Inserito il 14 Gennaio 2018 alle ore 10:21 da Plinio Borghi
Avere punti di riferimento è un’esigenza: nessuno può essere talmente autosufficiente in tutti i campi da non aver bisogno almeno di un confronto. Gli stessi responsabili della cosa pubblica, per quanto illuminati, si fanno circondare da consiglieri personali ed esperti nelle varie materie. Da bambini non c’è problema: genitori ed educatori li troviamo già “confezionati” e disponibili. Divenuti un po’ più grandicelli, quando si affacciano le prime difficoltà di carattere spirituale e morale, l’ottica si allarga verso un confessore o, meglio ancora, un padre spirituale col quale poter creare un feeling adeguato. Più avanti anche gli amici del gruppo o del “branco” possono costituire un momento d’appoggio, specie su cose di cui magari riteniamo poco consono parlare ai genitori. Qui s’impone il massimo dell’attenzione e una preparazione il più matura possibile all’approccio, per non correre il rischio di farsi abbindolare da chi forse tanto a posto non è e sembra affidabile, ma è solo scaltro. Meglio avere sempre il piede su due staffe e tenere attivo sulle cose il rapporto con i riferimenti tradizionali; una tecnica da adottare anche da adulti, se si vuole evitare il rischio di farsi male da soli. Un buon insegnamento in tal senso non poteva che venire dal vangelo di oggi. Giovanni, nella sua correttezza e umiltà, ha sempre avvertito che sarebbe arrivato uno più grande di lui e, rinunciando al suo ruolo di referente, lo indica ai suoi senza indugio: “Ecco l’agnello di Dio!”. Gesù, raccomandato da cotanto predecessore, avrebbe potuto benissimo rastrellarli tutti senza tante cerimonie. Macché! Prima chiede loro cosa volessero e, ricevuta come risposta interlocutoria: “Rabbi dove abiti?”, disse loro; “Venite e vedrete”. Sappiamo com’è andata a finire e poi il passaparola ha fatto il resto. A me è sempre piaciuto tanto il taglio dato a questo racconto dall’evangelista Giovanni: andare a casa di qualcuno, trovarsi a proprio agio, soffermarvisi addirittura per la notte ha significato una scelta radicale, un approdo a quello che sarebbe divenuto un punto di riferimento definitivo, di quelli che ti trasformano e che manterrai per la vita. Noi cristiani possiamo contare su un valore incommensurabile, rispetto a chi ne ha altri o non crede affatto. Peccato troppe volte lo sottovalutiamo. Facciamo come il Samuele della prima lettura di oggi: una volta saputo da Chi arrivava la voce che lo chiamava non lasciò andare a vuoto una sola delle Sue parole.
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Inserito il 7 Gennaio 2018 alle ore 10:03 da Plinio Borghi
Avere curiosità è già conoscere. S’è detto che se non si prova più curiosità si finisce di vivere. Sì, perché siamo nati per conoscere e tendiamo verso la Conoscenza a tutto tondo, che è Dio. La curiosità sollecita il desiderio di sapere e di conseguenza la ricerca, che a sua volta si appaga della verità. Di ciò l’esempio più fulgido ci viene proprio dai Magi: infatti, come dovrebbe essere per tutti gli studiosi seri, erano votati a tale impostazione e l’hanno praticata spendendovi la loro vita. E non si sono accontentati di acquisire dati in modo passivo, dandoli per scontati, ma vollero procedere alla loro verifica, mettendosi personalmente in moto. Non erano uomini di fede, come la intendiamo oggi, ma ne possedevano i presupposti, compreso l’approfondimento delle Sacre scritture, cosa invece che da parte nostra lascia tanto a desiderare. Quante volte ci siamo resi conto che l’unico baluardo contro i tentativi di sopraffazione sarebbe una fede granitica (Gesù si accontenterebbe di un granello di senapa!) e invece facciamo acqua da tutte le parti! La saga delle rivelazioni che stiamo celebrando in questo periodo (Epifania, Battesimo e miracolo alle nozze di Cana) sia incentivo a scuoterci dalla nostra indolenza: perché ci tocca vedere che, nonostante il vantaggio dei punti di partenza, sono gli altri a darci la birra? Il nostro Maestro, che non aveva bisogno del battesimo di Giovanni, vi si sottopone in ossequio alla prassi e perché sa che l’investitura che ne deriva in modo così eclatante è l’incipit di una testimonianza inequivocabile, tanto è vero che lo condurrà alla morte. La nostra iniziazione cristiana non va vissuta come un mero momento propedeutico in funzione di un’eventuale e futura scelta: è essa stessa una scelta ben precisa, da fare subito e da consolidare nel tempo attraverso i Sacramenti e l’assorbimento della buona novella. Poco importa se il primo passo è compiuto alla nostra nascita dai genitori, anzi: quante scelte che ci riguardano sono compiute da altri per nostro conto e alle quali nel prosieguo ci rimane sempre la facoltà di abdicare! È specioso e irresponsabile rinviare il tutto a quando il virgulto sarà più grande e in grado di decidere. È come impostargli una dieta sbagliata o non immunizzarlo con i dovuti vaccini, tanto ci penserà lui quando sarà il momento. E quel momento, più si va avanti, più si fa arduo. Speriamo che le manifestazioni che stiamo celebrando provochino almeno una profonda riflessione sulla coerenza col battesimo che abbiamo ricevuto.
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Inserito il 31 Dicembre 2017 alle ore 11:20 da Plinio Borghi
La “crasi” inevitabile che deriva dalla concomitanza delle due festività, la Santa Famiglia e Santa Maria Madre di Dio, fa schizzare la figura della Madonna al di sopra di ogni altra presente; un po’ come è successo la settimana scorsa tra la IV d’Avvento e il Natale. Va da sé che il centro di tutto è e rimane Dio, che in questo periodo contempliamo nella sua incarnazione in quel Bambinello di Betlemme. Tuttavia, è Lui che ha voluto intervenire col Suo progetto di salvezza nella nostra storia, scegliendo, per renderla concreta, le nostre stesse vie ed era pertanto logico che la figura di Sua Madre avrebbe assunto quel ruolo che ogni madre di famiglia ha per noi, compreso quello di essere il perno attorno al quale tutto ruota, l’angelo del focolare, la grande donna che sta dietro ad ogni grande uomo ecc. ecc. Non sto qui ad elencare tutte le doti di una mamma, perché ognuno che legge le conosce benissimo. Ne rilevo una in particolare: quella di essere mediatrice fra i famigliari e non di rado interceditrice, specie per conto degli elementi più deboli. Ed è proprio questo il ruolo che caratterizza Maria da sempre e al quale il Creatore stesso non si è sottratto, sancendone la funzionalità addirittura con la sua assunzione in cielo, prima fra le creature che un giorno seguiranno il medesimo percorso, e incoronandola (poteva far di meno con Sua Madre?) Regina degli angeli e dei santi. Con ciò, la festa della Santa Famiglia ci ricorda anche il ruolo essenziale di Giuseppe, che, nonostante le grandi figure da cui era circondato, non ha perso un net del suo protagonismo, anzi, diciamo che ne ha sicuramente guadagnato, dal momento in cui si è reso conto, pur non capendo, che attraverso la sua sposa si stava realizzando un enorme progetto, il progetto divino per eccellenza, che lui avrebbe dovuto favorire e non intralciare. Giuseppe è e rimane un richiamo per tutti noi, che, ciascuno per la propria parte, siamo chiamati non solo a corrispondere alle aspettative di Dio nei nostri confronti, ma anche ad essere a nostra volta strumenti di salvezza. Il primo passo, essenziale, è quello di perseguire in primis, sempre e ovunque la pace, rifuggendo e condannando ogni forma di conflitto, comunque inutile. Non a caso il capodanno è stato proclamato giornata mondiale della Pace. A tutti rivolgo l’augurio contenuto nella prima lettura dell’uno, dal libro dei numeri, che invito ad andarsi a rileggere.
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Inserito il 24 Dicembre 2017 alle ore 09:41 da Plinio Borghi
Ormai ci siamo: è qui! Crastina die delebitur iniquitas terrae et regnabit super nos Salvator mundi (domani saranno cancellate tutte le malefatte della terra e regnerà su di noi il Salvatore del mondo): era l’aggiunta all’Invitatorio che s’inseriva all’ultimo giorno della novena di Natale e che si concludeva poi col versetto Prope est iam Dominus, venite adoremus (il Signore è già vicino, venite ad adorarlo). è quasi messa in ombra la liturgia di questa quarta domenica d’Avvento, che cade proprio a ridosso del Santo Giorno, tanto aleggia ormai nell’aria il profumo del Bambino che sta nascendo. Pure il clima mondano sta un po’ cedendo al fenomeno, è già festa. Tuttavia viene da chiedersi se e come si sia compreso fino in fondo il significato di ciò che stiamo vivendo. Difficile, anche per il più assiduo praticante, visto che il vangelo di oggi riprende il racconto dell’Annunciazione; probabilmente per invitarci ad assumere l’atteggiamento di apertura e di disponibilità tenuto da Maria, anch’ella attonita, in quella circostanza. Altrimenti, subentra una presunzione impropria che è peggio di una chiusura, perché non è dato a noi di penetrare il grande mistero, ma solo di prenderne atto. Infatti, nella Messa del giorno di domani si legge l’incipit del Vangelo di Giovanni, lo stesso che un tempo veniva proclamato alla fine di ogni Messa, proprio per stoppare “fughe in avanti”. “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”, si dice ad un certo punto, al di là delle più recenti traduzioni. Chi erano e chi sono le tenebre? Proprio coloro che sono convinti di sapere una parola in più del libro, che credono di aver capito tutto, che di fronte al mistero non fanno “tabula rasa” dei loro pregiudizi e delle loro arroganze, della loro presunzione appunto: non comprenderunt, diceva esattamente il testo latino, si sono cioè rifiutati di “prendere” il “pacco regalo” così com’era; non si astengono dal volerne per forza analizzare il contenuto. Costoro saranno destinati a non vedere nemmeno la Gloria del Figlio unigenito, come lo stesso brano ci assicura. Noi sappiamo, ce l’ha detto il Battista, che in quel pacco c’è un progetto di salvezza e che è per tutti. Tanto ci basta per capire come la venuta del Messia, rivelazione del Padre, vada vissuta nella più ampia accoglienza e analogamente partecipata: non può essere un gesto passivo né ci è consentito di tenere la gioia tutta per noi. In questo senso l’augurio di BUON NATALE va rivolto con entusiasmo a tutti.
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Inserito il 17 Dicembre 2017 alle ore 11:02 da Plinio Borghi
Un sano protagonismo è quanto di più efficace e corretto si possa richiedere per portare avanti un ruolo di prestigio, soprattutto se l’azione implica il conseguimento di obiettivi impegnativi e rivolti a un bene comune, sia esso privato che pubblico. Comporta ovviamente l’assunzione piena delle proprie responsabilità e ciò non implica tuttavia l’arrogarsi titoli o funzioni che non competono ed esclude pertanto l’indebita invasione di campi altrui. La falsa modestia o, peggio, l’operare sotto vento per eludere implicanze dirette sono forme deleterie e intralciano il percorso. L’opposto è usare del protagonismo a soli fini personali, per appagare il proprio ego, senza alcun obiettivo se non quello di ostacolare gli altri, nella presunzione che la loro collaborazione ti metta in ombra: la classica malattia da protagonismo, molto più diffusa, purtroppo, e che è causa sovente di divisioni e contrapposizioni speciose, fenomeno che si riscontra palesemente in politica. Il Giovanni Battista che la liturgia odierna ci propone è un vero protagonista, investito di un compito non da poco: fare da apripista al Messia inquadrando le regole comportamentali per accoglierlo adeguatamente; non solo, ma indicandolo quand’è il momento, affinché non vi siano dubbi su chi sia la vera figura cui va rivolta l’attenzione. Si dà tanto da fare, il Battista: richiama, battezza e predica con autorità, tanto da essere scambiato egli stesso per il Salvatore atteso; ma egli correttamente non ingenera equivoci e, a chi lo interroga in proposito, precisa: “Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo”. Bello il dialogo che precede questa affermazione conclusiva: sembra quasi di assistere ad un’antesignana trasmissione de “I soliti ignoti” in onda su Rai uno dopo il TG! Dagli indizi sembrava che… e invece: “No, non sono io il Cristo”. E c’è una correlazione, in effetti: se si cerca bene e si arriva al personaggio scatta il premio. L’Avvento serve ad affinare la nostra ricerca, Gesù non lo si trova per caso e la strada da seguire è proprio quella che ci indica la “voce che grida nel deserto”. Ancora oggi, se si passa attraverso Giovanni il Battista, mediante una seria introspezione cui far seguire la vera conversione, allora saremo gratificati anche di quel Battesimo di Spirito e fuoco che solo Gesù è venuto a portarci. Il protagonismo di Giovanni Battista non si è esaurito duemila anni fa, ma è ancora attuale e funzionale.
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Inserito il 10 Dicembre 2017 alle ore 10:27 da Plinio Borghi
Maria, pilastro dell’Avvento. Dicevo la volta scorsa che l’Avvento è attesa e perciò abbisogna di predisposizione e di concentrazione, di tensione, appunto. Il periodo di gravidanza è uguale: basti pensare a tutte le emozioni e i sentimenti che prova una futura madre in quelle condizioni. Figurarsi se per Maria non doveva essere ancora di più, non solo per essere anche vergine e non sposata, ma soprattutto per essere stata catapultata in un ruolo a dir poco incredibile: diventare madre del Salvatore! Se ne sarà resa conto fino in fondo? No di certo, ma ha capito che il Signore da lei voleva qualcosa di grande e, come dovremmo fare tutti davanti al progetto che Dio ha su di noi, si è messa a completa disposizione. La sua è stata un’attesa attiva: ha dovuto spianare non pochi contrasti, specie col suo novizio Giuseppe; non ha esitato a mettersi in viaggio per assistere la cugina Elisabetta, molto più anziana di lei; quasi alla fine si è messa ancora in moto per il censimento e, non bastasse, ha partorito nelle condizioni più disagiate. Tanto per limitarsi al solo periodo di attesa, senza contare il dopo. Mai per un istante ha comunque dubitato della validità del compito al quale era stata chiamata. Merita quindi una posizione particolare come riferimento e come esempio anche nel nostro percorso d’Avvento e giustamente la liturgia ha collocato la sua festa più significativa nel bel mezzo di questo periodo. Altrettanto giustamente il brano del Vangelo che si legge nella solennità dell’Immacolata è il medesimo della IV domenica. Oggi invece fa eco all’esempio di Maria la voce di Giovanni il Battista, tratta dall’incipit del vangelo di Marco (l’Evangelista che ci accompagna quest’anno), che dal deserto incita al pentimento per accogliere degnamente la salvezza che è ormai vicina. Giovanni impersona quel “messaggero” preconizzato da Isaia, che è incaricato di preparare l’arrivo del Messia e invita a spianargli la strada e a raddrizzargli i sentieri, metafora di una seria predisposizione dell’animo che dobbiamo adire se vogliamo essere anche noi, come Maria, un vero strumento di salvezza. Occorre a questo proposito altrettanta disponibilità e accondiscendenza piena: le mezze misure e i distinguo non servono e lasciano il lavoro a metà. Dio non voglia che la salvezza scelga allora altre strade e altri strumenti e ci cancelli definitivamente dai suoi itinerari: avremmo vissuto invano.
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Inserito il 3 Dicembre 2017 alle ore 11:51 da Plinio Borghi
Il richiamo del viola nei paramenti sacri e l’eliminazione della recita del “Gloria” durante la Messa, dopo l’atto penitenziale, sono, per noi profani, i segni più evidenti con i quali la liturgia ci fa capire che siamo entrati in uno dei tempi cosiddetti “forti”: l’Avvento. Nell’altro, la Quaresima, tempo penitenziale per eccellenza, si evita anche di recitare l’Alleluia. Mi sono sempre chiesto il motivo. Sul fatto del colore la risposta è più scontata, perché è sempre servito da richiamo alle varie celebrazioni: il rosso per i martiri e la Pentecoste; il bianco per il Natale, la Pasqua e le altre solennità, come quella dell’Immacolata che arriva fra cinque giorni; il verde per il tempo ordinario; una volta andava come il pane anche il nero per i funerali, per i quali oggi si preferisce declinare sul viola. Il viola, appunto, è per i tempi forti; un colore meno provocatorio, meno festoso, più contenuto, che richiede più concentrazione su ciò che ci induce a cambiare il registro delle nostre corde. Nella fattispecie caratterizza l’attesa del Messia, attesa che si rifà al lungo periodo intercorso fra la cacciata dei nostri progenitori dal paradiso terrestre, quando Dio promise che avrebbe mandato addirittura suo Figlio a riscattarci dal peccato, al momento della nascita del Salvatore, evento che ora non siamo qui a ricordare, bensì a vivere. L’Avvento è simbolo di ogni attesa, come quella della liberazione del popolo eletto dalla prigionia cui era stato relegato dopo la deportazione e che induce Isaia (prima lettura) a rivolgersi al Signore come Padre e Redentore, compiendo un importante atto di introspezione e di umiliazione per le colpe di cui il popolo si era macchiato. Il Profeta alla fine si affida completamente al suo Creatore per essere rigenerato: “Noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti siamo opera delle tue mani”. Ecco, un vero ritorno alle origini, per annullarci nella grande prospettiva della rinascita definitiva, che non sappiamo quando sarà, per cui dovremo vegliare e non farci sorprendere, come Gesù continua a ripetere ai suoi discepoli (vangelo): guai a trovarci addormentati o impreparati al momento topico! Anche San Paolo ci ricorda che in Cristo ci siamo arricchiti di ogni dono e pertanto sarebbe un peccato non presentarci irreprensibili alla manifestazione finale di nostro Signore. Quindi c’è bisogno di concentrarci in questi periodi forti ed è probabilmente per agevolarci che la liturgia si riduce all’essenziale.
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Inserito il 26 Novembre 2017 alle ore 10:31 da Plinio Borghi
Un check-in del tutto particolare è quello che traspare oggi dalle letture che la liturgia ci propone. E del checkin c’è tutta l’aria, in effetti. Anche se uno è un incallito viaggiatore e salta abitualmente da un aereo all’altro, al momento del controllo bagagli vive sempre un pizzico di apprensione: una forbicina per unghie o il flacone del dopobarba trattenuti per sbaglio nel bagaglio a mano innescano un guazzabuglio che intralcia le normali operazioni; le valigie intanto sono già state imbarcate e non puoi rimediare, se non lasciando giù quanto ti viene contestato. Se poi non sei un esperto, allora rimugini sul peso dei tuoi colli, sulle loro misure e sulla regolarità dei documenti, finché l’iter non è completato. E tutto sommato in questi disguidi non è questione di vita o di morte, ma di ciò che si parla nel Vangelo di oggi sì. Vi ricordate quando due domeniche fa si diceva che al momento di entrare nell’altra vita il bagaglio che ci saremmo portati appresso avrebbe deciso la nostra sorte? Ebbene, oggi ci viene chiarito esattamente qual è, in termini quantitativi (la famosa resa dei talenti cui si accennava la scorsa settimana) e qualitativi. A fare le pulci a tutto e a decidere chi passa e chi no nel Regno è nientemeno che il Re in persona, che sancisce proprio con questa operazione la sua qualifica; quel Re che oggi appunto celebriamo nella figura di Gesù che torna nella sua gloria. Quello stesso Gesù che dovremmo aver notato in ogni aspetto del nostro prossimo, specie se diseredato, povero ed emarginato. Un Gesù che ci spetta di promuovere in ogni angolo della terra, affinché tutti i popoli siano ricondotti a Lui e perché solo così la sua regalità diventa piena e solo così la sua missione di salvezza acquista un senso. Certo, la missionarietà è una grossa responsabilità che ci è stata affidata e per assolverla fino in fondo non possiamo centellinare né disponibilità né talenti. Il peggior modo di rispondere sarebbe quello dell’elusione o del “rinvio tanto c’è tempo” e sarebbe la nostra fine, come quella delle vergini rimaste senz’olio. I comandamenti e i precetti osservati, quindi, potranno giovarci ben poco se avremo trascurato le opere di misericordia corporale e spirituale, apprese fin da piccoli dal catechismo. E allora termino parafrasando la domanda con la quale ho concluso la volta scorsa: in questo momento saremmo pronti a fare il check-in col nostro bagaglio?
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Inserito il 19 Novembre 2017 alle ore 11:05 da Plinio Borghi
La vita va investita. Nel percorso escatologico di cui si parlava domenica scorsa, non poteva mancare l’arcinota parabola dei talenti, che stimola il plauso per i due che hanno saputo raddoppiare il capitale loro affidato e la disistima per il tapino che ha sotterrato l’unico talento per paura di perderlo o che gli fosse trafugato. E se ai bravi fosse andata male e con investimenti sbagliati si fossero mangiati il capitale? Cambierebbe il nostro giudizio nei confronti del più cauto? Forse no: siamo tutti convinti che se si vogliono raggiungere buoni profitti od obiettivi ambiti occorre saper rischiare, nel poco e nel molto, anche se ci rendiamo conto che può andar male. Chiaro che rischiare non è sinonimo di agire in modo avventato. Il padrone stesso, descritto da Gesù, non rimprovera il servo infingardo per non aver rischiato, bensì per non aver nemmeno affidato il denaro ai banchieri affinché fruttasse almeno gli interessi. Andiamo piano, comunque, a sorridere con una certa sufficienza di quest’ultimo: gratta gratta, se analizziamo bene la stragrande maggioranza dei nostri comportamenti, non siamo tanto diversi. Tendiamo, infatti, a ricercare tutti gli elementi che ci possono far condurre una vita tranquilla, senza eccessivi pensieri, evitando per quanto possibile fattori di contrasto o di preoccupazione. Chi investe e rischia, poi, non può fermarsi là, deve difendere i risultati e i capitali solo continuando a rischiare e a investire. E che vita è? Anche se s’investe sul sociale ci devi rimettere la faccia e il tempo, non contando che ti riempi di rogne senza ottenere in cambio alcun compenso. Lottare per migliorare, ammesso poi che ci si riesca, è stressante. Rispondere positivamente a certi appelli? Attenti, gli dai una mano e ti prendono un braccio! E così via. Per questo, tra l’altro, se c’è bisogno di qualcuno, risponderà più facilmente quello che ha già mille impegni, piuttosto di colui che non ha niente da fare. Ecco la terra sotto la quale sotterriamo il nostro “talento” e magari saremmo anche capaci di borbottare che pure il nostro Maestro sposa la tesi che “i schei va dai schei”, visto che alla fine premia chi ha già tanto e a chi ha poco toglie anche quel poco che ha. Leggiamola in proiezione e supponiamo per un attimo di essere chiamati ora a oltrepassare la soglia: potremmo in tutta sincerità dire di aver usato la vita che ci è stata affidata in modo corretto? Per quanto mi riguarda, ho dei profondi dubbi.
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Inserito il 12 Novembre 2017 alle ore 12:16 da Plinio Borghi
I Santi, i morti, novembre: tutti elementi che inducono a distogliere anche il più agnostico dei miscredenti dalle sue incombenze di routine e dalle sue attenzioni “terra terra”, per elevare la mente almeno al concetto della caducità della vita. Il semplice cader di foglie è un richiamo alla temporaneità del nostro passaggio in questa natura, dove tutto è destinato a finire, universo compreso, sebbene il processo preveda un continuo rigenerarsi e nascere, ma non rinascere: infatti ogni nascita attinge linfa da ciò che c’era ed offre elementi di continuità, ma avrà comunque come meta a sua volta la morte. Anche per noi credenti, non meno di altri dediti a voli radenti attorno alla nostra quotidianità, questo periodo serve ad alzare la testa e ad elevare lo spirito, proteso oltre il limite della vita terrena. La liturgia di queste ultime tre domeniche ci aiuta molto allo scopo, in quanto pregna di richiami escatologici; ed è un bene che sia così, perché in genere ci è poco congeniale ricordare quella parte di catechismo che riguarda “I Novissimi”: morte, giudizio (particolare e universale), inferno e paradiso. È importante invece far su essi mente locale, perché ribaltano i concetti con i quali siamo vissuti (e sennò che “altra vita” sarebbe!?). La nota parabola delle dieci vergini, cinque sagge e cinque stolte, che attendono lo sposo, per esempio, se rivolta alla nostra realtà sembra quasi un’apologia della grettezza: le stolte saranno state anche delle sprovvedute a rimanere senz’olio, ma le sagge, che non se ne privano di una goccia per paura che poi venga a mancar loro, che esempio di solidarietà danno? E lo sposo che sbatte la porta in faccia alle prime, corse a rifornirsi e quindi giunte in ritardo, che richiamo alla misericordia è? C’è contrasto con la parabola della vigna, quando il padrone dà la stessa paga giornaliera pure a chi ha lavorato solo un’ora! Ecco il punto: il padrone non è andato a distribuire soldi in piazza a chi non ha lavorato. La Misericordia divina soccorre fino all’ultimo istante, poi subentra la Giustizia infinita. L’odierna parabola delle vergini a quel momento si riferisce. Chi oltrepassa la soglia impreparato, viene preso col bagaglio che ha e non può tornare indietro a recuperare alcunché. Fra un paio di domeniche vedremo in che cosa dovrà consistere questo bagaglio. Oggi, intanto, becchiamoci il richiamo del nostro Maestro: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.
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