Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Concludere un’alleanza

Inserito il 21 Marzo 2021 alle ore 08:00 da Plinio Borghi

Concludere un’alleanza non si può mai definire un atto di ordinaria amministrazione, tipo un contratto, dove, di norma, vige il “do ut des” a reciproco ed equilibrato vantaggio. Al contrario, è un impegno che ti coinvolge totalmente, a solidarietà e a difesa con l’alleato, specie se questi versa in uno stato di svantaggio a causa di debolezza o di attacchi esterni. La sua sorte ti vincola e sarà la tua sorte. Ebbene, se pensiamo che Dio si è peritato di stringere tale patto col suo popolo, come ci riferisce la prima lettura di questa quinta domenica di Quaresima, un tempo chiamata prima domenica di Passione, quel popolo può definirsi proprio fortunato, specie sapendo quanto il suo sia un Dio fedele e premuroso, attento e paziente fino al punto di perdonare qualsiasi iniquità e di dimenticare il peccato. Un Dio che, per di più, scriverà la sua legge nel cuore di ognuno, affinché tutti debbano conoscerlo, senza bisogno di essere istruiti in merito. Un Dio che, pur di riscattare l’uomo, ha sacrificato fino in fondo suo Figlio, facendogli prima assumere la nostra stessa umanità e poi chiedendogli l’estremo sacrificio di una morte ignominiosa. Un bene così è imparagonabile. Tuttavia, San Paolo ci avverte che l’azione salvifica non è come la pioggia che ci cade sulla testa a caso e comunque, ma ha bisogno di due presupposti: riconoscere il Cristo e obbedirgli. A queste condizioni lo avremo sempre al nostro fianco, perché saremo noi a seguirlo. Su questa lunghezza d’onda è anche il vangelo, una risposta per interposta persona a chi voleva conoscere il Maestro, a chi lo stava cercando. Incoraggiare gli anelanti parlando della sua morte, di come sarebbe stato elevato e avrebbe così, e solo così, attirato tutti a sé, analogamente a quel che successe col serpente di Mosè nel deserto. Gesù è il chicco di grano che deve marcire sotto terra se vuole produrre tanto frutto e la prima garanzia di questa “produttività” sarà proprio la resurrezione, alla quale ci stiamo preparando. Se la nostra risposta sarà arida, il sangue versato “per la nuova ed eterna alleanza” sarà vano, il “Chicco” sarà morto solo. Per essere all’altezza di un progetto così ambizioso non ci resta che prepararci adeguatamente, pregando Dio col salmo responsoriale: “Crea in me, o Dio, un cuore puro; rinnova in me uno spirito saldo”.

Consolazione in abbondanza

Inserito il 14 Marzo 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

Consolazione in abbondanza è quanto ci viene garantito dopo il percorso tortuoso e periglioso che in ogni caso la vita ci riserva. E questa prospettiva dev’essere motivo di gioia e non di tristezza: il messaggio ci arriva direttamente dall’antifona d’ingresso della Messa di questa domenica, chiamata appunto “Laetare”, ed è tratta da Isaia, che tranquillizzava i suoi nell’imminente ritorno in patria, dopo la decisione di Ciro il Grande di liberarli. Col tempo l’invito a non essere tristi è stato interpretato come una sorta di pausa dalla penitenza quaresimale, ma in effetti non dovrebbe mai essere nelle corde del cristiano “subire” le prove di fatica o i periodi deputati alla “revisione”, perché “rinnovati nello spirito possiamo corrispondere“ allo sconfinato amore di un Padre che ci vuole salvi, al punto da aver sacrificato il suo stesso Figlio per ottenere per tutti questo risultato. Sono concetti e parole tratti dalla Colletta alternativa e dal Canto al Vangelo che recitiamo oggi. San Paolo poi, nel merito, è ancora più incisivo ed esplicito: siamo salvi per grazia e fatti “per le opere buone che Dio ha preparato perché in esse camminassimo”. Certo, quando si stanno vivendo momenti di preoccupazione come la pandemia e le sue conseguenze, verrebbe spontaneo gettare la spugna e mettersi a piangere disperati, come succedeva lungo i fiumi di Babilonia agli ebrei deportati (salmo responsoriale), ma non serve né a riparare i misfatti che ci hanno ridotti a questo punto (prima lettura) né a uscire dalle peste. Un guizzo di fede, che si traduca in speranza “reale”, accompagnato da ogni sforzo teso a rendere operativa la grande Misericordia divina, non guasta, anzi, ci garantisce un cammino più sicuro verso la nostra Gerusalemme. Altrimenti vorrebbe dire che il Figlio è venuto nel mondo per condannarlo, ma il vangelo dice esattamente l’opposto: è chi non crede in Lui che si condanna da solo. Il Padre non interviene in modo diretto e gratuito sulla vita dell’uomo, ma ha bisogno della sua opera per realizzare il progetto di redenzione universale. Come facciamo oggi con i vaccini per battere il virus, tutti per uno e uno per tutti, senza egoismi o riserve se vogliamo sopravvivere, così siamo tenuti ad agire per raggiungere quella luce che abbiamo conosciuto in Gesù Cristo, ma che spesso offuschiamo cadendo nel male, rappresentato in primis dall’egoismo.

Comandamenti e Cristo crocifisso

Inserito il 7 Marzo 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

Comandamenti e Cristo crocifisso sono i due argomenti che la liturgia odierna pone all’attenzione e che in sostanza rappresentano i due poli fra i quali si articola la nostra fede, l’uno caposaldo del Vecchio Testamento e l’altro del Nuovo. Sul primo non c’è molto da aggiungere, se non che quegli stessi principi costituiscono ancora il riferimento basilare della nostra impostazione comportamentale. Lo stesso Maestro si premura a dire che lui non è venuto ad abolirli, bensì ad interpretarli diversamente. Sul secondo è San Paolo a porre in modo lapidario un distinguo fondamentale: a chi cerca segni particolari di prestigio, noi contrapponiamo Cristo crocifisso, cioè esattamente l’opposto che chiunque possa aspettarsi. Ecco la peculiarità del nostro credo! Infatti, da un’immagine di morte, la più vergognosa e la più negletta, scaturisce la fulgidità incomparabile di una vittoria sulla stessa. Solo Dio è padrone della vita e della morte e infatti nel vangelo di oggi, che ha per corollario la vicenda dei mercanti nel tempio, Gesù dimostra la sua divinità proprio con la sfida finale: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Non era facile per alcuno capire a cosa si riferisse e non è facile ancora oggi acquisire questo concetto, tanto che lo stesso evangelista si premura a spiegare che il Messia si riferiva al proprio corpo. Non è il caso tuttavia di pensare che nel suo dire il nostro Salvatore si sia limitato a un mero gesto di affermazione personale: il corpo di ogni uomo è tempio di Dio ed è destinato alla medesima resurrezione del Cristo; come tale va curato e rispettato, cominciando a non renderlo oggetto di mercato, di azioni denigratorie e svilenti, di strumentalizzazione materiale e ideologica e via dicendo. Qui tornano a fagiolo i Comandamenti cui si accennava all’inizio, nei quali sono preminenti appunto le disposizioni che riguardano la nostra persona e quella degli altri. Dio riserva in pratica al rapporto con Lui i primi tre e questo divario la dice lunga: è il riguardo per noi stessi e per il prossimo che qualifica il nostro rispetto anche per Lui. È poi quello che ha detto Gesù riassumendoli nei due comandamenti dell’amore. C’è abbastanza carne al fuoco, allora, per aggiungere un altro tassello a questo percorso quaresimale: confrontarci con le tematiche dei Comandamenti e adottare gli opportuni correttivi al nostro modo di agire.

Esiste ancora il rimorso?

Inserito il 14 Febbraio 2021 alle ore 08:33 da Plinio Borghi

Esiste ancora il rimorso? È una domanda che mi pongo ogni tanto, specie di fronte a certi atteggiamenti disinvolti tenuti da autori di misfatti. Figurarsi poi se sono marachelle “passabili”. A volte mi salta la mosca al naso quando sento genitori esprimersi col “sono ragazzate” in presenza di vandalismi o forme di bullismo perpetrati dai rispettivi figli. Allora capisco che l’origine del declino passa da questa eccessiva indulgenza, che trova alimento dalla progressiva caduta dei valori minimi e incremento da un relativismo ormai di maniera. Certo, forse una volta si eccedeva con le iniezioni di senso di colpa, che a volte potevano provocare qualche rara forma di disagio psicologico, ma in linea di massima avevano un effetto efficace sul comportamento. Questo non toglie che ogni epoca abbia avuto comunque i suoi sbandati, ma erano ben chiari l’origine e lo scopo delle devianze. Oggi si assiste a forme di teppismo o addirittura di malavita con provenienze da ogni ceto sociale, sorte senza motivazioni ben precise; si picchia e si compiono angherie per noia, per reagire a pseudo mancanze di affetto e così via. E si finisce per meravigliarsi quando il picco raggiunge livelli efferati, come quelli di quel giovane “sportivo” di Bolzano che ha soppresso i genitori. E pensare che faceva anche l’insegnante e che fin da piccolo si sapeva che non era tanto a posto, se alla sorella raccomandavano di non litigare con lui quand’era da sola. Possiamo dire che è solo un esempio estremo, ma quanto fa presa nelle menti deboli, specie per l’indifferenza tenuta nei giorni successivi al delitto! Come siamo distanti da quelle figure di assassini tormentati e corrosi dal rimorso che la cultura di un tempo ci presentava! Se nel passato il rimorso era come una lebbra, che ti teneva isolato dal contesto sociale, oggi l’indifferenza o l’incapacità di governare i fenomeni lo sono altrettanto, ma in modo più subdolo perché non sono pienamente percepiti, come lo era invece il rimorso. Il piano è inclinato e se non troviamo un aggancio sicuro continueremo a scivolare. Come sempre, il più efficace è Gesù, che è lì che ci aspetta, purché facciamo almeno lo sforzo di andargli incontro. “Se vuoi, puoi purificarmi!” lo supplica in ginocchio il lebbroso del vangelo di questa domenica. Lui lo tocca (non ha paura di tali contatti il Maestro) e lo fa. L’unica contropartita che ci chiede è di essere anche noi attenti e responsabili, e di dare la sveglia alla coscienza intorpidita.

Siamo tutti mercenari

Inserito il 7 Febbraio 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

Siamo tutti mercenari, viviamo cioè una vita dura per aspettare infine il nostro compenso, non solo, ma siamo anche ben pagati per realizzare il progetto che è riposto su di noi. Lo dice esplicitamente Giobbe nella prima lettura e lo ripete in altri termini Paolo nella seconda. Implicitamente lo dimostra anche Gesù nel vangelo, instancabile nell’opera di diffusione del nuovo messaggio che è venuto a portare, fino al punto di non poter godere di un attimo di raccoglimento, perché la gente lo cercava, premeva per ottenere la sua attenzione. Oggi è una delle rare volte in cui vi è assonanza fra tutti e tre i brani in lettura (di solito la seconda se ne discosta). Normalmente il termine “mercenario” non è avvertito in modo tanto simpatico; in pratica dipende da che cosa sei chiamato a fare e da chi sei al soldo. Per quanto ci riguarda il nostro referente è il Padre, che conta su di noi per realizzare il suo progetto sull’umanità e il compenso che ci spetta è incommensurabile, molto superiore certamente alla qualità del nostro lavoro, cosa che in un rapporto di natura diversa non esisterebbe. Teniamo anche conto di come evolve il nostro compito: al contrario dei mercenari di questo mondo, il nostro è un lavoro in progress nel quale nessuno nasce “imparato”. Sarà la vita stessa a renderci forti e sicuri e, se nella nostra azione missionaria sapremo coinvolgere più gente possibile, maggiore sarà il compenso, come dice San Paolo e come ci dà l’esempio Gesù, instancabile nel cercare anche l’ultimo degli ammalati: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini – dirà alla fine – perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto”. Attenti, però, che nel nostro muoverci non incorriamo nella tentazione di farlo per sentircene sin d’ora appagati, magari perché ci piace essere protagonisti o illuderci di diventare indispensabili: avremmo già avuto la nostra ricompensa, come ci ammonirà il Maestro più avanti. E allora sarà una retribuzione ben misera. Gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente siamo tenuti a dare, ci sarà ancora detto, e vana giustificazione sarà per il “Mandante” che nemmeno il cane muove la coda per niente. La sostanza del nostro compito è ben richiamata nella Colletta alternativa di oggi: “… rendici puri e forti nelle prove, perché sull’esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva”. Mirabile sintesi! What else?

Da star a boca verta!

Inserito il 31 Gennaio 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

Da star a boca verta! Quante volte ci siamo serviti di questa locuzione, magari privi di altri termini per esprimere in sintesi il massimo della meraviglia! Non succede solo nel vedere cose che non ti aspettavi, ma anche nell’andare ad ammirare ciò che già sapevi essere sublime. E la reazione non si limita alla vista, ma coinvolge tutto ciò che esalta in qualche modo i cinque sensi. Tuttavia, con i vari stimoli che oggi ci derivano da ogni parte e con l’aumentato livello di conoscenza e di cultura, ci sono meno occasioni per restare a bocca aperta, rispetto a una volta, o, meglio, i livelli si sono più elevati. Un tempo avevo quale segretario della direzione di un partito un vero e proprio poeta. È noto che non c’è nulla di tanto noioso quanto una relazione politica, magari incentrata sullo sciorinamento di dati. Ebbene, questo “fenomeno” riusciva ad affascinarti ugualmente solo per il modo con cui farciva il suo dire. Ovviamente era agli antipodi del politichese in uso, per cui non fece molta carriera. Ora, figurarsi come doveva essere Gesù quando parlava e si proponeva, se anche oggi, non più con i quattro “zoticoni” di pescatori delle ultime due domeniche, ma in un ambiente di “iniziati” e, con ogni probabilità, di prevenuti è riuscito a strabiliare. Qualcuno potrebbe insinuare che tutti sono stati sorpresi dal gesto di liberazione dell’indemoniato. Per chi avesse la mente sgombra, potrebbe essere. Per gli scafati pieni di pregiudizi non funziona, nemmeno se li sommergi di effetti speciali. Fatto sta che pure questi convengono che il Maestro si muove in modo “autorevole”. Per ben due volte, nella breve pericope di oggi, si utilizza questo termine, quasi a voler sottolineare che non basta essere investiti di una qualche carica (il Messia in quel momento era solo “il figlio del falegname”) per acquisirlo, bensì conta il contenuto del messaggio veicolato e la credibilità che riscuote. Lo capissero i nostri politici e tutti quelli sono preposti a governare persone e a curare anime!! Oggi, come sempre ma più che mai, la gente ha bisogno di prestare ascolto e affidarsi a chi parla con autorità e non agli imbonitori di piazza, a chi promette e non mantiene e ai millantatori. Per fortuna c’è sempre una possibilità di scelta: quella di ricorrere al Vangelo, di predisporsi a leggere la buona novella, balsamo per tutti gli stati d’animo, di ricavarne quanto serve per un buon equilibrio, compresa la capacità di sopportare quelli che concionano senza autorevolezza.

“Ut omnes unum sint”

Inserito il 17 Gennaio 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

“Ut omnes unum sint” (affinché siano una cosa sola). È una frase tratta dalla preghiera rivolta al Padre da Gesù per i suoi discepoli, durante il lungo discorso di commiato pronunciato prima di uscire verso l’orto del Getsemani, dove sarebbe stato arrestato, e riportato da Giovanni al cap. 17. Era preoccupato il Messia per i suoi, che in più circostanze avevano agito in concorrenza fra loro e manifestato debolezze di varia natura; d’altronde li aveva prelevati in modo talmente disomogeneo che non poteva essere altrimenti. Ne abbiamo conferma in queste due domeniche in cui le pericopi di Giovanni e Marco descrivono la fase di “ingaggio”, ma sono convinto che il pensiero del nostro Maestro correva già alle contraddizioni e ai contrasti in cui la sua Chiesa sarebbe incorsa nei secoli a venire e che si sono puntualmente verificati, con tutte le divisioni che ne sono conseguite. L’attualità di questo riferimento torna per due motivi: il primo in quanto entriamo nella settimana dedicata alla preghiera per l’unità dei cristiani; il secondo avendo giusto nel 2020 celebrato il XXV dell’enciclica “Ut unum sint” di Giovanni Paolo II. Perché il processo ecumenico è così difficile e perché tutte queste divisioni, nonostante i ripetuti inviti del Salvatore a volerci bene fra noi come lui ce ne ha voluto, dato che è da questo che saremo riconosciuti suoi? Beh, c’è un dato scontato: è appagante per la nostra povera natura umana sentirsi in possesso della verità e quindi tacciare gli altri di eresia. Se poi il consenso è consistente, va gestito e subentrano altri interessi, la contrapposizione si accentua, i dogmi non condivisi contribuiscono a consolidarla e diventa altrettanto difficile rifluire. Tutte le raccomandazioni di Gesù intanto vanno a farsi friggere ed ognuno è convinto che a non ottemperarvi siano gli altri. E lo Spirito Santo non avrebbe dovuto illuminare le menti affinché tutto ciò fosse evitato? Certo, se tutti lo invocassero con il medesimo intendimento, ma tra le cose che il nostro discernimento partorisce c’è anche il relativismo, uno dei nemici più forti che ostacola la Sua azione e che si annida in ogni “fazione”, inducendo a distorcere la linearità di ogni eventuale soluzione. Perciò, l’impegno di ognuno di noi è quello di pregare per un dialogo produttivo, sollecitando lo Spirito a illuminare le menti di chi ci guida nella fede e a rimuovere i preconcetti, frenando la tendenza ai sofismi e tenuto conto che uniti pure il relativismo s’indebolisce e si vince.

Bella testimonianza d’umiltà!

Inserito il 10 Gennaio 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

Bella testimonianza d’umiltà! “Bravo Maestro!”, verrebbe da dire, se non fosse che Gesù non ha certo bisogno dei nostri complimenti. Con tutta quella smania di auto esaltazione che da sempre imperversa a questo mondo, specie fra titolati, altolocati, preposti, governanti, esperti, capi di qualsiasi entità e così via (l’elenco non ha limiti), dalla quale nemmeno questo periodo ci ha risparmiati, anzi, il più grande in assoluto nasce come l’ultimo dei diseredati. Non solo, ma addirittura si rivela in tutta la sua fragilità e si accoda, Lui senza peccato, con quanti sono in fila per ricevere il battesimo dal suo “battistrada”, Giovanni. Nei tre anni a venire non ci risparmierà molti altri segni analoghi, per finire poi nel modo più vergognoso che mai si sia conosciuto. Il fatto che nella circostanza di oggi, presentato dalla liturgia come il secondo dei miracoli della rivelazione (il primo è stato l’Epifania e il terzo sarà alle nozze di Cana), il gesto si concluda con il massimo dell’esaltazione, con lo Spirito Santo che scende sotto forma di colomba e il Padre che lo indica come Figlio sul quale si è compiaciuto, è ancora più significativo circa gli effetti che la vera umiltà determina. La messa in mora di qualsiasi forma di auto referenza è evidente: ognuno di noi è chiamato a essere quello che è in tutta “normalità”, con lo spirito di servizio che è richiesto a seconda dei talenti ricevuti, senza tirarsi indietro, ma anche evitando di proporsi o, peggio, di imporsi, e lasciando che siano gli altri ad accorgersi del valore che possiamo rappresentare, senza approfittare del ruolo o delle capacità per creare difficoltà. E qui, da ex burocrate, mi si lasci spendere una critica particolare per il grave atteggiamento che certi “burosauri” hanno nei confronti della società da un lato, facendo un uso malsano del potere della burocrazia nel momento in cui tutto intralcia e tutto rallenta, invece di agevolare gli effetti dei provvedimenti, e dall’altro lato degli utenti, ai quali sovente propinano l’immagine di uno stato sovrano. Quindi, se vogliamo, tutti, essere a posto nella massima correttezza dei ruoli, guardiamo pure al nostro “Testimonial” seguendolo d’ora in poi passo passo nel Vangelo, dal quale di volta in volta, in caso di dubbio, potremo trarre input utili per agire di conseguenza e la forza che può derivare solo dall’esercizio della vera umiltà. San Giovanni apostolo ce lo ribadisce oggi, nella seconda lettura: solo accettando come riferimento il Cristo di Dio saremo dei vincenti.

Gesù non abbaglia: illumina

Inserito il 3 Gennaio 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

Gesù non abbaglia: illumina. Mi è piaciuto questo concetto messo in evidenza da un commentatore dei vangeli di questo periodo, il più frequentato dei quali è proprio il Prologo di Giovanni, presente anche in questa domenica. È un brano tutto fondato sulla luce, venuta per squarciare le tenebre e in particolare al n. 9 recita: “Veniva al mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. Il commento citato in effetti prende spunto dalle aspettative da sempre mal impostate sulla venuta del Messia, al quale di volta in volta si attribuivano tempi, ruoli e funzioni che solo il Padre conosceva e che comunque non potevano essere compresi fino in fondo dall’uomo né essere piegati alle esigenze del momento. Quando il Salvatore è arrivato, proprio il suo popolo si aspettava un liberatore dal giogo dei romani occupanti e pertanto non l’ha riconosciuto e non l’ha fatto perché non gli serviva quel tipo di figura. A noi, tuttavia, non avanza di recriminare, perché ci sarebbe piaciuto e ancora ci piacerebbe un Dio immanente e taumaturgo, un Dio che ci sorprendesse con effetti speciali, che ci elevasse dalla nostra condizione umana alla Sua (l’originale peccato in cui son caduti i nostri progenitori), che ci abbagliasse, appunto. Invece ha scelto una strada impensabile, ora come allora: quella di condividere con noi la sua divinità, assumendo Egli a tutti gli effetti, tranne che nel peccato, la nostra natura, proprio per illuminarci la strada verso la salvezza; come la stella non ha abbagliato ma guidato i Magi alla meta. Il Natale torna ogni anno, quindi, per ricordarci che abbiamo tutto lo spazio per diventare uomini nuovi, per accogliere il senso della buona novella che Gesù reca, per scrollarci di dosso la routine e la convinzione, come avevano gli ebrei, che bastasse osservare norme e precetti per essere a posto. Invece, come scrive don Sandro Vigani ne “L’incontro” di questa settimana, si è cristiani quando abbiamo incontrato la persona di Cristo e ne siamo rimasti affascinati, quando abbiamo toccato con mano la sua misericordia. L’Epifania ci manifesti come sempre la bellezza di questa realtà, la vera sostanza della salvezza; ci faccia capire bene il disegno di Dio su di noi e che ha voluto realizzare con l’invio del Figlio. Facciamo anche noi come i Magi: mettiamoci in cammino e lo troveremo. E la sua luce ci illuminerà. BUON 2021!

Ogni nascita è sconvolgente

Inserito il 27 Dicembre 2020 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

Ogni nascita è sconvolgente e fa balzare in primo piano la famiglia, il suo assetto, la sua impostazione, le sue priorità. Spesso si è portati a pensare che dopo il primo figlio tutto il resto non modifichi granché. Ditelo a chi è passato al secondo: era come averne tre. Ogni arrivo, proprio giacché unico e irripetibile, innesca una rivoluzione e modifica il rapporto fra tutti gli altri: aggravi di incombenze, nuove tensioni nella coppia, rivalse, attenzioni mal interpretate, gelosie tra fratellini, spazi che si riducono e così via. Va da sé che anche la nascita di Gesù, peraltro così travagliata e foriera di prospettive speciali, non poteva essere da meno ed è per questo che in questo periodo sale alla ribalta subito dopo anche il ruolo della sua famiglia. Già dalla “scheda agiografica”, che riporta l’intestazione della festa, leggiamo un ordine insolito: “Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe”. Fino a poco prima si parlava tout court di “Giuseppe e Maria”, il che è tutto dire: è cambiato l’ordine, sono cambiate le priorità. A seconda dei vangeli che si alternano, i fatti riportati rispetto alla nuova situazione sono diversi e si va dalla fuga in Egitto al ritrovamento del Bambino nel tempio a discutere con i dottori o, è il brano di oggi, alla sua presentazione al tempio, accolto da Simeone e Anna; brano che leggeremo anche il prossimo 2 febbraio. Non è che una rassegna di alcuni fra i momenti più significativi nei quali è coinvolta la famiglia come tale, dai quali si possa cogliere, se così si può dire, l’eccezionalità della normalità. Le difficoltà che via via si presentano, non devono essere motivo di scontro o di disgregazione, ma vanno affrontate con tutto il senso di responsabilità necessario, ognuno nel proprio ruolo, che attraverso di esse viene perfezionato. Nessuno nasce educatore, bensì lo diventa con l’esperienza quotidiana ed è solo nella solidarietà e nella reciprocità che si cresce. In un paio di circostanze l’evangelista rileva che, di fronte a ciò che non comprendeva, Maria serbava tutte queste cose nel suo cuore. La famiglia così strutturata è anche il primo ammortizzatore sociale: dove c’è tensione, questa tende a espandersi e, viceversa, se arriva dall’esterno, in una cerchia familiare equilibrata si stempera. Il primo gennaio festeggiamo Maria nella sua veste di corredentrice: invochiamola perché protegga le nostre famiglie e le preservi da ogni traversia.

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