Inserito il 28 Aprile 2019 alle ore 08:04 da Plinio Borghi
Un’insolita e puntuale precisione è quella che troviamo nel vangelo di Giovanni in queste due settimane. Domenica scorsa descriveva quasi l’ora esatta in cui Maria di Magdala, all’alba del giorno seguente il sabato, si recava al sepolcro di Gesù, trovandolo vuoto. Non solo, ma poi si soffermava con dovizia di particolari su come Pietro e lo stesso Giovanni vi giunsero: il secondo correndo più forte, ma, per rispetto all’autorità riposta sul capo degli Apostoli, aspettando poi che fosse questi ad entrarvi per primo. Oggi inizia precisando che quello stesso giorno il Maestro entrò nel luogo dove i discepoli erano riuniti a porte chiuse, assente Tommaso. Prosegue specificando che otto giorni dopo la circostanza si ripete, con la presenza di Tommaso, da cui l’episodio a tutti noto. Perché l’evangelista pone tanta cura nel racconto? Non penso sia casuale, come nulla nel Vangelo lo è. E allora notiamo che i fatti avvengono tutti il giorno dopo il sabato, il primo giorno lavorativo per gli ebrei, quello stesso giorno che noi oggi chiamiamo appunto Domenica, giorno del Signore. D’altronde non potevamo stabilire diversamente, visto che la Resurrezione, perno di tutti i fatti che riguardano la nostra fede, è indubbiamente avvenuta all’alba del terzo giorno rispetto alla morte. Altra curiosità: questa prima comunità di discepoli inizia a riunirsi periodicamente, ma non in un giorno qualsiasi o in modo discontinuo, bensì lo stesso giorno. Gli altri giorni, com’è descritto in altre parti del Vangelo, ognuno si dedica alle originali incombenze, tant’è vero che il Risorto un giorno li aspetta in riva al lago, di ritorno dalla pesca. Evidentemente sentono il bisogno di trovarsi per consolidare il loro rapporto e costruire questa nuova comunità di redenti, questa “Ecclesia” che diventerà custode della buona novella. Il Messia suggella tale scelta apparendo dove essi sono riuniti, quasi a consolidare quanto andava predicando: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sarò con loro. Mi sembra che si possa dedurne quanta importanza abbia sempre rivestito e rivesta ancora il ritrovo delle nostre comunità parrocchiali attorno alla mensa eucaristica la domenica. Lo stesso Spirito Santo, la “domenica” di cinquanta giorni dopo la Pasqua, scende sugli Apostoli e Maria riuniti e da allora tutto è chiaro per tutti. È chiaro pure che la fede espressa dalla comunità suscita l’interesse nei giovani, novelli Tommaso che vogliono vedere per credere, e innesca il meccanismo della continuità.
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Inserito il 24 Aprile 2019 alle ore 20:46 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 24 Aprile 2019 alle ore 20:22 da Don Gianni Antoniazzi
L’attacco in Sri Lanka del giorno di Pasqua ha ucciso turisti facoltosi ma soprattutto tanti cristiani innocenti. Ci sono più martiri oggi che nei primi secoli: chiediamoci se la nostra fede è convinta o resta fiacca
Mi è capitato sottomano Il fatto quotidiano del 23 aprile. In prima pagina c’era un articolo interessante. L’autore, Byung-Chul Han, sostiene che il segno distintivo del nostro tempo è la levigatezza. Dagli smartphone alle sculture di successo, dai dialoghi sui social network all’estetica delle auto: cerchiamo sempre di smussare le punte. Questa logica corrisponde all’imperativo sociale di non ferire e non causare ruvidezze.
Qui in Italia la nostra fede segue lo stesso stile: non prendiamo una netta posizione su Cristo per paura di ferire altri. In molte parti del mondo, invece, i cristiani sanno distinguersi. Attenzione. Mica si dividono dalla gente, perché ogni divisione è pur sempre frutto di odio.
Tuttavia si distinguono, nel senso che vogliono appartenere non alle mode prevalenti, ma alla luce di Cristo. Si distinguono anche per la capacità di perdono e perciò spesso le tenebre li aggrediscono. Così ci sono martiri, oggi più che agli inizi dell’era cristiana.
Qui da noi si preferisce essere cristiani levigati: senza punte, senza accenti particolari. Per esempio: bellissima la veglia di Pasqua. Eppure non ci sono state professioni di fede e nessuno si è scommesso per Cristo. Noi educatori, per primi, non proponiamo di uscire dal clima morbido di una società levigata. Non cerchiamo motivi di distinzione. Così, però, non si cresce: i ragazzi diventano buoni in ogni circostanza ma, al contempo, rischiano di essere buoni a nulla. La Scrittura divina condanna chi è tiepido: Dio lo vomita (Ap 3,15-19). Nella parabola del Padre misericordioso, il figlio grande non prende posizione. Alla fine resta fuori casa.
don Gianni
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Inserito il 21 Aprile 2019 alle ore 08:00 da Plinio Borghi
Come festeggiare la Pasqua? Se ci rivolgessimo a mo’ d’inchiesta ad un campione di persone, sono certo che il 90% si verserebbe in mille congetture sul come e dove trascorrere la giornata speciale. Parecchi, prendendola larga, l’hanno già inclusa in un ampio periodo di vacanza che va come minimo dal Giovedì al lunedì dell’Angelo. Altri si stanno già dando da fare per prenotare un buon ristorante, magari in compagnia, all’insegna del “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”. I più “scarognati” si accontentano di organizzare una Pasquetta tradizionale, con gita fuori porta ed eventuale pic-nic, tempo permettendo. Qualcuno, più compreso dall’aspetto religioso, avrà pensato bene di sbocconcellare qualche partecipazione alle funzioni della Settimana Santa e di concludere rigorosamente con la Messa della veglia, così da tenere “sgombra” la giornata festiva da “obblighi di precetto”. Sfugge in questo contesto il fatto che è vero sì che in tutte le domeniche si celebra il mistero pasquale, ma che tuttavia questa ha qualcosa di speciale per tutti coloro che si dicono credenti: si rinnova il motivo per cui lo siamo e cioè il Cristo risorto. Se inventiamo tutti i modi di far festa, tranne quello di avere al centro dell’attenzione il Festeggiato, che senso ha? Proviamo a pensare a tutte le occasioni conviviali in cui ci riuniamo per qualche anniversario o qualche avvenimento, come una prima comunione, una cresima, un matrimonio e togliamo per un attimo le persone che sono oggetto di ciò: il resto diventerebbe una stonatura, una farsa. C’è di più. Come accennava il nostro parroco ne “L’incontro” di un paio di settimane fa, di Cristo possiamo dimostrare storicamente tutto, tranne la Resurrezione, che è giustificata solo da una fede che va oltre alla ragione, ma non per questo è irragionevole, tanto è vero che è l’unico fatto che è stato avversato (dai religiosi ebrei di allora) ed è contestato dai detrattori. La Resurrezione, proprio in quanto non dimostrabile, ma ineludibile, tiene in piedi tutto il “palco” della nostra fede. E allora perché svilirla agli occhi del mondo disattendendola nel momento più topico? Se la forza che ci deriverebbe dal confronto si riduce a una farsa, cosa andiamo a testimoniare? Il vangelo di oggi termina, anche per l’incredulità degli apostoli stessi, dicendo che non avevano ancora compreso che “Egli doveva risuscitare dai morti”. Allora, festeggiamo la Pasqua come vogliamo, purché al centro dell’attenzione ci sia Lui, il Signore risorto. Buona Pasqua.
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Inserito il 17 Aprile 2019 alle ore 17:10 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 21/4/2019 (Santa Pasqua). Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 17 Aprile 2019 alle ore 16:49 da Don Gianni Antoniazzi
La risurrezione di Gesù che festeggiamo oggi ci conferma che l’edificio della fede in Cristo non crolla
Resta solido purché almeno una volta ciascuno possa avere un incontro personale con il Risorto
Oggi celebriamo la Pasqua, il passaggio di Gesù dalla morte alla vita eterna. Anche noi, superata la frontiera del tempo, saremo con Lui. Questa gioia, tuttavia, è fragile come sono precari l’uomo e le sue opere terrene: il disastro di Notre Dame a Parigi ce lo ricorda.
Serve un’esperienza personale del Cristo Risorto. È necessario incontrarlo, come i due discepoli di Emmaus. Questo incontro può realizzarsi realmente, ma non su un piano fisico e verificabile. I due discepoli in cammino non riconoscono il volto del Maestro né il timbro della sua voce, eppure dopo sono convinti di aver camminato al Suo fianco.
Così avviene anche per noi. Talvolta lo abbiamo vicino, ma non lo vediamo. I nostri occhi sono oscurati dalla tristezza. D’altra parte neppure gli strumenti di questo mondo, nati nello spazio e nel tempo, possono aiutarci nel misurare la presenza dell’Infinito e dell’Eterno. è qui che la Scrittura ci apre il cuore e la mente e arriva il coraggio di superare la delusione e la paura.
Compiamo il salto della fede che non è un’illusione, bensì il complemento della ragione. Fosse anche solo per un istante, intuiamo in modo autentico la vicinanza del Signore Risorto. La vita, così, si trasforma e la fede in Lui ci edifica in maniera sempre più solida.
don Gianni
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Inserito il 14 Aprile 2019 alle ore 08:56 da Plinio Borghi
Sobillare il popolo dev’essere sempre stata la massima aspirazione degli antagonisti, specie se non riescono a far valere altrimenti le proprie ragioni contro il potere costituito. Già Mosè ebbe la “bella” esperienza quando, tornato con le Tavole della legge, trovò i suoi, incitati a dovere, ad adorare il vitello d’oro. Mentre mi accingo a “meditare”, scorrono in tv le immagini di quanti, a Roma, palesemente strumentalizzati dai rappresentanti di Casa Pound, ostacolano il trasferimento dei nomadi sloggiati dai campi, negando loro anche un minimo di sussistenza. Subito, andando agli argomenti della liturgia di oggi, mi vien da pensare: “Non è proprio cambiato nulla!”. Eppure la storia ci consegna tanti di quei fallimenti collezionati da chi sperava di ottenere, e soprattutto di conservare, il consenso del popolo alle proprie azioni rivendicative, a volte perpetrate col terrorismo. L’ex latitante Cesare Battisti ne ha di rievocati dagli anni di piombo! Il presupposto è sempre l’errore di partire con una contraddizione in termini: si tratta il popolo da “bue” e si spera che poi non si comporti come tale. Quando si crede di essere in testa, ci si gira e non si trova più nessuno, perché lo sport più praticato da gente raccogliticcia è quello del “voltagabbana”, non foss’altro che per avere trovato qualche altro più convincente. Anche il populismo è un’arte che chiede ben precise regole: la prima di tutte è il rispetto. Gesù, pur in circostanze negative come quelle proposte oggi, ce ne da una dimostrazione incomparabile. Non si monta la testa per la festosa accoglienza in Gerusalemme, perché sa quanto labile sia la gloria effimera, né si abbassa alla stregua di chi più tardi arruffa il popolo. Egli ama la sua gente, la ama comunque e la rispetta, sia che lo osanni sia che lo rinneghi, tanto che perfino sulla croce le sue parole saranno di comprensione: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!”. Come aveva previsto e senza sobillare alcuno, una volta “elevato” ha attratto tutti a sé e da allora sta continuando a farlo, alla faccia di tutti i detrattori che, nel tempo, non sono mai mancati. In questa settimana, gli spunti che ci vengono consegnati sono tanti, da stimolarci alla lealtà, al pentimento, alla riconoscenza per il grande regalo dell’Eucaristia e per l’estremo sacrificio subito dal Cristo per riscattarci, alla speranza per la prospettiva che ci è garantita; fino all’attesa di quella Resurrezione, senza la quale tutto il resto non avrebbe alcun senso.
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Inserito il 10 Aprile 2019 alle ore 15:18 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 14/4/2019. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 10 Aprile 2019 alle ore 15:05 da Don Gianni Antoniazzi
La domenica delle Palme inaugura per i cristiani i giorni più intensi nei quali si rivive l’evento pasquale. Per ciascuno di noi si rinnova il dono straordinario della salvezza e questo è motivo di gioia autentica
La liturgia distribuisce le celebrazioni per la Santa Pasqua in una settimana intera. Già con la domenica delle Palme acclamiamo Cristo che entra in Gerusalemme, la città dell’uomo, tra la folla festante che Lo accoglie sventolando gli ulivi.
Nel Triduo di giovedì, venerdì e sabato santi il Signore rinnova il dono della vita. La sua persona si fa per noi pane e vino, che ci nutrono e ci allietano. Egli stesso entra fra le braccia della morte per vincerla e risorge vittorioso per tutti.
Torniamo, però, alle Palme. La liturgia è singolare: c’è il vangelo gioioso dell’ingresso a Gerusalemme e subito la lettura della Passione con la morte in croce. È importante contemplare questi episodi insieme perché già la Passione è una vittoria serena: è l’amore di Gesù che trionfa sulla rabbia e la fragilità degli uomini.
Con Gesù che cavalca un asinello l’ingresso a Gerusalemme non è solo un trionfo, ma anche un segno umile. Così è Dio, che tiene sempre insieme le doglie del parto e la gioia per la nascita di un nuovo bambino che viene al mondo.
don Gianni
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Inserito il 7 Aprile 2019 alle ore 09:56 da Plinio Borghi
La tensione nella fede, per rimanere in sintonia con i temi accennati nella prima domenica, mi richiama la cinghia di trasmissione del motore e alla sua funzione di armonizzazione: chi se ne intende sa quale danno può provocare sia la troppa che la scarsa tensione (io l’ho imparato a mie spese). A noi interessa l’aspetto della giusta elasticità: l’eccesso può provocare rigidità, scarsa disponibilità a rivedere le proprie convinzioni, a rileggere i fondamenti sui quali si basa il nostro credo e a riprendere gli spunti giusti per ridare vigore alla nostra vita. Il difetto, di contro, ci smorza la voglia e i sentimenti, ci orienta all’apatia, la quale a sua volta ci porta lentamente all’abbandono e all’allontanamento. Insomma un elastico troppo morbido o troppo rigido non serve a svolgere la propria funzione, non solo, ma va allentato e tirato continuamente se vogliamo che mantenga le sue caratteristiche. Applichiamo il medesimo criterio sulla fede ed ecco perché la Quaresima diventa occasione di verifica del livello di tensione. Molti aspetti vanno allentati, perché è il momento di rivalutarli e di ridare loro la giusta dimensione; altri vanno incrementati, perché nella routine della pratica religiosa si corre anche il rischio di prendere le cose sotto gamba o di svilirle sulla via dell’abitudine. Oggi Gesù ci offre uno spaccato di questo dualismo col noto episodio dell’adultera. Scribi e farisei, presi e irrigiditi dalla loro miriade di norme e conseguentemente dalla loro ansia di prestazione, si sentono in diritto e dovere di lapidare la peccatrice. Manco passa loro per la testa una qualsivoglia alternativa. Il Maestro li affronta sullo stesso terreno con la famosa frase: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei”. La tensione (negativa) si allenta in un attimo e sembra di sentirlo ancor oggi il tonfo di quei sassi che cadono ad uno ad uno. Nello stesso tempo si accende un’altra tensione (positiva) nell’adultera, che, alle parole di Gesù: “Va’, e d’ora in poi non peccare più” scatenerà un crescendo d’amore per quel Salvatore che le ha cambiato la vita. La tensione, quindi, non è solo uno stato concreto, ma è anche un modo per vivere un sentimento e quindi non la s’inventa se questo manca o è sopito. Altro scopo di questo tempo, allora, è quello di ravvivare i sentimenti a tutto spettro: per il Padre che ci ha creati, per il Figlio che s’è sacrificato, per lo Spirito che ci aiuta a capire, per il prossimo da amare. Ce n’è per darci dentro senza frapporre indugi.
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