Lettera aperta del primo marzo 2015
Inserito il 27 Febbraio 2015 alle ore 20:04 da Redazione CarpinetumPubblicata lettera aperta del 1°/3/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Pubblicata lettera aperta del 1°/3/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
La Quaresima ha le sue ricchezze. Sottolineo la via Crucis del venerdì alle 18.00. È un appuntamento caro alla tradizione. Dura 25 minuti. Chi vuole resta alla Messa successiva. Facciamo memoria dell’amore di Dio che continua a portare il nostro dolore.
Ci considera suoi figli, non scappa dai problemi, ma paga i nostri sbagli. Qualcuno, soprattutto fra gli intellettuali, dice che Dio è morto e assente dalla storia umana. Da parte mia ho un’idea opposta.
Non sarebbe difficile scrivere una Via Crucis coi drammi del nostro tempo. Ci sarebbe la questione dell’Ucraina, dilaniata da potenti interessi, e i massacri dell’Isis che in Medioriente e in Africa non frena la sua furia. Ci sono nuovi martiri, i 21 cristiani copti, uccisi sulle sponde del Mediterraneo, padri di famiglia emigrati all’estero per fame. Avevano tutti tatuata una croce sul polso, fin dalla giovinezza: se non avessero potuto parlare quel segno avrebbe chiarito la ragione della loro speranza. A buon diritto papa Francesco li considera martiri.
La Via Crucis moderna avrebbe le sue tappe anche in Occidente. Per la nostra economia ogni anno 8 milioni di bambini muoiono di fame. Con la nostra instabilità distruggiamo famiglie e togliamo ai figli la gioia di una vita serena. Per la nostra superficialità e immaturità abbiamo una società triste, vecchia, grassa, indifferente a tutto. Dio ci perdoni.
La lista sarebbe lunga. Assente dalla storia non è Dio. Ci ha creati liberi e ragionevoli. Sta in Croce e continua a pagare. Assente è l’uomo che non vede i problemi, ne parla, ci mangia sopra, risolve poco o nulla, qualche volta fa peggio. Una preghiera nella Via Crucis ci aiuterebbe a crescere in maturità e consapevolezza.
don Gianni
Trucco e tatuaggi hanno trovato un loro sviluppo a tutto campo, in momenti differenziati, da metà del secolo scorso in poi. No, non mi riferisco al tempo di carnevale, come quello appena trascorso, ma al costume dilagante in tempi normali. In precedenza, quasi esclusivamente in campo femminile, ci si limitava a qualche leggero tocco ogni tanto e, di norma, al solo rossetto. A mano a mano che nella società ci si liberava dai condizionamenti, anche il trucco si è espresso in forme sempre più pesanti e stravaganti, dilagando alla grande anche in ambito maschile e incoraggiando così l’abitudine di “camuffarsi” per mostrare agli altri quello che in realtà non siamo. Più tardi è invalso il vezzo del tatuaggio anche in ambienti normali, medi e alti (un tempo era praticato solo nella suburra), seguendo un po’ quella che fu la traccia dell’abbronzatura, una volta aborrita dai ricchi e poi rincorsa a tutti i livelli, anche in modo artificiale, per farne sfoggio in qualsiasi stagione come status symbol. Tutti alla ricerca di un’originalità che ci rende … esattamente uguali agli altri! Un appiattimento peggiore di quello che attribuivamo ai condizionamenti sociali di vecchia data. Ed è la stessa linea di condotta stigmatizzata da Gesù nel vangelo in questo periodo, ma per motivi diametralmente opposti: allora ci si atteggiava per ostentare quello che si sarebbe dovuti essere e magari non si era (osservanti degli obblighi della legge, del digiuno, ecc.), oggi si fa lo stesso per atteggiarsi a quello che si vorrebbe essere, puntando a modelli di riferimento che non hanno alcuno spessore. Gesù definisce siffatti atteggiamenti falsi e alterati, propri degli ipocriti e dei farisei, c’invita ad essere noi stessi, con i nostri difetti e le nostre fragilità, e a rapportarsi a chi veramente conta, cioè “il Padre vostro che è nei cieli”, il quale “vede nel segreto e ti ricompenserà”. Se in coscienza il nostro comportamento piace a noi e a Lui, che bisogno c’è di rincorrere fasulli riconoscimenti? Col rischio che poi, sentendocene appagati, il Padre ritenga che abbiamo già avuto la nostra ricompensa e ci chiuda la porta in faccia per quella vera. La Quaresima ci guidi verso la giusta direzione e chissà che alla fine di un percorso di revisionismo serio non ritroviamo proprio noi stessi. Sarebbe già questa una buona conversione.
Pubblicata lettera aperta del 22/2/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Di fronte alle parole “privazione” e “rinuncia” avvertiamo un sentimento di rivolta. Perché astenersi? Forse ne capiamo il senso quando serve ad aiutare qualcuno, diversamente sembra un gesto senza ragione.
Non è possibile però fare esperienza di tutto. Chi è maturo mette dei limiti a se stesso, se no disperde energia e tempo.
Ebrei e Cristiani hanno sempre inteso il valore del digiuno. Ancor oggi le chiese ortodosse conservano una rigorosa legislazione a riguardo, perché occorre mangiare, ma ancor più saper smettere, occorre memoria, ma anche dimenticare i fatti tristi.
Servono spazi e oggetti, ma avarizia e cupidigia ci rendono schiavi. Per il dominio di sé, per essere snelli nelle decisioni e nel tempo, per la disciplina delle proprie pulsioni e dei propri bisogni, per una più grande libertà, è necessario andare all’essenziale e lasciar cadere il superfluo.
Non basta. Antico e Nuovo Testamento ci parlano anche di un’altra forma di astinenza temporanea: quella sessuale. È una proposta che non umilia, ma esalta l’essere umano.
Qualche volta serve prendere le distanze da un’azione che potrebbe diventare banale, meccanica, scontata, affinché corrisponda a un desiderio più ordinato e raffinato; in questo caso la rinuncia è l’attesa, perché l’incontro avvenga come un’opera d’arte (da Enzo Bianchi).
È un’astinenza “sinfonica”, di comune accordo, solo per qualche tempo, per capire che “l’amore di Dio vale più della vita”.
don Gianni
Serbare un segreto mette ansia, c’è poco da fare. Ho appena finito di leggere una notizia sulla cronaca locale, relativa ad una donna che ad un mercatino per beneficienza del Lido ha acquistato per 10 euro un quadro, che poi si è rivelato essere d’autore e di un valore di 200 mila euro. Ha fatto per curiosità una ricerca e poi si è consultata con un antiquario e fin qui tutto bene. Sennonché s’è confidata con un’amica al bar (come si fa a tenere una cosa di tal fatta tutta per sé?) e la notizia ha fatto il giro dell’isola in un battibaleno, finendo quindi sulla stampa. Magari avrà anche raccomandato all’amica di non dirlo a nessuno. La stampa, poi, su queste cose ci gioca e va a nozze, persino sui titoli di richiamo. Giorni fa si annunciava a caratteri non cubitali, ma quasi, quali erano i contenuti di un accordo segreto intercorso non ricordo con chi. Subito pensai: “Ma se l’accordo è segreto, come fanno a saperlo e, peggio, a conoscerne i contenuti?”. Infatti, letto l’articolo, scoprii che erano tutte illazioni e sugli argomenti si tirava ad indovinare: chissà, se domani si rivelasse vero, sarebbe stato uno scoop in anteprima! D’altronde custodire un segreto è anche un’arma a doppio taglio. Chi ha seguito l’iter per l’elezione del Presidente della Repubblica sa che Renzi non ha mai fatto nomi fino alla fine, con la conseguenza che subito dopo tutti si sono attribuiti la paternità del suggerimento su Mattarella e i giornalisti che l’avevano azzeccata si gongolano come “illuminati”. Oggi anche il vangelo ci offre la prova di questo desiderio incontenibile e ce la dà proprio il lebbroso, complice lo stesso Gesù. Dopo averlo guarito, forse per stare un po’ in pace, il Maestro gli ordina: “Guarda di non dire niente a nessuno” e lo invita piuttosto a recarsi al tempio per un’offerta di ringraziamento. Non l’avesse mai fatto! Forse, se non gli avesse rivolto la raccomandazione, la cosa sarebbe filata liscia, ma il fenomeno era troppo ghiotto e costui, preso dal raptus, tipico in questi casi, non tardò a “proclamare e a divulgare il fatto”, costringendo Gesù a non poter più entrare pubblicamente nelle città ed a ritirarsi in luoghi deserti, dove comunque accorrevano a lui da ogni parte. Tanto per buttar lì una battutaccia maschilista, che sia allora vero che dopo la resurrezione sia apparso apposta alle pie donne, perché l’evento si diffondesse più rapidamente?
Pubblicata lettera aperta del 15/2/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Ancora per qualche giorno viviamo il clima – francamente misero – del Carnevale Veneziano. Da mercoledì prossimo, 18 febbraio, siamo invitati ad entrare nella Quaresima. A qualcuno questo passaggio potrebbe ricordare un clima tetro e faticoso. A ben guardare non è così. Il carnevale si anima di feste e scherzi, di maschere e follie; spesso però lascia dietro a sé un seguito di tristezza e vuoto. Al rovescio, la Quaresima si presenta come un tempo di fatica, ma sempre ci riempie di soddisfazione, ci aiuta a trovare equilibrio e gioia, ci libera da molte schiavitù e ci toglie la patina di vecchiume ammuffito. Ci ridona una speranza forte per l’avvenire.
Entrare in quaresima e togliersi dalle dipendenze quotidiane è segno di coraggio, ma anche di intelligenza. Tenere a cuore le necessità dei fratelli è una ricchezza prima per noi che per loro. Custodire un ritmo quotidiano di preghiera significa spalancare le finestre interiori al vento dell’infinito e far entrare nella vita l’aria buona che profuma di gioia.
Raccomando dunque l’appuntamento di mercoledì prossimo: trovate nel calendario gli orari delle S. Messe. Per i bambini e i loro famigliari alle 17.00. Per i ragazzi, i giovani e gli adulti alle 18.30. Per chi è al lavoro c’è il mattino alle 7.00 e la sera alle 20.45.
don Gianni
Liberare l’uomo dai tormenti fisici e spirituali è motivo della venuta del Messia fra noi. Nel vangelo di oggi, a partire dalla suocera di Pietro, è tutto un andirivieni di afflitti, senza un attimo di tregua per la sosta e la preghiera. Infatti ci prova, Gesù, ma inutilmente: Pietro lo raggiunge all’insegna del “tutti ti cercano!”. Non avevano ancora capito chi fosse, in realtà, ma guariva, consolava, e tanto bastava: quando c’è bisogno si tenta di tutto. È umano e ce ne dà conferma il Giobbe della prima lettura, che sembra quasi disperato per la vita che gli sfugge di mano come un soffio e per le notti di affanno che gli sono state assegnate. Anche cercare Colui che si presenta come il Salvatore è ritenuto allora un rimedio e invero lo è, comunque. L’ultimo venerdì di gennaio, assieme al mio coro gregoriano, partecipiamo alla Messa presso le suore di Cristo Re a San Francesco della Vigna, le quali ricordano la loro consorella Serafina degli Angeli, che dopo tre anni dall’ingresso in convento contrasse una rara malattia che la accompagnò per 38 anni, 20 dei quali trascorsi a letto immobile. Morì a 61 anni in odore di santità. Ebbene, la biografia ricorda che la sua pena fu tanta, specie in assenza di prospettive di rimedio, per cui trovò conforto e sostegno solo in Chi concentrò in sé sofferenza e lenimento e cioè contemplando appunto il Crocifisso. L’inno che conclude la cerimonia, nell’esaltare le virtù della Venerabile, richiama costantemente questo attaccamento alla Croce, che poi è diventato l’insegnamento e l’esempio che ha lasciato a chi la conobbe. Ancor oggi come allora, dunque, e il versetto al vangelo è lì a confermarcelo: “Cristo ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie”. E’ un monito anche per chi ha il compito di far conoscere Gesù: prima farsi carico delle angosce delle persone, poi indicare loro il rimedio. “Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti.. Mi sono fatto debole per i deboli..” dice appunto San Paolo, pur di “annunciare gratuitamente il vangelo”. L’11 prossimo, festa della Madonna di Lourdes, è un giorno speciale dedicato agli ammalati: se ci sentiamo almeno un pochino impegnati a dare continuità al ruolo di Cristo, è d’uopo la preghiera, come ci sollecita Maria, ma anche uno stimolo ad uno sforzo in più per sollevarli dalla loro sofferenza, evitando di pensare sempre, solo ed esclusivamente alle nostre magagne.
Pubblicata lettera aperta dell’8/2/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.