzato dal Papa emerito prima e dallo stesso Francesco oggi. È anche vero che la figura poliedrica del Messia si presta facilmente a questa operazione, tant’è vero che nel vangelo di oggi si chiede anche lui che cosa dicano gli altri della sua persona e la risposta riporta le più svariate ipotesi. Il fatto è che allora non era ancora maturo il tempo per una rivelazione completa, intuita per grazia di Dio solo da Pietro e dagli apostoli, ai quali appunto raccomanda di non farne parola con alcuno, almeno per il momento. Oggi siamo stati ampiamente affrancati da questo vincolo e anzi impegnati a conclamare che Lui era l’unto dal Signore, il Cristo redentore del mondo. Eppure, se il Maestro dovesse chiedermi ancora: “Tu chi dici che io sia?”, sarei in forte imbarazzo a rispondere, perché sarei tentato di mettere bene in risalto alcuni aspetti che mi quagliano meglio, a scapito di altri che fatico ancora a introiettare. In buona sostanza noi siamo portati a trattare il Salvatore come ci rapportiamo fra noi: quando una persona ci fa comodo, ne minimizziamo gli aspetti negativi ed enfatizziamo quelli positivi, anche se sono pochi; al contrario, se non ci va, quelli negativi diventano macigni. E questo succede a tutti i livelli, politico, scientifico, culturale e financo educativo, dai quali dovremmo invece trarre insegnamento e in questo periodo il ventaglio degli esempi è nutrito. Verso Gesù, l?atteggiamento di trattarlo come uno di noi sarebbe anche positivo, se però non scivolassimo negli stessi termini e non prendessimo la buona novella (il Vangelo) come un canovaccio. Ci ha provato anche il buon Pietro, applicando la logica umana, che avrebbe portato alla compromissione del progetto divino, e s’è preso del “satana”. Al Signore non vanno bene le mezze misure: seguirlo significa letteralmente “stargli dietro”, mettere in pratica la sua parola, rinnegare sé stessi e quindi il nostro modo di vedere e discriminare, prendere anche noi la nostra croce, che in ogni caso la vita ci ha posto sulle spalle. Qui non c’è spazio per l’elusione, per tentativi di dimensionamento della croce: Gesù ci ha assicurato che il suo giogo è leggero e quindi adatto a chiunque. Conta saperlo tenere in toto e con coerenza, altrimenti avremo solo perso tempo. E la vita.

La riprovazione di Mattarella

Inserito il 5 Settembre 2021 alle ore 10:02 da Plinio Borghi

La riprovazione di Mattarella rivolta gli Stati europei che a parole reclamano la difesa dei diritti degli afghani, con particolare attenzione alla condizione delle donne e dei bambini, destinati a prospettive poco allettanti, ma poi nei fatti poco o nulla fanno per la loro accoglienza, anzi la ostacolano, ci inorgoglisce e cade a fagiolo col vangelo di domenica scorsa, quando Gesù citava Isaia con “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. In queste circostanze, purtroppo, tornano alla ribalta tutti gli errori che si sono compiuti nel processo di costituzione dell’Unione Europea, a partire da uno statuto non agganciato fermamente ai principi che stanno alla base della nostra identità e a finire col guardarsi bene dal rinunciare a qualche prerogativa propria di uno Stato sovrano, come la politica estera e la difesa. Siamo un’unione di facciata, le cui vergogne abbiamo tentato di nascondere dietro la minuta foglia di fico dell’Euro e di qualche intesa economica, senza apprezzabile successo, vista la fuga di pezzi da 90 come l’Inghilterra. Un’analisi estranea potrebbe tranquillamente decretare che non abbiamo fatto per niente bene ogni cosa, al contrario di quello che i suoi contemporanei dicono del Messia nella pericope in lettura oggi: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”. Egli realizza il progetto di salvezza di Dio, profetizzato sempre da Isaia. Perché i nostri modesti profeti, fautori di quest’Europa, non si sono tosto preoccupati di un modello decente da porre come obiettivo, prima di attrezzarsi come dilettanti allo sbaraglio? Avremmo almeno avuto un termine di paragone per sapere se ogni cosa era stata fatta secondo i criteri corrispondenti al progetto. Macché. E così oggi stiamo rincorrendo il contingente, come abbiamo fatto con i vaccini, aggrappandoci a dichiarazioni che puzzano più di fasullo che di buone intenzioni. Gesù continua invano a miracolare sempre i deboli, gli emarginati, gli indegni agli occhi dei benpensanti, per far passare il senso della buona novella, che, ovvio, ha mire più elevate, che però non possono prescindere dall’attenzione al corpo e alle persone, specie se diseredate, come sono oggi gli afghani. La nostra dignità di cristiani non passa per l’occhio di riguardo al potentato economico, come ci avverte San Paolo, bensì per come ci atteggeremo verso i nuovi arrivi. Inutile aggiungere che ogni cosa che faremo a ognuno di loro, sarà come fatta a Cristo: lo sappiamo molto bene.

Anche Gesù coi no-Covid?

Inserito il 29 Agosto 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

Anche Gesù coi no-Covid? Se prendiamo alla lettera le sue parole nel vangelo di oggi, dopo che alcuni scribi e farisei volevano mettere in mora gli apostoli perché non si lavavano le mani prima di mangiare e non facevano le abluzioni, sembrerebbe di sì: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possano renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”. Tenuto conto che a quei tempi ogni malattia costituiva un segnale di impurità (l’esempio più estremo era l’atteggiamento verso i lebbrosi) e che il veicolo più scontato erano le mani e la bocca, si potrebbe attribuire al Maestro una certa leggerezza e, se fossi un no-Covid, ne farei una bandiera. Ma sarei parimenti uno sprovveduto, perché non terrei conto di due fattori del contesto: gli interlocutori, infidi e subdoli, sono più attenti alle formalità che alla sostanza e. di conseguenza, l’atteggiamento di Gesù è teso più a screditarli che a difendere per partito preso i discepoli per quanto contestabili. A sistemare i primi non c’è voluto molto: è bastato chiamare in causa Isaia, che ha profetato redarguendo gli ipocriti con “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. In poche parole una condanna a chi si limita alla ritualità, al culto delle formalità, senza coinvolgimento di amore. È sufficiente pensare a quanti orpelli si sono intessuti e si intessono per l’osservanza dei precetti mentre Gesù si è limitato a riassumerli in due direttive essenziali: ama Dio e il prossimo con tutto te stesso. Non significa che la lode, il contegno o la solennità nel farlo siano elementi negativi, purché non diventino fine a sé stessi e, purtroppo, è un problema che ancor oggi la nostra coscienza dovrebbe porsi, specie se la nostra partecipazione tende a diventare di routine o è legata più ad esigenze “fisiche” che spirituali, magari alle tradizioni piuttosto che ai motivi che le hanno innescate. Gesù prosegue poi il suo discorso più rivolto ai suoi che ai provocatori, elencando tutte le impurità, quelle vere, che escono invece dall’intimo degli uomini e sono altamente inquinanti, per sé stessi e per gli altri, a partire dalla stoltezza, che Lui elenca per ultima, ma che di fatto è poi la madre delle scelte sbagliate che facciamo. Chiaro che, se il mondo assorbe queste iniquità, pure dal mondo possiamo restare contaminati. Qui subentra il nostro senso di responsabilità, che anche San Paolo ci richiama nella seconda lettura: mettere in pratica la Parola e non limitarsi ad ascoltarla.

“Tu hai parole di vita eterna”

Inserito il 22 Agosto 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

“Tu hai parole di vita eterna” ribattono gli apostoli al Maestro, dopo l’ennesimo episodio di sconforto per la durezza della sua predicazione. Succede spesso in qualsiasi compagine che le regole o i metodi adottati per applicarle siano giudicati troppo rigidi o troppo pesanti. Ai primi moti d’insofferenza, tende a subentrare lo sconforto, a causa di un senso di incapacità o, peggio, per il dubbio di aver compiuto scelte improprie o troppo impegnative. Poi va a finire che si subisce e ci si adegua per stato di necessità oppure si abbandona il campo. È quanto sta accadendo pure nel gruppo dei discepoli del vangelo di oggi. Più di qualcuno si sfila e Gesù non solo non li ferma, ma, dopo una breve sfuriata sulla miscredenza che serpeggia, conclude con un invito ai suoi più intimi: “Volete andarvene anche voi?”. La situazione non è nuova. Anche Giosuè in quel di Sichem rivolge la stessa domanda ai rappresentanti di Israele, come racconta la prima lettura e analoga è la risposta: quali altri dèi ci possono dare lo stesso aiuto del nostro Dio? In realtà non sono veri atti di fede ma nascono da un’esigenza atavica nell’uomo: avere risposte confortanti, valide e autorevoli sulle principali questioni della sua esistenza. Purtroppo quasi sempre quelle che si trovano strada facendo non bastano, in quanto il più delle volte hanno una gittata limitata, presto si rivelano inconsistenti e fasulle, senza contare gli interessi che nascondono quelli che si ergono a profeti del momento. Ne abbiamo avuto un buon assaggio durante l’evoluzione di questa pandemia, quando l’incertezza e la confusione sono stati talmente favoriti da improvvisazioni, sia in campo scientifico che politico, da produrre quanto meno consistenti dosi di diffidenza nei più, che tuttavia poi se ne sono fatti una ragione e si sono assoggettati alle disposizioni, ma generando anche grosse sacche di prese di posizione convinte e variamente motivate, tali da compromettere obiettivi e risultati non solo per la comunità nazionale, ma per l’umanità tutta. D’altronde, è illusorio pensare che sia facile incontrare maestri di vita così seri, profondi e disinteressati da catturare la fiducia incondizionata di ognuno. Ce ne sono stati, specie fra chi si è rifatto a ideologie di un certo spessore, ma, purtroppo, hanno dovuto fare i conti con la debolezza umana loro e altrui. Anche Gesù paga ancora in certo modo un prezzo, laddove l’insufficienza della fede non spinge a capire che solo da tale fonte abbiamo parole di vita eterna.

L’ipoteca come forma di garanzia

Inserito il 15 Agosto 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

L’ipoteca come forma di garanzia è l’istituto giuridico cui si ricorre più comunemente, perché è legata a qualcosa di solido, un bene immobile definito e individuabile. Anche la fideiussione alla fine è accettata più di buon grado se chi la rilascia è coperto da proprietà. Perché tutte queste precauzioni per chiedere un prestito? Perché a forza di tirarci tiri mancini si è fatta strada la diffidenza, diventata connaturata alla nostra condizione umana. Ormai anche dove non si tratti di soldi pretendiamo di essere tutelati da norme in caso d’inganno e qui la stura a leggi e disposizioni è stata conseguente: dalla qualità del prodotto alla data di scadenza di quelli alimentari non c’è regola che non intervenga, senza contare accordi internazionali e controversie su marchi e clonazioni indebite. Simile atteggiamento si è consolidato pure fuori dal settore acquisti, coinvolgendo la scienza, la cultura, l’informazione e tutti i rapporti sociali, all’insegna del “fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio” e ne abbiamo prova anche dalle posizioni differenziate assunte prima nei confronti del Covid-19 e della sua genesi, poi dei provvedimenti adottati in merito, poi addirittura dei vaccini e infine persino sul green pass. Poteva salvarsi l’ambito della fede? Certo che no anzi, se volessimo compiere una retrospettiva, ci accorgeremmo che proprio qui la miscredenza ha lavorato da più tempo e più a fondo. Gesù lo sapeva e ci ha fornito tutti gli strumenti per fugare ogni dubbio, pur non intaccando la nostra discrezionalità e il nostro “ruolo” di credenti. Di più, ci ha fornito garanzie per non accampare scuse e oggi stiamo festeggiando quella che costituisce il sigillo della presenza del Regno già qui, ora, ma che si compirà un giorno lassù: l’assunzione di Maria con il suo corpo in cielo, prospettiva e garanzia della nostra definitiva condizione. Mi è molto cara questa festa, perché esprime il massimo dell’amore figliale del Risorto, unico a essere asceso col suo corpo glorioso; stato che ha voluto condividere con sua Madre. A suggello di tale gesto sublime, Maria sarà coronata Regina degli Angeli e dei Santi, festa che si celebra fra una settimana, e come tale diventa la nostra “avvocata” presso Dio. In sostanza è Lei la nostra “ipoteca” di garanzia.

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