Il blog di Carpenedo

Il blog di Carpenedo
La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Alle fonti della speranza

Inserito il 27 Marzo 2011 alle ore 07:11 da Don Danilo Barlese

Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. (Rm 5, 1-2. 5-8)

San Paolo, in questo brano fondamentale della lettera ai Romani, ci ricorda che chi, credendo in Gesù Cristo, ha fatto il passo decisivo nel cammino della salvezza, non è ancora libero da preoccupazioni e sofferenze. Lo aspettano infatti dolorose tribolazioni, di fronte alle quali però è sostenuto oltre che dalla fede, anche dalla speranza e dall’amore.

La riflessione si apre in modo piuttosto brusco, ma molto efficace: «giustificati» scrive Paolo. La “giustificazione” mediante la fede rappresenta ormai un dato di fatto che ha cambia­to radicalmente la vita del battezzato: “siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. Nel linguaggio biblico la pace rappresenta un’armonia profonda dell’uomo con Dio, che comporta la pienezza di tutti i beni materiali e spirituali. Alla fine dei tempi il pellegrinag­gio di tutti i popoli al monte del tempio del Signore alla ricerca del­la parola di Jahwè comporterà l’eliminazione della guerra e una pa­ce universale. Non solo l’u­manità, ma anche tutto il cosmo sarà coinvolto in essa. è significativo che la pace, strettamente collegata con la giustizia, sia presentata come un dono dello Spirito. Per l’apo­stolo questa Pace è il dono più grande di Cristo.

Insieme alla Pace i credenti hanno ottenuto “l’accesso alla Grazia” nella quale si trovano.

Il cristiano è continuamente a contatto con il dono che Dio ha fatto di se stesso in Cristo.

Di questa speranza ci si può vantare proprio perché si tratta di un dono di Dio e non della presunzione di diventare giusti mediante l’osservanza della leg­ge.

La Speranza costituisce il fondamento su cui poggia il discepolo per essere fidu­cioso.

Non si tratta però di una fiducia che na­sce in un contesto di vita agevole, privo di contrasti. Al contrario: la speranza è vissuta all’interno delle avversità. Il cristiano non è messo al riparo dalle contraddizioni e dalle prove che dilacerano la storia e l’esistenza delle persone. Resta invece sul campo di battaglia in cui le forze del male e della distruzione si battono ancora con pericolosità, ma è sorretto da fiduciosa sicurezza. La speranza cristiana non si riduce  a  ottimismo  facile,  tanto  meno   a  pigra  evasione dal presente o a vile fuga. è invece fiduciosa attiva presenza nel mondo, nonostante tutto. L’apertura al futuro è inscindibile dall’assunzione di una piena responsabilità operativa nell’oggi. La sicurezza viene dall’amore di Dio che ha invaso il suo intimo. L’amore di Dio è gesto concreto di donazione del suo Spirito non una “consolazione sentimentale”.

La speranza non delude, non sarà smentita, perché non è vuota attesa ma esperienza viva di un reale anticipo della pienezza che si attende: Dio è amore.

Don Danilo

Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita

Inserito il 20 Marzo 2011 alle ore 08:01 da Don Danilo Barlese

Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo. (2 Tm 1, 8b-10)

Paolo è vecchio e bloccato in carcere «come un malfattore».
Chiede a Timoteo di essergli vicino, proprio nel mezzo della Roma di Nerone! Aderire a Paolo è martirio pos-sibile, quasi certo.  Così Timoteo renderà concreta la testimonianza al vangelo.

“Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa”.

L’apostolo ora ricorda la «forza di Dio» con cui si compie la storia della salvezza. La piccola ubbidienza umana non è altro che il fragile “sì” in risposta all’immenso eterno “sì” di Dio all’uomo.

“Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati”: è l’incomprensibile, amorevole, inclinazione di Dio verso il peccatore perduto, così assoluta, definitiva e efficace da essere presupposto di ogni singola azione di salvezza. Dio ci rivolge la parola: ci chiama e ci affida la stessa missione del Figlio.

La «vocazione» è «santa» perché proviene dal Dio santo e tende alla sua santità; perché Egli è colui che detiene tutta la grazia della redenzione, la quale non solo, in senso negativo, salva da qualcosa, ma, in senso positivo, chiama, mediante la parola mette in piedi e imprime al chiamato il volto dell’eternità.

La vita cristiana si basa in tutto e per tutto sulla vocazione: ogni cristiano è chiamato a seguire Gesù. Ascoltare e rispondere a lui costituisce il compito di tutta la vita.

Il fatto che noi non siamo chiamati «in base alle nostre opere», per Paolo è proprio l’espressione della grazia più alta. Che fondamento incerto sarebbero le nostre opere per la redenzione e la vocazione! Le nostre «opere» hanno la loro collocazione all’interno dell’ampio e precedente proposito di salvezza di Dio.

La Grazia (la vita nello Spirito) ci è stata donata in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata solo ora in Cristo Gesù.

L’umile apparizione del Redentore nella «pienezza del tempo» ci fa facilmente dimenticare che in questa pienezza del tempo si manifesta la pienezza dell’eternità, nell’ora storica della decisione la decisione eterna di Dio a favore dell’uomo.
Senza tutta la durezza, la crisi, la purificazione della croce, non potremo ricevere la grazia dell’eternità. Cristo Redentore, Crocifisso e Risorto è il fondamento della nostra salvezza. Chi risponde realmente alla chiamata sa di incontrare la vita eterna e, rispondendo, di assumerla in sé.

La fortezza cristiana deve guardare negli occhi la morte che è stata vinta e sapere che Cristo ne ha fatto lo strumento della sua «vita immortale». Per mezzo della morte di Cristo la vita è stata «fatta risplendere», fatta uscire dalle «tenebre e dall’ombra di morte» che la coprivano; la morte di Cristo è il momento in cui la vita eterna irrompe nel tempo, ancora di più: è portatrice, sacramento della vita.

Don Danilo

Buona Quaresima a tutti!

Inserito il 13 Marzo 2011 alle ore 07:22 da Don Danilo Barlese

Preghiamo gli uni per gli altri perché questi quaranta giorni siano veramente, per ciascuno di noi, preparazione all’incontro con il Crocifisso Risorto che rinnova nella nostra vita la forza della Speranza, la luce della Fede, la passione della Carità.

Sia un cammino vissuto insieme per ritrovare la bellezza dell’appartenenza all’unico Signore, nella Comunità cristiana, a servizio del mondo.

Sia un cammino che ritrova “i fondamentali” di chi desidera seguire Gesù: la Parola di Dio, l’Eucarestia, la Carità quotidiana, il Perdono, la Confessione sacramentale, la testimonianza nella vita di tutti i giorni.

Sia un cammino che accompagna anche alla celebrazione dell’8 maggio in cui riceveremo l’abbraccio del Papa che viene a confermarci nella fede. Sarà un momento forte di comunione e di unità: ci farà fare esperienza sia della Chiesa diocesana e universale, sia della nostra parrocchia come famiglia di famiglie in Cristo.

Sia un cammino che aiuti a ritrovare, attraverso il digiuno, la carità e la preghiera spazi di incontro e di dialogo in famiglia, di aiuto e di attenzione reciproca, di partecipazione corale alle celebrazioni liturgiche. Buona Quaresima a tutti!

Don Danilo

Una sapienza che non è di questo mondo

Inserito il 13 Febbraio 2011 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano». Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.  (1Cor 2,6-10)

Alcuni componenti della giovane comunità di Corinto ritenevano di essere dei «perfetti», cioè degli iniziati a una sapienza particolare e degli «spirituali», cioè illuminati dallo Spirito. I semplici credenti, rimasti, a loro giudizio, al livello della pura adesione al messaggio cristiano, da costoro erano invece disprezzati.

Questo gruppo di “credenti” si faceva forte di una pretesa superiorità derivante dal presunto possesso di una conoscenza profonda e divinamente ispirata circa il mondo divino e i destini eterni dell’uomo.

Il disprezzo non doveva risparmiare neppure lo stesso Paolo che a Corinto si era distinto non come dotto maestro ma quale predicatore del vangelo di Cristo crocifisso e risorto.

Questi versetti vanno colti all’interno di questo discorso polemico nei confronti del gruppetto degli “illuminati”. Paolo impartisce una vera e propria lezione ai suoi orgogliosi contestatori. Egli si presenta certamente in possesso di un pensiero sapienziale. Non si tratta, certo, della sapienza propria del mondo presente, respinta sopra come pretesa orgogliosa di autocostruzione al di fuori e contro Dio. Non è quella posseduta dai “dominatori” di questo mondo, cioè dalle potenze del maligno e neppure quella frutto di bravura personale e superiori capacità intellettuali e spirituali rivendicata da alcuni Corinzi.

Paolo si riferisce a una Sapienza che è propria di Dio, cioè del suo disegno eterno, elaborato prima ancora dell’origine del creato, finalizzato alla salvezza ultima dei credenti, tenuto nascosto agli occhi di tutti. Egli insiste su quest’ultimo aspetto, facendosi forte dell’autorità della Sacra Scrittura: nessuno ha mai potuto conoscere quanto Dio ha preparato in anticipo per quelli che lo amano.

Inaccessibile allo sguardo umano, nascosto da sempre in Dio, ora però il disegno sapiente è stato disvelato a Paolo e ai discepoli battezzati con una particolare rivelazione dello Spirito. La conoscenza della sapienza divina è dunque frutto di grazia – dono ricevuto – per nulla conquista umana di cui poter vantarsi. Chi la possiede è soltanto il beneficiario di una luce divina penetrante, proveniente dallo Spirito. Paolo dunque può parlare di una sapienza superiore soltanto perché, a sua volta, l’ha ricevuta dall’alto. è la “follia” d’amore della Croce del Cristo crocefisso e risorto.

La pretesa di alcuni Corinzi di essere “cristiani adulti”, «spirituali» e perciò liberi di giudicare tutto e tutti senza essere giudicati da nessuno, si rivela illusoria.

Don Danilo

Non sapere altro se non “Cristo Crocifisso”

Inserito il 6 Febbraio 2011 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

La “logica della Croce” seguita da Dio, San Paolo la descrive anche a partire dalla sua esperienza sotto due punti di vista: nella sua predicazione e nella sua persona.
Giunto a Corinto dopo lo scarso interesse dimostrato presso “i sapienti” di Atene, Paolo cercò di annunziare il disegno di salvezza di Dio senza ricorrere alla dialettica e al parlare forbito.

Non rivestì il nudo messaggio evangelico con strategie “accattivanti”. Di proposito, invece, si attenne al puro e semplice annunzio di Cristo crocifisso, senza velarne in nulla il carattere scandaloso e vergognoso di proposta divina di salvezza degli uomini. Nessuna facilitazione, dunque. Eppure, a Corinto Dio suscitò, per mezzo della sua parola disadorna, una comunità di credenti!

Del resto, tra i lavoratori del porto di Corinto, nessun sostegno umano poteva raccomandare la sua persona di Paolo presso gli ascoltatori. Il messaggero e il messaggio fanno tutt’uno: l’uno e l’altro furono privi di qualsiasi “valore” capace di garantire, persuadere, spianare la strada all’accoglienza.

Paolo però era consapevole di essere sostenuto dallo Spirito Santo.
La predicazione, infatti, fu accompagnata da segni di vita, di conversione, di amore.

Invece di espressioni di “potenza umana” si verificarono manifestazioni chiare di “potenza divina”. Tutto si svolse secondo una legge intrinseca alla realtà del Vangelo: l’adesione degli ascoltatori non si compirà per effetto del seducente splendore della dialettica del predicatore, ma sarà unicamente espressione di fede in Dio e nella sua potenza salvatrice.

È qui in gioco l’autenticità del credere. Accettare la croce di Cristo significa rinunciare non solo a far valere orgogliosamente se stessi e le proprie capacità in campo salvifico, ma anche desistere dal far affidamento sulle forze gratificanti di maestri e leaders umani.

La predicazione di Cristo crocifisso libera anche dall’orgoglio e sospinge l’uomo a una decisione di fiducioso abbandono nel Dio della Grazia che si rivela nell’evento della morte e risurrezione di Gesù.
In sintesi, la croce di Cristo, se per i credenti è simbolo del “potente” e “sapiente” progetto salvifico di Dio, è espressione d’impotenza e d’infamante follia per il criterio di questo mondo.

La Croce gloriosa del Cristo, crocifisso e risorto
– costituisce il contenuto della predicazione cristiana
– configura l’aspetto della comunità dei credenti
– determina la forma del messaggio apostolico
– qualifica la persona stessa del predicatore.

La Croce di Cristo si presenta come chiave interpretativa determinante del volto dell’uomo e del volto di Dio. Sulla croce di Cristo, Dio e l’uomo si esibiscono la rispettiva carta d’identità, non adulterata.

Don Danilo

Vi sono discordie tra voi…

Inserito il 23 Gennaio 2011 alle ore 13:00 da Don Danilo Barlese

Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire (1 Cor 1,10-13. 17).

In questa esortazione con cui apre la lettera, Paolo sollecita alla concordia, al superamento delle discordie, a una perfetta unità che vada oltre l’unanimismo di facciata, per raggiungere la profondità di un comune e identico orientamento di pensiero e di convergenti prospettive spirituali. La triplice formula esprime l’insistenza dell’apostolo e, insieme, la gravità della situazione della chiesa di Corinto. Paolo ne  è perfettamente al corrente. È stato informato “da quelli di Cloe”. Per mezzo loro Paolo ha potuto farsi un quadro esatto dell’allarmante fenomeno di disgregazione della chiesa di Corinto. È pertanto in grado non solo di conoscere i gruppuscoli in cui i corinzi sono divisi, ma anche di riportare i loro slogans, proclamati ad alta voce: «Io sono di Paolo», «Io invece di Apollo», «E io di Cefa», «Ma io di Cristo». Queste “fazioni”, esistenti all’interno della comunità, in comune avevano l’affermata “appartenenza” a questo o a quel “leader”: «Io Sono di…» esprime un legame non puramente convenzionale. In particolare, dovevano riconoscere al capo o, meglio, all’ideologia da lui rappresentata, un ruolo determinante nell’acquisizione di quella coscienza lucida di “cristiani illuminati” che orgogliosamente ostentavano. In concreto, essi ritenevano di trovarvi la loro identità e definizione. Si può parlare di conclamata dipendenza del loro essere cristiano dal maestro scelto e dal suo pensiero.

Paolo denuncia l’esistenza stessa delle “chiesuole”. Non si tratta di scegliere tra questo o quell’orientamento particolare, ma di escludere, in linea di principio, la logica che anima tutti i gruppi. È significativo infatti che egli si opponga anche alla conventicola che si richiama alla sua persona. In realtà, si faceva torto alla centralità di Cristo, unico fattore aggregante dei credenti.

Il carattere deviante del fenomeno delle divisioni appare in tutta la sua abnormità: così si nega “di fatto” la funzione salvifica e unificante di Gesù. È la persona di Cristo che definisce la comunità dei credenti, qualificandola come “corpo” in sé unito che compone in unità superiore e armonica la pluralità e diversità dei cristiani.

E’ la crocifissione di Cristo l’evento salvifico decisivo per i credenti. In breve, l’insostenibilità dei gruppuscoli di Corinto deriva dalla natura stessa della Chiesa: essa è la comunità di credenti che si definisce in rapporto a Gesù e che trova in lui il suo centro esclusivo di unità. I credenti, mediante il battesimo, partecipano all’avvenimento salvifico della croce di Gesù e così formano il suo corpo. Per questo appartengono a lui, e soltanto a lui. Ogni appartenenza alternativa significherebbe sostituzione dell’unico salvatore con altri salvatori.

Don Danilo

Santi per chiamata

Inserito il 16 Gennaio 2011 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

“Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!” (1 Corinzi 1,1-3)

San Paolo, all’inizio della prima lettera ai Corinzi, si autopresenta con il nome proprio greco-romano, “Paulos”, «piccolo», accompagnato dalla qualifica di «apostolo».

Questo titolo, che accompagna il suo nome nell’intestazione di quasi tutte le sue lettere, esprime la sua autorità come inviato di Dio sul modello del profeta. Ma a differenza dei profeti biblici Paolo è «inviato di Gesù Cristo». L’autorevolezza dì apostolo è posta in risalto dal termine «chiamato», che rimanda all’azione gratuita ed efficace di Dio.

I destinatari della lettera sono i cristiani di Corinto che Paolo presenta nel loro statuto a tre livelli. Prima di tutto li designa come «chiesa di Dio», poi come «santificati in Cristo Gesù» e infine come «chiamati ad essere» , letteralmente: «Santi per la chiamata» di Dio. L’espressione «chiesa di Dio» rimanda alla tradizione biblica, dove “l’assemblea del Signore” è il popolo convocato da Dio per vivere nell’alleanza. I singoli gruppi cristiani, che a Corinto si riuniscono per fare la «cena del Signore», sono la «Chiesa di Dio». È l’assemblea dei credenti che rispondono alla chiamata di Dio nell’accoglienza del vangelo. Perciò la chiesa di Dio abbraccia tutti i convocati, a partire dalle prime comunità nate dall’Israele storico, quelle che Paolo ha perseguitato. Ma con l’annuncio del vangelo la Chiesa, come convocazione dei credenti per l’iniziativa di Dio, è presente ora anche a Corinto.

Lo statuto di «santità» dei membri della chiesa di Corinto è confermata dalla formula paolina «santi per la chiamata» (di Dio). La dimensione universale della Chiesa come santa convocazione di Dio è sottolineata dall’ultima frase, importantissima: “insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo”.

Da questa “definizione” paolina di Chiesa risulta chiaro che la Comunità cristiana nasce dall’iniziativa salvifica di Dio che chiede l’accoglienza da parte dei credenti attraverso una fede vissuta e liturgicamente celebrata.
La Chiesa nasce da una storia impegnativa che vede coinvolti Dio e l’uomo secondo una rigorosa logica di alleanza, di chiamata e di risposta.

Don Danilo

BUON ANNO A TUTTI!

Inserito il 1 Gennaio 2011 alle ore 00:00 da Don Danilo Barlese

La sintesi più bella dell’augurio di Buon Anno la offre l’immagine di copertina che riporta un antico calendario delle feste cristiane realizzato su un blocco di pietra (Ravenna, VI secolo).

Al centro delle vicende del tempo è scolpita la CROCE di Cristo.
Ecco il “Buon Anno” più bello: auguriamoci che il 2011 ci veda più capaci di porre Cristo al centro della nostra vita, della gestione del nostro tempo, del senso delle nostre decisioni.

Il tempo della nostra vita sgorga dal cuore di Dio. Dio Padre ci ha scelti prima della creazione del mondo con il nostro nome e cognome. Desidera accoglierci al suo cospetto per una festa senza fine nella pienezza dell’amore. Il nostro cammino nella storia racconta questa chiamata e rende testimonianza al Figlio di Dio, il Crocifisso Risorto. Gesù ci salva dall’opera del male che fin dagli inizi della creazione vuole impedire la vera gioia con la menzogna e l’odio, portatori di morte.

Cristo torna al centro del nostro calendario e della nostra agenda quanto più apriamo il cuore alla sua Grazia attraverso i Sacramenti dell’Eucarestia e della Riconciliazione, attraverso l’ascolto della Parola di Dio e la preghiera quotidiana, attraverso il Perdono e la Carità di ogni giorno.

Per ricevere i doni necessari a vivere la vita in Cristo in famiglia, a scuola e al lavoro ogni Domenica si raduna la Comunità. Il Giorno del Signore ritma i passi lungo il tempo e dona ad essi significato, dona gratitudine nella gioia, forza e consolazione nella fatica e nella sofferenza.

Abbiamo bisogno di raccontarci le nostre gioie. Abbiamo bisogno di sostenerci a vicenda nella fatica, nella povertà, nella malattia.

Il cammino lungo le strade del mondo va compiuto insieme. Tutti vanno coinvolti in questa avventura di amore e di comunione che non risparmia a nessuno la lotta per custodire la Speranza.

“Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega. Egli è il segreto della storia. Egli è la chiave dei nostri destini. Egli è il mediatore, il ponte fra la terra e il cielo; egli è per antono­masia il Figlio dell’uomo, perché egli è il Figlio di Dio, eterno, infinito; è il Figlio di Maria, la bene­detta fra tutte le donne, sua madre nella carne, e madre nostra. Gesù Cristo! Ricordate: questo è il nostro pe­renne annunzio, è la voce che noi facciamo risuo­nare per tutta la terra, e per tutti i secoli dei secoli.”

Probabilmente le previsioni dei maghi e degli astrologi danno più soddisfazione di queste riflessioni ma altrettanto probabilmente pongono altro al centro del calendario. A ciascuno la scelta.  Buon Anno a tutti!

Don Danilo

Natale: l’incontro decisivo

Inserito il 25 Dicembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Il Santo Natale è l’incontro con Cristo.
È il momento decisivo della nostra vita. Lo sguardo di questo Bambino ci raggiunge nel profondo del cuore per donarci la consapevolezza di essere amati e salvati.

Il Santo Natale è la grande chiamata all’incontro.
All’incontro con Cristo e all’incontro tra noi.
In questa Santa Notte tutto quello che stiamo facendo diventa secondario rispetto “all’andare a Betlemme”. E chi ha ricevuto per primo l’annuncio cerca di invitare l’altro per condividere il cammino verso la mangiatoia.

Non è in gioco soltanto un dolce sentimento. è in gioco tutta la vita. Di tutti.

Preghiamo il Signore perchè ciascuna famiglia della nostra comunità e del nostro territorio apra le orecchie e il cuore all’annuncio dell’angelo. Ogni famiglia accolga l’invito a mettersi in cammino per incontrare Gesù e così incontrare tutti gli altri, tutte le altre famiglie.

E preghiamo il Signore anche perché ciascuna famiglia, ciascun componente di ogni famiglia, si faccia “angelo” nella sua famiglia, per le altre famiglie.

L’incontro di tutti davanti a questo Bambino sarà la felicità di tutti. Tutti amati. Tutti salvati dai propri peccati. Tutti avvolti dallo Spirito Santo per raggiungere di corsa e pieni di gioia ogni altra persona per un abbraccio di speranza, per un gesto di carità, una parola di fiducia.

Davanti al volto di questo Bambino si impara a dire “NOI”, si impara l’arte della famiglia e della pace, si riceve la chiave per aprire il significato profondo di ogni giornata e trasformare la vita in dono…
«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, oggi è nato per voi un Salvatore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

Buon Natale a tutti!

Don Danilo

Come aveva promesso

Inserito il 19 Dicembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Nell’aprire la sua lettera, Paolo si presenta come «servo» di Gesù Cristo, cioè una persona che “gli appartiene”. Nella Bibbia era questo il titolo d’onore di un primo ministro nei confronti del suo signore, e in modo specifico designava il personaggio descritto dal profeta Isaia (il «Servo di Jahwè»), al quale era stata conferita la missione non solo di annunziare ai giudei esiliati la loro prossima liberazione, ma anche di renderla possibile mediante la sua sofferenza espiatrice.

In quanto servo di Gesù Cristo Paolo è anche «chiamato ad essere apostolo». Nelle sue lettere il termine «apostolo» indica tutti coloro che si dedicano all’annuncio del vangelo.

In forza del carisma apostolico Paolo è «scelto» (= messo da parte) «per (annunziare) il vangelo di Dio», cioè la buona notizia che Dio ha rivolto a tutta l’umanità.

Il vangelo, per il quale Paolo è stato “messo a parte” come apostolo, era già stato «promesso» da Dio «per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture».
Al popolo di Israele Dio aveva preannunziato per mezzo dei profeti, un momento futuro nel quale la salvezza iniziata con l’esodo dall’Egitto avrebbe trovato il suo compimento.

Il vangelo di Dio ha come tema centrale il «Figlio suo».
Per mezzo del profeta Natan, Dio aveva promesso a Davide che la stessa dignità sarebbe stata propria, in modo speciale, di ogni re (messia, unto) appartenente alla sua dinastia, assicurando al tempo stesso che questa sarebbe stata stabile per sempre sul suo trono.

Quando in seguito all’esilio babilonese la dinastia davidica era ormai scomparsa, i giudei cominciarono a sperare che Dio un giorno avrebbe inviato un discendente di Davide  che, sulla linea degli antichi oracoli profetici, avrebbe liberato definitivamente il suo popolo. A lui perciò fu assegnato il titolo di Messia (in greco “Christos” – “l’Unto” per eccellenza) e fu riconosciuta in modo specialissimo la dignità di «Figlio di Dio».

Sullo sfondo di queste attese si comprendono le caratteristiche che Paolo attribuisce al Figlio di Dio di cui parla il vangelo. Esse sono delineate in due frasi. Nella prima si dice che «secondo la carne» il Figlio di Dio è «nato dalla stirpe di Davide» e di conseguenza è il suo lontano discendente, inviato da Dio per portare la salvezza finale a Israele.

Nella seconda frase si afferma che lo stesso Figlio di Dio è stato «costituito Figlio di Dio con potenza», cioè ha potuto esercitare in modo effettivo i suoi poteri, «secondo lo Spirito di santificazione», ossia in forza di un dono speciale dello Spirito.

Il Figlio di Dio ha dunque conseguito, mediante la sua risurrezione, una dignità immensamente superiore a quella che i giudei attribuivano al «Figlio di Davide».
Paolo conclude affermando che il Figlio di Dio di cui parla il vangelo è «Gesù Cristo nostro Signore»: a Gesù di Nazaret compete non solo il titolo di «Cristo» (Messia), che rimanda alla sua ascendenza davidica, ma anche quello di «Signore» (Kyrios). Questo nome Kyrios/Signore, significa la piena partecipazione al potere stesso di Dio. L’«obbedienza della fede», a cui l’annuncio dell’apostolo deve portare, può indicare l’adesione al messaggio cristiano, oppure, con più probabilità, quell’obbedienza a Dio che si esprime nella fede.

Con il termine «fede» l’apostolo indica la piena fiducia in Dio. La missione affidata ad ogni cristiano ha come scopo finale la «gloria del suo nome», cioè il riconoscimento di Dio come unica fonte di salvezza per tutta l’umanità.

Don Danilo

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