Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Comportatevi come “Figli della luce”

Inserito il 3 Aprile 2011 alle ore 08:03 da Don Danilo Barlese

Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto: «Svégliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà». (Ef 5, 8-14)

Il tema della luce, contrapposta alle tenebre, non è nuovo nella riflessione cristiana. Nuovo e originale invece è lo sviluppo che culmina nel versetto 14 dove la luce è identificata con il Cristo risorto. La contrapposizione tra passato e presente, «un tempo/ora», compare più volte nelle lettere di Paolo. Essa esprime la svolta o conversione radicale attuata nella fede e siglata dal battesimo che ha fatto passare i credenti dalla sfera delle tenebre a quella della luce. L’immagine desidera sottolineare la scelta di fede. Infatti i cristiani sono “luce” ma “nel Signore”: solo in unione a Gesù partecipano alla verità, salvezza e vita, di cui la luce è un simbolo. A questa condizione deve corrispondere una vita come «figli della luce», cioè da persone totalmente dedite e impegnate nella nuova vita da discepoli. Sul piano operativo questo comporta uno stile di vita attivo e costruttivo, il cui «frutto» consiste in ogni «bontà», «giustizia», e «verità». Sono tre dimen­sioni positive che abbracciano l’intera esistenza dell’uomo e corrispondono allo stile di vita raccomandato dalla tradizione biblica. Ma per i cristiani non si tratta di valori etici astratti o astorici, elencati una volta per sempre in una serie di norme. Essi piuttosto devono «esperimentare», «saggiare» il quotidiano, con tutti i rischi e le ambiguità, per scegliere «quello che piace al Signore». Quest’ultima è una formula biblica che descrive l’impegno per giungere alle scelte operative di ogni giorno come un atteggiamento dinamico di fedeltà all’appello storico di Dio. Il risvolto negativo poi definisce senza equivoci lo stile di vita dei figli della luce. I cristiani devono dissociarsi dalle imprese ”improduttive” delle tenebre: non si parla di «frutto» per le tenebre, ma solo di «opere» infruttuose. La lettera propone ai discepoli un compito di riabilitazione nei confronti di «quello» che sta nelle tenebre. Il testo per la verità non parla di «persone», ma di «azioni» improduttive delle tenebre che devono essere «smascherate», rese manifeste dallo stile di vita di quelli che sono luce nel Signore di modo che tutto diventi luce.
Nella citazione finale del frammento poetico si parla di colui che deve risvegliarsi e risorgere dai morti per essere illuminato da Cristo. Qui sembra più chiara l’allusione all’esperienza iniziale di quelli che nella fede e nel battesimo sono «risorti dallo stato di morte dovuto ai peccati».
La piccola professione di fede può anche annunciare una promessa per quelli che non hanno ancora esperimentata la forza vivificante del “Cristo Luce”. In ogni caso è molto bello questo richiamo alla luce autentica che dà nuova coscienza ed energia di vita a quelli che accolgono l’annuncio della fede e l’invito alla conversione.

A cura di Don Danilo

Alle fonti della speranza

Inserito il 27 Marzo 2011 alle ore 07:11 da Don Danilo Barlese

Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. (Rm 5, 1-2. 5-8)

San Paolo, in questo brano fondamentale della lettera ai Romani, ci ricorda che chi, credendo in Gesù Cristo, ha fatto il passo decisivo nel cammino della salvezza, non è ancora libero da preoccupazioni e sofferenze. Lo aspettano infatti dolorose tribolazioni, di fronte alle quali però è sostenuto oltre che dalla fede, anche dalla speranza e dall’amore.

La riflessione si apre in modo piuttosto brusco, ma molto efficace: «giustificati» scrive Paolo. La “giustificazione” mediante la fede rappresenta ormai un dato di fatto che ha cambia­to radicalmente la vita del battezzato: “siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. Nel linguaggio biblico la pace rappresenta un’armonia profonda dell’uomo con Dio, che comporta la pienezza di tutti i beni materiali e spirituali. Alla fine dei tempi il pellegrinag­gio di tutti i popoli al monte del tempio del Signore alla ricerca del­la parola di Jahwè comporterà l’eliminazione della guerra e una pa­ce universale. Non solo l’u­manità, ma anche tutto il cosmo sarà coinvolto in essa. è significativo che la pace, strettamente collegata con la giustizia, sia presentata come un dono dello Spirito. Per l’apo­stolo questa Pace è il dono più grande di Cristo.

Insieme alla Pace i credenti hanno ottenuto “l’accesso alla Grazia” nella quale si trovano.

Il cristiano è continuamente a contatto con il dono che Dio ha fatto di se stesso in Cristo.

Di questa speranza ci si può vantare proprio perché si tratta di un dono di Dio e non della presunzione di diventare giusti mediante l’osservanza della leg­ge.

La Speranza costituisce il fondamento su cui poggia il discepolo per essere fidu­cioso.

Non si tratta però di una fiducia che na­sce in un contesto di vita agevole, privo di contrasti. Al contrario: la speranza è vissuta all’interno delle avversità. Il cristiano non è messo al riparo dalle contraddizioni e dalle prove che dilacerano la storia e l’esistenza delle persone. Resta invece sul campo di battaglia in cui le forze del male e della distruzione si battono ancora con pericolosità, ma è sorretto da fiduciosa sicurezza. La speranza cristiana non si riduce  a  ottimismo  facile,  tanto  meno   a  pigra  evasione dal presente o a vile fuga. è invece fiduciosa attiva presenza nel mondo, nonostante tutto. L’apertura al futuro è inscindibile dall’assunzione di una piena responsabilità operativa nell’oggi. La sicurezza viene dall’amore di Dio che ha invaso il suo intimo. L’amore di Dio è gesto concreto di donazione del suo Spirito non una “consolazione sentimentale”.

La speranza non delude, non sarà smentita, perché non è vuota attesa ma esperienza viva di un reale anticipo della pienezza che si attende: Dio è amore.

Don Danilo

Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita

Inserito il 20 Marzo 2011 alle ore 08:01 da Don Danilo Barlese

Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo. (2 Tm 1, 8b-10)

Paolo è vecchio e bloccato in carcere «come un malfattore».
Chiede a Timoteo di essergli vicino, proprio nel mezzo della Roma di Nerone! Aderire a Paolo è martirio pos-sibile, quasi certo.  Così Timoteo renderà concreta la testimonianza al vangelo.

“Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa”.

L’apostolo ora ricorda la «forza di Dio» con cui si compie la storia della salvezza. La piccola ubbidienza umana non è altro che il fragile “sì” in risposta all’immenso eterno “sì” di Dio all’uomo.

“Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati”: è l’incomprensibile, amorevole, inclinazione di Dio verso il peccatore perduto, così assoluta, definitiva e efficace da essere presupposto di ogni singola azione di salvezza. Dio ci rivolge la parola: ci chiama e ci affida la stessa missione del Figlio.

La «vocazione» è «santa» perché proviene dal Dio santo e tende alla sua santità; perché Egli è colui che detiene tutta la grazia della redenzione, la quale non solo, in senso negativo, salva da qualcosa, ma, in senso positivo, chiama, mediante la parola mette in piedi e imprime al chiamato il volto dell’eternità.

La vita cristiana si basa in tutto e per tutto sulla vocazione: ogni cristiano è chiamato a seguire Gesù. Ascoltare e rispondere a lui costituisce il compito di tutta la vita.

Il fatto che noi non siamo chiamati «in base alle nostre opere», per Paolo è proprio l’espressione della grazia più alta. Che fondamento incerto sarebbero le nostre opere per la redenzione e la vocazione! Le nostre «opere» hanno la loro collocazione all’interno dell’ampio e precedente proposito di salvezza di Dio.

La Grazia (la vita nello Spirito) ci è stata donata in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata solo ora in Cristo Gesù.

L’umile apparizione del Redentore nella «pienezza del tempo» ci fa facilmente dimenticare che in questa pienezza del tempo si manifesta la pienezza dell’eternità, nell’ora storica della decisione la decisione eterna di Dio a favore dell’uomo.
Senza tutta la durezza, la crisi, la purificazione della croce, non potremo ricevere la grazia dell’eternità. Cristo Redentore, Crocifisso e Risorto è il fondamento della nostra salvezza. Chi risponde realmente alla chiamata sa di incontrare la vita eterna e, rispondendo, di assumerla in sé.

La fortezza cristiana deve guardare negli occhi la morte che è stata vinta e sapere che Cristo ne ha fatto lo strumento della sua «vita immortale». Per mezzo della morte di Cristo la vita è stata «fatta risplendere», fatta uscire dalle «tenebre e dall’ombra di morte» che la coprivano; la morte di Cristo è il momento in cui la vita eterna irrompe nel tempo, ancora di più: è portatrice, sacramento della vita.

Don Danilo

Buona Quaresima a tutti!

Inserito il 13 Marzo 2011 alle ore 07:22 da Don Danilo Barlese

Preghiamo gli uni per gli altri perché questi quaranta giorni siano veramente, per ciascuno di noi, preparazione all’incontro con il Crocifisso Risorto che rinnova nella nostra vita la forza della Speranza, la luce della Fede, la passione della Carità.

Sia un cammino vissuto insieme per ritrovare la bellezza dell’appartenenza all’unico Signore, nella Comunità cristiana, a servizio del mondo.

Sia un cammino che ritrova “i fondamentali” di chi desidera seguire Gesù: la Parola di Dio, l’Eucarestia, la Carità quotidiana, il Perdono, la Confessione sacramentale, la testimonianza nella vita di tutti i giorni.

Sia un cammino che accompagna anche alla celebrazione dell’8 maggio in cui riceveremo l’abbraccio del Papa che viene a confermarci nella fede. Sarà un momento forte di comunione e di unità: ci farà fare esperienza sia della Chiesa diocesana e universale, sia della nostra parrocchia come famiglia di famiglie in Cristo.

Sia un cammino che aiuti a ritrovare, attraverso il digiuno, la carità e la preghiera spazi di incontro e di dialogo in famiglia, di aiuto e di attenzione reciproca, di partecipazione corale alle celebrazioni liturgiche. Buona Quaresima a tutti!

Don Danilo

Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi (Gal 5,1)

Inserito il 27 Febbraio 2011 alle ore 08:00 da Don Stefano Cannizzaro

Una cosa che mi ha sempre colpito leggendo le lettere di san Paolo è il coraggio e la libertà di questo grande apostolo. Un uomo capace di parlare con franchezza di fronte a tutte le situazioni.

Anche nella lettura che la liturgia ci presenta questa domenica, appare questa forza di Paolo: “A me importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano […] il mio giudice è il Signore!”.

Paolo sa che tutta la sua vita è legata in modo indissolubile all’amore di Cristo, e questo lo rende capace di essere superiore ai giudizi, alle critiche, alle fatiche che ogni comunità comporta.

Ci sarà un giudizio – questo Paolo lo sa – ma sarà il giudizio di Colui che ha dato la vita in croce per noi. Un giudizio che “manifesterà le intenzioni dei cuori”. Proviamo anche a noi a vivere con questa libertà che ci ha donato Cristo, perché solo così alla fine “ciascuno riceverà da Dio la lode”.

Don Stefano

Una sapienza che non è di questo mondo

Inserito il 13 Febbraio 2011 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano». Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.  (1Cor 2,6-10)

Alcuni componenti della giovane comunità di Corinto ritenevano di essere dei «perfetti», cioè degli iniziati a una sapienza particolare e degli «spirituali», cioè illuminati dallo Spirito. I semplici credenti, rimasti, a loro giudizio, al livello della pura adesione al messaggio cristiano, da costoro erano invece disprezzati.

Questo gruppo di “credenti” si faceva forte di una pretesa superiorità derivante dal presunto possesso di una conoscenza profonda e divinamente ispirata circa il mondo divino e i destini eterni dell’uomo.

Il disprezzo non doveva risparmiare neppure lo stesso Paolo che a Corinto si era distinto non come dotto maestro ma quale predicatore del vangelo di Cristo crocifisso e risorto.

Questi versetti vanno colti all’interno di questo discorso polemico nei confronti del gruppetto degli “illuminati”. Paolo impartisce una vera e propria lezione ai suoi orgogliosi contestatori. Egli si presenta certamente in possesso di un pensiero sapienziale. Non si tratta, certo, della sapienza propria del mondo presente, respinta sopra come pretesa orgogliosa di autocostruzione al di fuori e contro Dio. Non è quella posseduta dai “dominatori” di questo mondo, cioè dalle potenze del maligno e neppure quella frutto di bravura personale e superiori capacità intellettuali e spirituali rivendicata da alcuni Corinzi.

Paolo si riferisce a una Sapienza che è propria di Dio, cioè del suo disegno eterno, elaborato prima ancora dell’origine del creato, finalizzato alla salvezza ultima dei credenti, tenuto nascosto agli occhi di tutti. Egli insiste su quest’ultimo aspetto, facendosi forte dell’autorità della Sacra Scrittura: nessuno ha mai potuto conoscere quanto Dio ha preparato in anticipo per quelli che lo amano.

Inaccessibile allo sguardo umano, nascosto da sempre in Dio, ora però il disegno sapiente è stato disvelato a Paolo e ai discepoli battezzati con una particolare rivelazione dello Spirito. La conoscenza della sapienza divina è dunque frutto di grazia – dono ricevuto – per nulla conquista umana di cui poter vantarsi. Chi la possiede è soltanto il beneficiario di una luce divina penetrante, proveniente dallo Spirito. Paolo dunque può parlare di una sapienza superiore soltanto perché, a sua volta, l’ha ricevuta dall’alto. è la “follia” d’amore della Croce del Cristo crocefisso e risorto.

La pretesa di alcuni Corinzi di essere “cristiani adulti”, «spirituali» e perciò liberi di giudicare tutto e tutti senza essere giudicati da nessuno, si rivela illusoria.

Don Danilo

Non sapere altro se non “Cristo Crocifisso”

Inserito il 6 Febbraio 2011 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

La “logica della Croce” seguita da Dio, San Paolo la descrive anche a partire dalla sua esperienza sotto due punti di vista: nella sua predicazione e nella sua persona.
Giunto a Corinto dopo lo scarso interesse dimostrato presso “i sapienti” di Atene, Paolo cercò di annunziare il disegno di salvezza di Dio senza ricorrere alla dialettica e al parlare forbito.

Non rivestì il nudo messaggio evangelico con strategie “accattivanti”. Di proposito, invece, si attenne al puro e semplice annunzio di Cristo crocifisso, senza velarne in nulla il carattere scandaloso e vergognoso di proposta divina di salvezza degli uomini. Nessuna facilitazione, dunque. Eppure, a Corinto Dio suscitò, per mezzo della sua parola disadorna, una comunità di credenti!

Del resto, tra i lavoratori del porto di Corinto, nessun sostegno umano poteva raccomandare la sua persona di Paolo presso gli ascoltatori. Il messaggero e il messaggio fanno tutt’uno: l’uno e l’altro furono privi di qualsiasi “valore” capace di garantire, persuadere, spianare la strada all’accoglienza.

Paolo però era consapevole di essere sostenuto dallo Spirito Santo.
La predicazione, infatti, fu accompagnata da segni di vita, di conversione, di amore.

Invece di espressioni di “potenza umana” si verificarono manifestazioni chiare di “potenza divina”. Tutto si svolse secondo una legge intrinseca alla realtà del Vangelo: l’adesione degli ascoltatori non si compirà per effetto del seducente splendore della dialettica del predicatore, ma sarà unicamente espressione di fede in Dio e nella sua potenza salvatrice.

È qui in gioco l’autenticità del credere. Accettare la croce di Cristo significa rinunciare non solo a far valere orgogliosamente se stessi e le proprie capacità in campo salvifico, ma anche desistere dal far affidamento sulle forze gratificanti di maestri e leaders umani.

La predicazione di Cristo crocifisso libera anche dall’orgoglio e sospinge l’uomo a una decisione di fiducioso abbandono nel Dio della Grazia che si rivela nell’evento della morte e risurrezione di Gesù.
In sintesi, la croce di Cristo, se per i credenti è simbolo del “potente” e “sapiente” progetto salvifico di Dio, è espressione d’impotenza e d’infamante follia per il criterio di questo mondo.

La Croce gloriosa del Cristo, crocifisso e risorto
– costituisce il contenuto della predicazione cristiana
– configura l’aspetto della comunità dei credenti
– determina la forma del messaggio apostolico
– qualifica la persona stessa del predicatore.

La Croce di Cristo si presenta come chiave interpretativa determinante del volto dell’uomo e del volto di Dio. Sulla croce di Cristo, Dio e l’uomo si esibiscono la rispettiva carta d’identità, non adulterata.

Don Danilo

Chi si vanta, si vanti nel Signore

Inserito il 30 Gennaio 2011 alle ore 08:00 da webmaster

Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio (1 Cor 1,26-31).

“Considerate la vostra chiamata, fratelli”. I Corinzi possono avere una conferma dello stile dell’agire di Dio nella loro esperienza cristiana. Essi sono stati chiamati da Dio in una condizione socioculturale priva di ogni prestigio e privilegio dal punto di vista umano. Paolo elenca tre livelli o ambiti che normalmente vanno di pari passo. Il termine «sapienti» si riferisce all’ambito culturale; «potenti», al livello economico; «nobili», al rango sociale connesso con la stirpe o l’appartenenza familiare.

Si può dedurre perciò che la giovane comunità cristiana di Corinto nella sua stragrande maggioranza è fatta di gente incolta, nullatenente e di umili origini.
Paolo sviluppa la riflessione circa la «chiamata», la scelta di Dio. Nella serie delle tre antitesi sono contrapposte due prospettive, quella dell’agire di «Dio», scandita dal triplice «ha scelto», e quella del «mondo». La prospettiva mondana ricorda che il «mondo» nella sua sapienza non ha conosciuto Dio. L’iniziativa libera e gratuita di Dio smaschera la pretesa di far valere la sapienza, la forza e il prestigio dal punto di vista mondano.

Nella terza frase il verbo rimarca l’inconsistenza di ogni prestigio sociale. “quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono”.

In breve, l’agire sovrano di Dio rovescia tutti i criteri di valutazione umana sotto il profilo culturale e socioeconomico. Lo scopo perseguito oppure il risultato è l’esclusione di ogni vanto dell’essere umano davanti a Dio.
San Paolo invita poi i Corinzi a considerare la loro nuova condizione e identità nella prospettiva dell’agire gratuito e libero di Dio. L’iniziativa di Dio si manifesta e attua in Gesù Cristo.

La nuova identità dei Corinzi e di tutti i cristiani si fonda nella loro immersione battesimale in Gesù Cristo. Egli infatti, dice Paolo riferendo un frammento di professione di fede battesimale, “è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione”.

La «Sapienza», quella vera, rappresenta il punto di arrivo del dibattito precedente. La «giustizia», come espressione della fedeltà e dell’amore salvifico di Dio, si rivela ed è comunicata ai credenti per mezzo di Gesù Cristo. La «santificazione» è nello stesso tempo dono di Dio e impegno per quelli che hanno ricevuto lo Spirito santo. «Redenzione» designa la liberazione storica del popolo di Dio come segno di quella definitiva. Gesù Cristo con la sua morte in croce è la garanzia della liberazione dalla schiavitù del maligno.

«Chi si vanta, si vanti nel Signore»: Paolo fa propria questa terminologia biblica per esprimere l’identità del credente nella relazione con Dio in una prospettiva di radicale gratuità e affidamento.

Don Danilo

Vi sono discordie tra voi…

Inserito il 23 Gennaio 2011 alle ore 13:00 da Don Danilo Barlese

Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire (1 Cor 1,10-13. 17).

In questa esortazione con cui apre la lettera, Paolo sollecita alla concordia, al superamento delle discordie, a una perfetta unità che vada oltre l’unanimismo di facciata, per raggiungere la profondità di un comune e identico orientamento di pensiero e di convergenti prospettive spirituali. La triplice formula esprime l’insistenza dell’apostolo e, insieme, la gravità della situazione della chiesa di Corinto. Paolo ne  è perfettamente al corrente. È stato informato “da quelli di Cloe”. Per mezzo loro Paolo ha potuto farsi un quadro esatto dell’allarmante fenomeno di disgregazione della chiesa di Corinto. È pertanto in grado non solo di conoscere i gruppuscoli in cui i corinzi sono divisi, ma anche di riportare i loro slogans, proclamati ad alta voce: «Io sono di Paolo», «Io invece di Apollo», «E io di Cefa», «Ma io di Cristo». Queste “fazioni”, esistenti all’interno della comunità, in comune avevano l’affermata “appartenenza” a questo o a quel “leader”: «Io Sono di…» esprime un legame non puramente convenzionale. In particolare, dovevano riconoscere al capo o, meglio, all’ideologia da lui rappresentata, un ruolo determinante nell’acquisizione di quella coscienza lucida di “cristiani illuminati” che orgogliosamente ostentavano. In concreto, essi ritenevano di trovarvi la loro identità e definizione. Si può parlare di conclamata dipendenza del loro essere cristiano dal maestro scelto e dal suo pensiero.

Paolo denuncia l’esistenza stessa delle “chiesuole”. Non si tratta di scegliere tra questo o quell’orientamento particolare, ma di escludere, in linea di principio, la logica che anima tutti i gruppi. È significativo infatti che egli si opponga anche alla conventicola che si richiama alla sua persona. In realtà, si faceva torto alla centralità di Cristo, unico fattore aggregante dei credenti.

Il carattere deviante del fenomeno delle divisioni appare in tutta la sua abnormità: così si nega “di fatto” la funzione salvifica e unificante di Gesù. È la persona di Cristo che definisce la comunità dei credenti, qualificandola come “corpo” in sé unito che compone in unità superiore e armonica la pluralità e diversità dei cristiani.

E’ la crocifissione di Cristo l’evento salvifico decisivo per i credenti. In breve, l’insostenibilità dei gruppuscoli di Corinto deriva dalla natura stessa della Chiesa: essa è la comunità di credenti che si definisce in rapporto a Gesù e che trova in lui il suo centro esclusivo di unità. I credenti, mediante il battesimo, partecipano all’avvenimento salvifico della croce di Gesù e così formano il suo corpo. Per questo appartengono a lui, e soltanto a lui. Ogni appartenenza alternativa significherebbe sostituzione dell’unico salvatore con altri salvatori.

Don Danilo

Santi per chiamata

Inserito il 16 Gennaio 2011 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

“Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!” (1 Corinzi 1,1-3)

San Paolo, all’inizio della prima lettera ai Corinzi, si autopresenta con il nome proprio greco-romano, “Paulos”, «piccolo», accompagnato dalla qualifica di «apostolo».

Questo titolo, che accompagna il suo nome nell’intestazione di quasi tutte le sue lettere, esprime la sua autorità come inviato di Dio sul modello del profeta. Ma a differenza dei profeti biblici Paolo è «inviato di Gesù Cristo». L’autorevolezza dì apostolo è posta in risalto dal termine «chiamato», che rimanda all’azione gratuita ed efficace di Dio.

I destinatari della lettera sono i cristiani di Corinto che Paolo presenta nel loro statuto a tre livelli. Prima di tutto li designa come «chiesa di Dio», poi come «santificati in Cristo Gesù» e infine come «chiamati ad essere» , letteralmente: «Santi per la chiamata» di Dio. L’espressione «chiesa di Dio» rimanda alla tradizione biblica, dove “l’assemblea del Signore” è il popolo convocato da Dio per vivere nell’alleanza. I singoli gruppi cristiani, che a Corinto si riuniscono per fare la «cena del Signore», sono la «Chiesa di Dio». È l’assemblea dei credenti che rispondono alla chiamata di Dio nell’accoglienza del vangelo. Perciò la chiesa di Dio abbraccia tutti i convocati, a partire dalle prime comunità nate dall’Israele storico, quelle che Paolo ha perseguitato. Ma con l’annuncio del vangelo la Chiesa, come convocazione dei credenti per l’iniziativa di Dio, è presente ora anche a Corinto.

Lo statuto di «santità» dei membri della chiesa di Corinto è confermata dalla formula paolina «santi per la chiamata» (di Dio). La dimensione universale della Chiesa come santa convocazione di Dio è sottolineata dall’ultima frase, importantissima: “insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo”.

Da questa “definizione” paolina di Chiesa risulta chiaro che la Comunità cristiana nasce dall’iniziativa salvifica di Dio che chiede l’accoglienza da parte dei credenti attraverso una fede vissuta e liturgicamente celebrata.
La Chiesa nasce da una storia impegnativa che vede coinvolti Dio e l’uomo secondo una rigorosa logica di alleanza, di chiamata e di risposta.

Don Danilo

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