Il blog di Carpenedo

Il blog di Carpenedo
La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Siate pazienti, non lamentatevi

Inserito il 12 Dicembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

“Siate pazienti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.”  (Gc 5, 7-10).

San Giacomo invita alla “pazienza”. La pazienza del discepolo di Gesù è illustrata paragonandola con l’attendere paziente i preziosi frutti della terra da parte del contadino. Il contadino semina; poi egli stesso non può fare più nulla di decisivo: egli può solamente attendere con pazienza il frutto.

All’attesa paziente del ritorno glorioso del Signore appartiene anche la necessità che i cristiani non si lamentino gli uni degli altri, «affinché voi non siate giudicati».
Giacomo ci esorta invece ad attendere con pazienza fino all’arrivo del Signore.
Con l’arrivo del Signore si intende qui la venuta gloriosa di Gesù Cristo in potenza e gloria alla fine dei giorni. Il sostantivo greco “parousía” significa “esserci”, “presenza”, “attualità”.

All’esortazione ad attendere segue l’ammonimento a rafforzare i cuori.
L’attesa paziente della venuta del Signore non è semplicemente un passare il tempo, un “tirare avanti”. È necessario rimanere saldi ed essere forti nelle tentazioni e nei dubbi, nel tempo della sofferenza e della malattia.

Il giorno del Signore sta per venire. Il breve tempo ancora disponibile vuol essere usato per una vita di fede operosa e per cambiare atteggiamenti errati.
Rivolgendosi ai destinatari della lettera chiamandoli «fratelli», li esorta infine a non «lamentarsi» gli uni degli altri. Il proprio disagio non deve essere scaricato sull’altro, col dargliene continuamente peso. In questo modo il lamentarsi diventa giudicare e condannare. Vale infatti il discorso: «Non giudicate, per non essere giudicati! » e: « Se un fratello offende o giudica suo fratello, costui offende la legge e giudica la legge. Se tu però giudichi la legge, non sei più uno che compie la legge, ma uno che la giudica. Uno solo però è il legislatore e il giudice, colui che può salvare e condannare. E tu, chi sei mai tu, che giudichi il prossimo?».

“Il giudice è alle porte”. Di fronte al giudice divino l’uomo deve abbandonare l’atteggiamento di giudice del prossimo e lasciare il giudizio a colui che al contrario dell’uomo non semplicemente condanna, ma è quel giudice che può liberamente salvare e condannare.

Poiché il lamentarsi sotto il peso dell’esistenza tormentata dell’uomo capita spesso, questa esortazione si addice bene al contesto. A chi si lamenta manca la capacità di saper attendere con pazienza. L’impazienza rende irritabili e fa innervosire gli altri.

Don Danilo

Teniamo viva la speranza con l’ascolto delle Scritture

Inserito il 5 Dicembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

San Paolo ricorda con forza che le Sacre Scritture sono in grado di istruire i credenti e di consolarli, conferendo loro il dono della perseveranza e della speranza.

A partire dal caso singolo l’apostolo afferma in generale il principio della destinazione cristiana delle Sacre Scritture: sono state scritte «a nostra istruzione». Già nella prima lettera ai Corinzi riferendosi alle vicende dell’esodo dall’Egitto, aveva richiamato la stessa tesi: «Ora questi avvenimenti accaddero loro come “prefigurazioni” e furono messi per iscritto a nostro ammonimento, a noi che ci è venuta incontro la fine dei tempi».

L’apostolo prosegue la sua esortazione con una preghiera: quel Dio che, mediante le Scritture, dona perseveranza e consolazione possa conferire a tutti i credenti, sull’esempio di Cristo, una profonda sintonia di pensieri perché in modo unanime possano rendere gloria a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo.

In questa prospettiva riprende il tema dell’accoglienza presentando Gesù come il modello a cui tutti i membri della comunità devono rifarsi: “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio”.

Cristo ha accolto tutti i membri della comunità, senza discriminazione. Egli dunque non è solo un modello a cui riferirsi, ma anche colui che, stabilendo un rapporto personale con ciascuno di essi, ha reso possibile il loro rapporto di comunione vicendevole.

Questo esige dunque lo spostamento del baricentro della esistenza dal proprio io all’altro. Si tratta di agire per il bene del prossimo e a scopo “costruttivo”. La prospettiva è quella della crescita della comunità: “edificio” che s’innalza sulla base della solidarietà dei credenti.

L’unità solidale della chiesa, voluta da Cristo, è frutto della grazia che comunque non dispensa dall’impegno. Si tratta di una condizione indispensabile perché la comunità traduca la sua unanimità nel cantare a una sola voce la lode al «Padre di nostro Signore Gesù Cristo». La liturgia ecclesiale è espressiva di unità solo in un contesto di fattiva comunione e questa trova in quella il suo segno più alto.
Il gesto di Grazia divina incarnato in Cristo ha assunto diversi significati. Verso i giudei Gesù si è fatto «servitore» per dare compimento alle promesse fatte ai padri. Sempre in Cristo, infine, tutte “le genti” hanno ricevuto il dono della misericordia, per il quale devono ringraziare continuamente Dio. «Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome».

Don Danilo

La notte è avanzata. Il giorno è vicino. Indossiamo le armi della luce

Inserito il 28 Novembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

“E voi sapete bene in che tempo viviamo”. Paolo inserisce le esortazioni fatte nei precedenti capitoli della lettera in una prospettiva di fede capace di valutare il tempo attuale come momento particolarissimo nella storia della salvezza (= kairós – “favorevole”), caratterizzato dalla “vicinanza” del futuro ultimo e definitivo: “perché adesso (= ORA) la salvezza ci è più vicina di quando abbiamo cominciato a credere”. L’attesa del compimento della storia è una qualifica dell’esistenza cristiana prima di essere “la paura della fine del mondo”. Lo testimonia il contesto, in cui è assente ogni tono apocalittico sul quando e sui segni premonitori, mentre tutto è incentrato in una pressante esortazione a vivere “nell’apertura al futuro”: “E’ ora di “alzarvi” dal sonno”.

In breve, il futuro decisivo è vicino non tanto come data cronologica, quanto come istanza che appella a togliersi sempre più dal vecchio mondo, indicato qui dalle tre immagini complementari della notte, delle tenebre e del sonno, tipiche della catechesi battesimale della chiesa primitiva e che ritroviamo nei passi di altre lettere.

Con più esattezza, è tempo di vigilia e di attiva attesa. La notte volge ormai alla fine e sta per nascere il giorno della venuta finale del Signore.

La fede ha collocato i cristiani in quest’ora annunciatrice dell’alba dell’ultimo giorno.

S’impone l’esigenza di essere svegli, lasciando alle spalle “le opere tenebrose” e “indossando le armi della luce”.  Ciò vuol dire, in concreto, una condotta onesta, consona a persone che la grazia divina ha illuminato di viva luce: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno”.

E qui Paolo presenta uno stereotipo elenco di vizi: “niente orge e ubriachezze, niente lussurie e immoralità, niente litigi e gelosie”. Ma non si limita a questo livello etico. Nel versetto conclusivo esorta i cristiani di Roma a rivestirsi del Signore Gesù Cristo.

La stessa espressione appare anche nella lettera ai Galati esplicitamente applicata al battesimo. Ciò che nel sacramento è evento, diventa esigenza nello stile di vita. I battezzati si sono rivestiti di Cristo per grazia e la grazia li chiama a una corrispondente esistenza impegnata.

E’ un forte invito ad “unirsi al Signore”, entrando nella sfera del suo influsso di risorto e sottomettendosi alla sua signoria. In termini negativi lo dice anche il nostro versetto che specifica: “e non curate di soddisfare le cupidigie dell’egocentrismo (lett. = della carne)”.

Una nuova dinamica regge l’esistenza del battezzato, “liberato” dalla potenza del peccato che rende schiavi e perciò “libero” per l’obbedienza a Cristo. Paolo forse qui riprende un inno battesimale della chiesa primitiva: “Già è ora di alzarci dal sonno. Avanzata è la notte e il giorno vicino. Lasciamo le opere tenebrose e indossiamo le armi della luce”.

I credenti ricevono in dono di rivestirsi del Signore Gesù Cristo, cioè di diventare una sola cosa con Lui partecipando pienamente alla sua esperienza di morte e resurrezione. Il cristiano vive nell’attesa della pienezza finale proprio anticipando nell’oggi i valori che essa implica.

Questa morale esigente che Paolo propone ai cristiani di Roma non è legata all’osservanza di singoli precetti ma all’azione della Grazia di Dio in noi, a quella “santità” che fa toccare con mano la presenza dell’Amore di Dio nella storia e la rende sempre “storia di salvezza”  fino al suo compimento.

Don Danilo

Chi non vuole lavorare, neppure mangi

Inserito il 14 Novembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

La lettera sembrava ormai volgere alla fine. Invece ha qui un’improvvisa ripresa, trattando abbastanza diffusamente il problema dell’ozio parassita di alcuni credenti.

In tutto il Nuovo Testamento questo brano è il solo espressamente dedicato al tema del lavoro manuale. Sapendo che nel mondo greco-romano del tempo il cittadino libero disdegnava di sporcarsi le mani in lavori bassi, riservati per questo agli schiavi e ai poveri, appare rilevante l’esortazione ai cristiani di guadagnarsi da vivere con un duro lavoro manuale.

Più di ogni valutazione morale, sembra doversi individuare sullo sfondo un implicito orientamento “antropologico” opposto a quello dell’ambiente di Tessalonica. L’indirizzo prevalente della cultura greca vedeva l’uomo realizzarsi essenzialmente nella sfera della sua dimensione spirituale. La “manipolazione delle cose materiali”, secondo questa visione dell’uomo, aveva poco valore. Non così la prospettiva cristiana, erede della tradizione israelitica: l’uomo è essere incarnato; il suo rapporto con le cose in quanto tale non può essere “alienante”.  L’“homo faber” non è un essere inferiore. Paolo inoltre presenta le sue considerazioni in termini imperativi: «Poi, o fratelli, vi prescriviamo nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» e «Ordiniamo a questi tali e li supplichiamo nel Signore Gesù Cristo». Si tratta di una parola carica di autorità, consapevole di esprimere la volontà precisa di Cristo. L’apostolo parla «nel nome del Signore Gesù Cristo».

Destinatari dell’esortazione sono la comunità dei credenti e direttamente gli oziosi (chi non vuole lavorare / chi vive una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione). La situazione è descritta in modo chiaro: alcuni cristiani vivono senza far nulla e immischiandosi in ogni cosa. Pigrizia nel lavoro abbinata a un attivismo a vuoto di ficcanasi curiosi. La comunità ne doveva essere contagiata. Non doveva mancare una certa irrequietezza se l’autore richiama alla tranquillità. In questo clima di entusiastica esaltazione per la “venuta dei giorni ultimi” qualcuno non si è più sentito legato al dovere del lavoro quotidiano. Dunque non un semplice fenomeno di ozio e di assenteismo parassitario dal lavoro, ma un ambiente surriscaldato da sognatori turbolenti. La prima prescrizione è per la comunità. Non deve assistere passiva, bensì isolare quelli che portano turbamento. L’esempio cattivo non deve diventare contagioso. La condotta di vita di Paolo diventa testimonianza del suo amore disinteressato per i Tessalonicesi e viene offerta come esempio da imitare: «Voi stessi sapete come bisogna imitarci». La laboriosità viene raccomandata per evitare che ci sia chi grava sugli altri. Vale il principio della doverosità di guadagnarsi da mangiare: “Chi non vuol lavorare, neanche deve mangiare».

L’apostolo si rivolge poi direttamente agli oziosi. Ripete loro: “ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità”. La tranquillità deve ritornare nella chiesa e per questo è necessario che gli oziosi si mettano a lavorare e a guadagnarsi da vivere. Non approfittino ulteriormente della solidarietà dei fratelli.

Don Danilo

Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo

Inserito il 7 Novembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene. Per il resto, fratelli, pregate per noi.

San Paolo esorta ancora una volta la giovane comunità di Tessalonica a rimanere salda e a mantenere le tradizioni ricevute. La fedeltà all’Annuncio richiesta all’impegno responsabile dei Tessalonicesi, poi si fa preghiera d’intercessione. Questa capacità di custodire il cuore del Vangelo è, nello stesso tempo, traguardo dell’impegno della volontà umana e risultato dell’intervento corroborante della Grazia di Dio. È una preghiera che poggia sulla magnifica storia di amore e di donazione della comunità. La loro conversione di fatto ha voluto dire l’inserimento in un processo dominato dall’amore del Padre e di Gesù e l’apertura piena di speranza a un futuro ultimo positivo. Questo garantisce che anche al presente non manchi il sostegno dall’alto. “Il giorno del Signore” non sta ancora facendo irruzione. Paolo consola in un’epoca di persecuzione, dicendo che altri fatti devono prima accadere e che, finché i discepoli di Gesù amano e credono, non devono temere gli eventi che si verificheranno “in quel giorno”.
In seconda battuta l’Apostolo chiede ai Tessalonicesi di pregare per lui e per gli altri evangelizzatori: «Per il resto, fratelli, pregate per noi». Gli uni pregano per gli altri. E’ questa una forma non trascurabile di solidarietà e fraternità cristiana.
Trattandosi poi di predicatori impegnati nell’annuncio del Vangelo, la richiesta di preghiera si adatta alla situazione. È necessario che la parola del vangelo non sia ostacolata nella sua corsa attraverso il mondo, né che i suoi portatori siano impediti dall’azione dei persecutori. Sullo sfondo compare l’ambiente difficile e ostile in cui si svolge la missione cristiana. Questa incontra non solo accoglienza, ma reazioni contrarie. Il Vangelo è segno di contraddizione nel mondo: «Non è “da tutti” credere».
Infine si fa luce espressamente il motivo della fiducia. Ci si può abbandonare nelle mani di Cristo risorto. Egli è fedele. Non c’è dubbio: agirà sostenendo la loro fede e proteggendoli dall’influsso malefico di Satana. A partire da questa fiducia riposta nel Signore, si può anche guardare con serenità al comportamento dei destinatari della lettera e prevedere pure per il futuro che saranno obbedienti alla parola autorevole di Paolo.
La pagina si conclude con un voto benedicente, perché il Signore diriga tutti sul sentiero segnato dall’amore di Dio e dall’attesa costante della sua venuta finale. È un’attesa segnata da risposta, accoglienza e apertura di fronte al dono e alla promessa.

Don Danilo

Grazie Don Luigi

Inserito il 31 Ottobre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Come è nel suo stile, don Luigi ha chiesto di annunciare solo all’ultimo momento che intende concludere il suo servizio presso la nostra comunità. Tornare ad abitare ad Eraclea, in particolare nei mesi invernali, ha reso l’andirivieni in auto faticoso e delicato. L’età poi non è più quella del “giovanotto” ed è importante non eccedere.

Noi comprendiamo le sue motivazioni ma questo non impedisce un sentimento di dispiacere e mestizia per questo suo “lasciare” la presidenza domenicale e festiva di molte S. Messe nella nostra comunità.

L’ha fatto sempre, per 25 anni, con grande fedeltà e disponibilità (più volte anche nei giorni feriali). Ha guidato la liturgia con semplicità e umiltà.
Domenica 31 ottobre lo saluteremo con grande affetto, assicurandogli la nostra preghiera e il nostro aiuto in tutto quello che può essere necessario.
Don Luigi, in accordo con il Patriarca, continuerà il suo ministero ad Eraclea nella sua terra di origine.

Carissimo don Luigi, io ti ringrazio in modo personalissimo per la tua attenzione alla nostra comunità di Carpenedo e ti chiedo di continuare a pregare per noi, in particolare per i piccoli, gli anziani, gli ammalati, i poveri. Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, interceda per ciascuno di noi.

Don Danilo

(Accompagniamo questo saluto con una foto e due sue poesie, invitando, chi desiderasse, a far pervenire alla redazione di Lettera Aperta eventuali testimonianze sui 25 anni di don Luigi in mezzo a noi)

Don LuigiCAMPANE DI OGNISSANTI

Su questi
rimasugli di vita
protesi
eterni come il verde d’una foglia
ancor oggi il vento
per la campagna…

Oh triste lamento
della terra che si spoglia
e che non vuol dormire!

Speranze nostre d’infinito
eterne
sospese per il gambo d’una foglia,
destinate a marcire
nei solchi della tetra,
nei solchi della storia
eterni nostri
sogni di gloria

Passa nel carezzar del vento
festoso
suon di campane…

Oh mistero della vita
che muore
e che non vuol morire!
così
con la faccia protesa
estasiata d’azzurro,
come il volto d’un fiore
verso la luce dell’alba

Luigi Trevi

FORSE UN GIORNO

forse un giorno scopriremo
d’esser quasi vissuti
quando non più verrà
il passero sul davanzale

forse un giorno ci desteremo
in un’alba tutta per noi
se mai il sole busserà
con buffi d’aria alle cortine

forse un giorno rivivremo
finalmente appagati
quando ognuno cesserà
di rincorrere i propri miraggi

forse un giorno saliremo
con piedi scalzi oppure
su ali di farfalla per vedere
l’altro versante tutto in fiore

Luigi Trevi


Il Signore mi libererà e mi porterà in salvo nei Cieli. Amen

Inserito il 24 Ottobre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Quanto a me, il mio sangue sta per essere versato in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. San Paolo parla al presente (come anche il Signore nel momento dell’istituzione dell’eucaristia quando parla di sangue versato). Tutti i pericoli affrontati dall’Apostolo durante la sua opera di annunciatore del Vangelo non erano che un paragone del definitivo “naufragio” di tutta l’esistenza (sciogliere le vele) sulla spiaggia della vita eterna.
Ho combattuto la nobile battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fedeltà alla fede.
La fine è, volgendosi indietro, una vittoria. E questa volta Paolo si volge indietro: un breve sguardo all’insieme della sua vita che gli era apparsa sempre una “battaglia” e una “corsa”. Il corridore, giunto alla meta, non può fare a meno di portare dentro di sé la strada percorsa, incisa nel suo corpo e nel suo spirito. Se durante la corsa a causa della pura azione ci si è un po’ dimenticati di contemplare la ragione di ogni correre, la beatitudine della fine consiste nell’aver conservato «la fedeltà alla fede», fondata in tutto e per tutto sulla “FEDE” di Cristo, che ci ha serbato fedeltà tanto da donarla anche a noi perché la serbassimo.
Il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno la ”corona di giustizia”. Andare incontro così al giusto giudice, e non con la paura di chi teme di essere condannato, è la «franchezza» cristiana. È privilegio di coloro che amano il Signore e hanno «fiducia nel giorno del giudizio».
La Chiesa, in quanto sposa e corpo di Cristo, ha la certezza della salvezza, ed ognuno può averne parte nella misura in cui vive come membro vivo della Chiesa. Nella misura in cui, invece di peccare, ama, la sua angoscia scompare lasciando il posto alla fiducia, fino al limite di un completo superamento dell’angoscia del giudizio per mezzo dell’amore (1Gv 4,18). L’idea di predestinazione di Paolo è sempre ecclesiale, cioè “inclusiva”: dall’”io” passa senza soluzione di continuità al “noi”.
Paolo lotta, come sempre, non per la sua persona, ma per la sua missione e perciò per Colui che l’ha mandato. La Chiesa, “mater dolorosa” sulla “via crucis”, non ha la facoltà di mitigare la luce tremendamente cruda della passione. Senza volerlo e forse senza saperlo è posta alla sequela.
A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. Tutto: Paolo, il suo destino e la sua missione, i suoi ascoltatori e i destinatari delle sue lettere, le sue comunità e le loro condizioni, ma anche i suoi nemici, i caparbi e quelli soltanto negligenti e vili, la Chiesa con la sua sofferenza e la sua esitazione, la sua luce immutabile e l’ombra che si estende su di essa, l’umanità con la sua speranza di redenzione e i «mali» sempre nuovi che si scatenano su di essa e di cui cade vittima: tutto alla fine viene offerto e presentato a Dio nella preghiera. E l’«Amen» che Paolo stesso pronuncia è da lui inteso come l’Amen degli ascoltatori e dei lettori, di tutta la Chiesa. Ognuno di noi lo faccia proprio.

Don Danilo

Rimani saldo in quello che credi

Inserito il 17 Ottobre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Di fronte alla richiesta cristiana di soffrire il cristiano può tremare e chiedersi nell’intimo se la sua strada e l’impegno di vita che offre non si basi su di una grande illusione. Tutto questo è così certo? Non si dovrebbe forse riesaminare tutto da capo e procurarsi prove migliori? Paolo consiglia di «rimanere saldi». Proprio di fronte alla minaccia che sta prendendo il sopravvento. E precisamente in quello che un tempo si è imparato come una materia scolastica. Ma la verità teorica è divenuta nel frattempo verità di vita, ha compenetrato la vita del cristiano, se ne è nutrita e l’ha a sua volta nutrita, tanto che ora non è più possibile separarle. Chi volesse strapparsi la fede a questo stadio si strapperebbe nello stesso tempo cuore e anima. La fede governa l’esistenza, questa la serve. E così occorre «restare saldi».

Se la fede dovesse perdere di vigore, è di aiuto guardare alle persone che ce l’hanno comunicata: la loro immagine spirituale è una luce immediata per chi vacilla. Paolo, nelle sue lettere si definisce “padre” e “madre” e “nutrice che allatta” per i suoi figli nel Signore. Colui che vacilla deve sentire in sé la forza della paternità e della comunità che lo porta e lo genera. Non è un isolato. Fiumi di forza scorrono, più alti disegni operano in lui.

Più in alto, c’è la forza della parola di Dio. Madre e nonna, ricorda Paolo, avevano introdotto il piccolo Timoteo alla Scrittura. La sacra Scrittura costituisce per il cristiano il primo incontro con la rivelazione del volto di Dio, e offre la «sapienza», la profonda conoscenza interiore, indispensabile per addentrarsi nel contesto della salvezza.

È una Parola di Verità, di Bellezza e di profondità inesauribile per ogni creatura. La Parola è per ogni persona credente riferimento in quanto giudizio e conforto ad un tempo. Da essa viene la conoscenza della volontà di Dio, il riconoscimento dei peccati, l’annuncio della misericordia.

L’«uomo di Dio» vive della parola di Dio, che lo «provvede» di quelle «opere buone», che «Dio ha predisposto perché noi le praticassimo», che fa di lui “un’opera” nella mano plasmatrice di Dio.

Per l’«uomo di Dio», che è strumento scelto da Dio per la Chiesa, l’ascolto fedele della parola di Dio è una necessità “vitale”.

La lettera, dopo queste sottolineature a favore dell’ascolto della Parola, si sposta sempre più sotto i segni della fine: martirio, tempo ultimo, ritorno, giudizio.

La parola della chiesa deve risuonare attraverso tutte le relazioni umane anche in vista della meta della vita personale e del compimento della Storia. Per coloro che amano la Parola nulla sarà più opportuno della venuta di Cristo («il beato ultimo giorno»), per coloro che non la amano, giungerà inatteso e indesiderato («come un ladro di notte»). Così anche la Parola della chiesa che risuona dall’eternità. Coloro che l’ascoltano con animo aperto comprenderanno l’atteggiamento di chi annuncia e vi riconosceranno l’incoraggiamento e la magnanimità di Dio.

Don Danilo

Settimana missionaria guidata da alcuni missionari della comunità di Villaregia

Inserito il 10 Ottobre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Carissime famiglie,
approfitto di una piacevole occasione per rivolgervi un caloroso saluto.

Dal 18 al 24 ottobre, accoglieremo nella nostra comunità parrocchiale quattro missionari della Comunità Missionaria di Villaregia, un’Opera nata nella Chiesa nel 1981, per l’evangelizzazione dei popoli. Ci proporranno di vivere insieme una settimana comunitaria e missionaria: momenti intensi di incontro, di spiritualità e gioia di condividere la nostra fede. Attraverso la loro presenza, vorremmo anche aprire gli orizzonti del nostro sguardo alla realtà della missione universale della Chiesa, conoscendone l’importanza, l’urgenza e la bellezza.

I missionari desiderano coinvolgerci in un’esperienza di incontro con Dio e tra noi, offrendoci alcuni appuntamenti che si rivolgeranno alle diverse categorie di persone che compongono la nostra comunità. Avremo modo di incontrarli personalmente e in momenti di gruppo, di rivolgere loro delle domande, di ascoltare dalla loro voce una testimonianza missionaria e uno stimolo a continuare gioiosamente e concretamente il nostro cammino di discepoli di Gesù.

Per chi desidera, ci sarà anche l’opportunità di ospitare uno di loro per un pasto e condividere così un momento semplice e familiare. Anche per quanto riguarda il pernottamento, i missionari sono contenti di ricevere ospitalità nelle famiglie.

Chi volesse accogliere un/a missionario/a, può rivolgersi a me, a don Stefano o al diacono Franco, dando la sua disponibilità.

Vorrei segnalarvi, tra gli appuntamenti che sono previsti:

Un’ora con Dio per il mondo: ci ritroveremo Sabato 23 pomeriggio in chiesa. Sarà un incontro di preghiera attraverso la meditazione della Parola di Dio e dell’adorazione eucaristica come momento di intercessione per il mondo. Per chi desidera ci sarà la possibilità di confessarsi.

Serata Missionaria – colori musiche e sapori d’altri popoli: venerdì 22 sera, presso la sala Giovanni Paolo II del Lux, conosceremo le ricchezze culturali di un popolo: la musica, i valori, le tradizioni che esprimono la sua vitalità… ma anche le problematiche che ne minano la speranza, per avere un cuore che batte a tempo con il cuore di Dio. Per ogni appuntamento è prevista una durata massima di un’ora e mezza.

Operazione saponetta: i missionari coinvol-geranno i nostri ragazzi nella raccolta di prodotti per l’igiene personale e della casa da inviare nelle loro missioni: Belo Horizonte e San Paolo (Brasile), Lima (Perù), Città del Messico (Messico) e Abidjan (Costa d’Avorio). Attraverso un volantino, le persone verranno avvisate del materiale che si intende raccogliere e del giorno in cui chi desidera potrà portarlo in un ambiente parrocchiale. Durante un pomeriggio, i ragazzi saranno invitati a dividere il frutto della raccolta per genere e a prepararlo nelle scatole per la spedizione. Avremo bisogno anche della collaborazione di qualche adulto.

Momenti particolari di incontro saranno le celebrazioni eucaristiche quotidiane e domenicali, durante le quali verrà sviluppata ogni giorno una breve riflessione missionaria, le visite agli ammalati, al catechismo, alla catechesi per adulti e con alcuni gruppi (Agesci, Missioni…)

Sono lieto di proporvi questa settimana, ricca di occasioni propizie per rinsaldare i vincoli di comunione già esistenti e per farne nascere di nuovi, tempo favorevole per stare un po’ con Dio e lasciarci affascinare nuovamente da Lui, momento per scelte importanti per noi e per riappropriarci della nostra chiamata missionaria. Su “lettera aperta” e sul foglio a questo dedicato trovate gli orari di tutte le iniziative e gli incontri.

Spero vivamente che questa iniziativa possa incontrare i vostri desideri di bene e possa contribuire alla nostra crescita cristiana.

Vi saluto tutti con particolare affetto, assicurando il ricordo nella preghiera a chi è visitato dalla sofferenza.

Cordialmente

Don Danilo

Dio, nostro Salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati

Inserito il 19 Settembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. (1 Tm 2, 1-5)
San Paolo ricorda a Timoteo che ogni cosa nella Chiesa ha inizio nella preghiera, e questa preghiera è a sua volta innanzitutto una preghiera universale, mondiale. La preghiera ecclesiale non è quindi in primo luogo una preghiera per la prosperità della Chiesa e dei suoi membri e secondariamente per tutti gli altri, ma il contrario: il mondo esterno è la prima cosa e la prosperità della Chiesa ne deriva di conseguenza.
Non sempre le nostra liturgie seguono rigorosa-mente questa indicazione.
La preghiera è, in concreto, preghiera per la comunità terrena. La Chiesa si presenta dinanzi a Dio pregando così in vista della sua missione. Essa prega dunque indirettamente per se stessa, proprio in quanto, per essere “testimone di Cristo” e “luce del mondo”, deve essere realmente luminosa. E può esserlo soltanto se la sua luce non è minacciata e spenta dalle tenebre dell’odio e della difensiva. Non le importa di essere perseguitata, ma che il mondo si converta. Non prega per il mondo con il proposito di essere lasciata in pace. L’impegno della Chiesa davanti a Dio è dunque aperto a tutto il volere di Dio; essa gli dice: «Fa’ questo e quello, affinché davanti a te io sia come tu mi vuoi». E questa apertura è appunto «tutta la pietà e la dignità» della vergine-sposa. È cosa gradita che la Chiesa tenda con piena dedizione a conformarsi alla volontà di Dio che “vuole che tutti gli uomini siano salvati”. L’accento è posto su «tutti»: la volontà di salvezza di Dio non ha limiti, e chiunque costruisce dei limiti non si adegua ad essa. Limiti della Chiesa nei confronti del mondo, limiti di un numero circoscritto di eletti, limiti di fondo, aprioristici…
Se coloro che pregano nella Chiesa dovessero sostenere quest’idea fissa (salvezza per pochi) per essere cattolici, Paolo non potrebbe dar loro l’incarico di pregare con sincerità, forti di tutta la speranza cattolica per tutti gli uomini. La speranza deve essere sconfinata quanto la dedizione. Dio è Padre per tutti gli uomini, ognuno è uomo perché ha lo stesso Dio di suo fratello: questa è la ragione dell’amore umano. La volontà di salvezza di Dio su di me è la volontà di salvezza di Dio su di te; come io posso amare me stesso grazie alla volontà di salvezza di Dio, così posso amare anche te; quello che mi auguro in modo incondizionato, lo auguro anche a te in modo incondizionato, che tu sia cristiano, ebreo o pagano. Paolo, in quanto «apostolo», presta insieme allo Spirito Santo una testimonianza totale: nulla in lui è menzognero quando si tratta della sua missione. «Verità» della missione è nello stesso tempo «autenticità» di colui che testimonia: la sua fede è nel contempo la sua fedeltà. Giungono infine indicazioni relative alla preghiera: in primo luogo “le mani alzate”. è l’atteggiamento di preghiera antico e universale, teso ad accogliere la benedizione che discende da Dio. Insieme all’anima anche il corpo deve poter parlare il suo linguaggio nella preghiera. Proprio gli uomini non devono avere qui delle «remore». «Sante» e pure sono le loro mani se il loro cuore è libero da «ira e contese». La preghiera cristiana può e deve aver luogo «dovunque», così come deve aver luogo «in ogni momento» e «incessantemente».

Don Danilo

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