Il blog di Carpenedo

Il blog di Carpenedo
La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Trovare pretesti per dividerci…

Inserito il 22 Gennaio 2017 alle ore 12:13 da Plinio Borghi

Trovare pretesti per dividerci sembra ineluttabile in ciascuna formazione, sociale, politica, religiosa o qual si voglia, talvolta purtroppo anche familiare. Che sia dura “convivere” non ci piove, ma se non ci si da obiettivi comuni e non si mettono assieme le risorse per raggiungerli non si arriva da alcuna parte. Perché allora rischiare la rottura? È un’escalation di spinte, come quella di pensare di avere le idee migliori, di essere più capaci degli altri a realizzarle, di pretendere, nel confronto, di avere sempre ragione (in famiglia è la principale, magari mossi dall’esigenza di difendere il proprio spazio nella presunzione che l’altro te lo voglia ridurre a suo vantaggio), di rispondere alla vanagloria del protagonismo e così via. Dove c’è il potere, poi, la divisione diventa strutturale pur di conseguire un minimo di predominio in più. Poi si spacciano per cosa buona le correnti, millantandole come strumento per un dialogo più costruttivo. E la preoccupazione che esprime Paolo nella lettura di oggi è in sintonia, talché invita i Corinzi ad essere “in perfetta unione di pensiero e d’intenti”. Anch’essi, per suffragare una sorta di primato interpretativo e non avendolo in proprio, s’inventano appartenenze differenti, con Paolo stesso, con Apollo, con Pietro e addirittura con Cristo. Recisamente l’uomo di Tarso condanna ogni schieramento: “Cristo è stato forse diviso?”, afferma e prosegue dimostrando come ognuno, con le capacità che si ritrova, abbia un solo compito, quello di predicare il Vangelo e di convertire glorificando la Croce. Anche a Gesù capiterà di dover dirimere velleità fra gli apostoli stessi e proprio ad opera dei due figli di Zebedeo che oggi chiama alla sua sequela, la cui madre un giorno gli raccomanderà di farli sedere, nel Regno, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. Tuttavia tali precedenti non basteranno e in seguito i cristiani stessi incontreranno fra loro le profonde divisioni presenti ancor oggi. Proprio in questa settimana, dedicata alla preghiera per l’unità dei cristiani, si moltiplicano le iniziative per attenuare le divergenze, sulla scorta dell’invito di Paolo sopra riportato, e si sperimentano momenti di preghiera comune. A rompere ci vuole un attimo, ma rappezzare non è altrettanto facile. Prova ne sia che in questi momenti si cerca con cura di eludere i motivi che ci dividono e di esaltare quelli che ci uniscono. L’unica è sperare che sia il Padre ad illuminare tutti. Nel suo stesso interesse.

“Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo!”

Inserito il 15 Gennaio 2017 alle ore 10:31 da Plinio Borghi

Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo!”. Quante volte sentiamo questa frase! Come minimo quattro per ogni Messa cui partecipiamo, senza contare le citazioni nelle sacre letture, com’è nel vangelo di oggi, proferita da Giovanni il Battista. E i sacerdoti, novelli Giovanni Battista, continuano da millenni a ripeterla. Con quale efficacia? E con quale convinzione noi di seguito continuiamo a recitare, parafrasando la risposta pronunciata dal centurione che chiedeva al Maestro di guarirgli la figlia: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato?”. Ogni tanto, quando mi soffermo a considerare queste cose mi rimbalza alla mente la scena di Abramo, sollecitato dal ricco epulone, condannato al fuoco eterno, a mandare Lazzaro almeno ad avvertire i suoi fratelli affinché si ravvedessero per non fare la sua stessa fine. Al quale Abramo risponde: “Se non hanno creduto a Mosè e ai profeti, che hanno con loro, men che meno crederanno ad un morto che risuscita!”. In effetti è quello che successe anche a Gesù, malgrado i miracoli, le guarigioni e i morti risuscitati. È quello che sta succedendo ancora oggi, nonostante noi siamo stati battezzati col fuoco dello Spirito. E non basta. Nella migliore delle ipotesi stiamo riducendo la nostra pratica di fede ad una sorta di assicurazione previdenziale: non si sa mai che non se ne abbia bisogno e che tutto quello in cui ci dicono di credere non sia poi vero. Trascuriamo, in tal guisa, proprio il compito principale, che non è quello di “servire” il Signore, bensì di andarlo a raccontare e di portare la sua “salvezza fino all’estremità della terra”, come dice la prima lettura, dal libro di Isaia. Non solo, ma disattendiamo così anche il compito profetico della Chiesa, compito che non appartiene solo al clero (quante volte ce lo sentiamo ripetere!). Siamo tutti come san Paolo: chiamati ad essere apostoli di Gesù. E ciò senza partire lancia in resta per chissà dove, ma testimoniando qui, nei nostri luoghi, nelle azioni quotidiane e nel nostro tempo, come fecero i Magi, quello che abbiamo conosciuto (se il Natale ha contato ancora qualcosa) e in cui crediamo: che quel pane che il celebrante solleva è veramente il Salvatore incarnato, l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo, e non un mero gesto rituale.

Tribus miraculis

Inserito il 8 Gennaio 2017 alle ore 12:05 da Plinio Borghi

Tribus miraculis: è l’incipit dell’antifona al Magnificat che un tempo si cantava oggi, antifona che riassume i tre (tribus) momenti della rivelazione, quello celebrato venerdì (l’Epifania), il Battesimo di Gesù, appunto, e le nozze di Cana, quando il Messia è “costretto” a compiere il primo miracolo. Sono come i botti finali che concludono i fuochi d’artificio: sostanzialmente li si sente soltanto, ma nemmeno un cieco dubita di quello che è avvenuto poco prima. Mi si perdoni l’accostamento improprio, ma è quello che m’è venuto più di getto pensando al fantasmagorico ingresso di luce che la nascita del Salvatore ha provocato, luce che ha squarciato il buio delle tenebre, le quali non hanno potuto soffocarla. Una luce che s’è fiondata nel grigiore della Storia stravolgendola, una luce che è venuta a portare una risposta ad un’attesa fin troppo lunga, esaudendola alla grande: nientemeno che attraverso Dio stesso fra noi, l’Emmanuele. Una luce che non è arrivata di nascosto, anzi, ha fatto parecchio rumore, a partire dai pastori scossi dall’annuncio dell’Angelo, poi dai Magi, scesi alla sua ricerca dal lontano Oriente, quindi con un Erode, infuriato quanto scomposto, che ha provocato una strage di innocenti, pur di ostacolare quell’esplosione che l’avrebbe spiazzato, reso ridicolo e strappato dalle sue prospettive di protagonismo. Tutti aspetti che nei secoli a seguire si sarebbero ripetuti in forme diverse, attraverso i soprusi, le persecuzioni, gli esilî analoghi a quelli della Santa Famiglia (quante volte l’abbiamo allontanata dal nostro cuore ed elusa nei nostri riferimenti!). E l’impatto continua. La settimana scorsa il Papa ha affermato che i martiri per la fede sono oggi ancor più numerosi di duemila anni fa e il clima di paura innestato anche in questo periodo dai terroristi sedicenti islamici conferma quanto fastidio dia ancora questa luce provocante. Le manifestazioni continueranno con la Presentazione di Gesù al Tempio, l’annuncio del Regno e le opere del Maestro. Qualcuno ha pensato che tutto sarebbe stato sepolto con la morte in croce del Fautore, ma è stato platealmente confutato dalla Resurrezione, allora come ora. Fare gli orecchi da mercante o i negazionisti, soprattutto quando queste feste ci hanno chiamato alla realtà, sarebbe da suicidi. Approfittiamone invece per goderci il privilegio che ci è stato concesso, facciamo spazio a questa luce e non permettiamo che le tenebre abbiano la meglio!

Pace, pace, pace! È una parola!

Inserito il 1 Gennaio 2017 alle ore 12:03 da Plinio Borghi

Pace, pace, pace! È una parola! Dirla è facile, ma quanto a realizzarla ne corre. Tutto il contrario del “prestito prestito Compass” della nota réclame, che si fa più presto a ottenerlo che a dirlo. Fuor di metafora, è chiaro, e l’abbiamo considerato più volte, che la nostra vera natura è di essere aggressivi ed egocentrici e che soltanto una paziente, incisiva e profonda educazione potrebbe gettare le fondamenta per costruirvi una pace solida e duratura, cosa dalla quale siamo evidentemente piuttosto lontani. Non ditemi cinico, ma finora l’unico collante che ha tenuto unite etnie eterogenee è la ricchezza, il benessere. Dovrebbe essere il contrario e prodursi maggior solidarietà fra i poveri, ma fatto sta che non è così. Senza scomodare esempi fra l’Africa e l’America, fin troppo scontati a livello di macro regioni, basti vedere noi con l’ex Jugoslavia: qualcuno mi dimostri che non saremmo stati votati alla stessa fine se non avessimo avuto fin troppi interessi da difendere o, viceversa, che quel Paese avrebbe fatto la fine che ha fatto (a parte le strumentali questioni religiose) se avesse goduto di un benessere diffuso simile al nostro. Se la pace non avesse in nuce queste grosse difficoltà di affermazione, nemmeno Gesù si sarebbe tanto dato da fare per sollecitarla e dispensarla ad ogni piè sospinto. La Chiesa continua a fare la sua parte in questa direzione e la giornata di oggi ne è un esempio, ma nemmeno lei riesce, nel nome dello stesso Cristo, a dare prova di coerenza e coesione. Infatti, fra meno di venti giorni faremo luogo alla consueta settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, con la speranza che prima o poi si riesca a far prevalere ciò che ci unisce, piuttosto di quello che ci divide. E a proposito delle tendenze di cui dicevo all’inizio, è sintomatico come storicamente ci siano voluti tempi brevissimi per produrre uno scisma e, di contro, tempi biblici per togliere gli ostacoli che l’hanno causato. La stessa cosa succede nei rapporti: tempi lunghi per costruirli, un attimo per distruggerli. Non ci resta allora che sollecitare l’intercessione di Maria Santissima, Madre di Dio, che oggi festeggiamo come tale, affinché metta Lei, che è proclamata anche Regina della Pace, una pezza sulle nostre grettezze umane, aiutandoci a cucire intanto a livello familiare e sociale un po’ di quella vera pace che, in proiezione, tutti auspichiamo divenga duratura nel mondo. E speriamo che un domani Dio non ci giudichi solo in base alla pace che avremmo saputo produrre, altrimenti staremmo freschi!

Letterina a Gesù Bambino

Inserito il 25 Dicembre 2016 alle ore 08:15 da Plinio Borghi

Letterina a Gesù Bambino. Caro Gesù, spero di essere arrivato bene al Natale senza lasciarmi fuorviare troppo dagli aspetti mondani di questa festa. Comunque non ho proprio voglia di chiederti niente per me: ci sono troppe situazioni in giro per il mondo che hanno tanto bisogno di te, troppe situazioni in cui i numerosi Erode, sparsi un po’ ovunque, continuano a spargere sangue innocente. Il “tuo” Erode, almeno, rispondeva, suo malgrado, ad un progetto di salvezza: questi sono solo imbevuti di teorie balzane tendenti a dare morte e sopraffazione. Caro Gesù, in questo bailamme implorare pace ovunque è fin troppo scontato, ma se puoi fai almeno una capatina ad Aleppo, affinché in quello scempio non muoia almeno la speranza. Se ce la fai, un saltino pure in Africa, in Nigeria come in Eritrea, ma anche in molti altri focolai, non lo vedrei così male, specie se tu (e solo tu lo puoi) riuscissi a introdurre un pizzico di resipiscenza in quelle teste calde che se la prendono con i cristiani, con i loro fratelli, perpetrando violenze inaudite quanto gratuite. Già che ci sei, non guasterebbe la tua presenza nemmeno in qualche barcone di disperati, per salvarli dalla cattiveria di quegli scafisti beceri e senza scrupoli, ma anche per facilitare la loro accoglienza fra noi, liberandoli della zavorra di quanti, giovani e baldanzosi, approfittano della loro sorte per spacciarsi per fuggitivi, mentre sono consci di come sarebbero molto più utili lavorando per la prosperità nei loro rispettivi Paesi. Instilla in loro quel po’ di vergogna perché capiscano che la loro arroganza innesta atteggiamenti sbagliati verso coloro che invece meritano di essere accolti bene. Caro Gesù, non voglio però che le nequizie umane facciano trascurare chi ha subito gli effetti delle calamità naturali. Anche quest’anno stiamo piangendo i troppi morti, in Italia e nel mondo. Penso che un forte aiuto alla ripresa dei nostri paesi del Centro possa venire dalla percezione che sei lì anche tu, piccolo e fragile come loro, ma portatore di salvezza. Ma non voglio peccare di egoismo: fa altrettanto nel resto del mondo; penso in particolare ad Haiti, dove è piovuto sul bagnato: dovevano ancora cominciare a riprendersi dalla batosta precedente. Caro Gesù Bambino, a continuarlo l’elenco sarebbe fin troppo lungo e mi fermo qui, auspicando che stavolta le tenebre non ce la facciano a soffocare la tua luce, si diradino invece, consentendo a noi di accoglierla per guardarci attorno con occhi diversi. Sono convinto che allora sarà per tutti veramente un Natale con i fiocchi!

Siamo all’ultima invocazione…

Inserito il 18 Dicembre 2016 alle ore 11:31 da Plinio Borghi

Siamo all’ultima invocazione: “Stillate dall’alto o cieli la vostra rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto; si apra la terra e germogli il Salvatore”, recita l’Antifona d’ingresso della Messa di oggi. Ad analizzarla con attenzione, ci rendiamo conto di quanti elementi naturali sia farcita l’allegoria che perora l’arrivo fra noi del Messia. Una cosa è certa: Dio non intende redimerci con un gesto clamoroso o coercitivo, ma vuole che siamo noi i fautori del suo progetto. Alcuni elementi sono già in atto: la rugiada è stillata (lo Spirito Santo) e la terra si è aperta (Maria vergine), il germoglio è ormai in arrivo (domenica prossima). Mancava all’appello Giuseppe, con tutti i suoi dubbi e la sua umanità, al quale Matteo dedica il passo odierno del suo vangelo. Nella figura di Giuseppe siamo rappresentati un po’ tutti, specie quando è in difficoltà a capire cose più grandi di lui e si arrovella per trovare una via d’uscita che sia dignitosa; ma dovremmo rassomigliargli ancor di più quando accetta con fede il ruolo che gli è stato riservato e si fa carico di condividere con la sua sposa la cura di quel Bambino letteralmente piovuto dal cielo. Attraverso quest’uomo generoso, che non avrà comunque modo di assistere all’epilogo della sua avventura, il Padre ci fa capire che ognuno è chiamato a essere protagonista della salvezza, propria e degli altri (sarebbe riduttivo pensare che i ruoli si esauriscano nei personaggi di quel tempo). Ce lo ribadirà con più chiarezza Gesù stesso durante l’annuncio del Regno e soprattutto dopo la Resurrezione quando, promettendo l’arrivo dello Spirito Santo, ci darà il mandato di evangelizzare il mondo e di sottomettergli tutte le genti, i troni e le dominazioni (lo cantiamo anche durante la novena di Natale), affinché egli possa tornare nella sua Gloria e dichiarare al Padre che la missione è compiuta. Sotto un certo aspetto siamo pure avvantaggiati rispetto a Giuseppe, perché a noi la verità è stata a tutti gli effetti rivelata. Sarebbe ben ridicolo che, assaliti dai dubbi, cercassimo ogni pretesto per eludere il percorso o addirittura rinunciassimo al mandato, buttando alle ortiche, con la vita, breve come un battito d’ali, anche la possibilità di godere il premio finale della completa conoscenza del volto del Padre, che abbiamo imparato a scorgere attraverso Gesù. È più conveniente che utilizziamo quest’ultimo scorcio d’Avvento per dare una regolata alla nostra spinta di fede, affinché l’euforia del Natale ne sia ancora una volta una bella rampa di lancio.

Il ricorso ai paragoni…

Inserito il 11 Dicembre 2016 alle ore 10:24 da Plinio Borghi

Il ricorso ai paragoni è frequente nel nostro linguaggio e, senza che ci accorgiamo, i nostri discorsi ne risultano alquanto infarciti. Di un ladro colto in flagrante, diciamo che “è scappato come una lepre”; chi, poco agile, inciampa “è caduto come un sacco di patate”; se uno si precipita per la fretta “è partito come un razzo” e così via. Spesso i paragoni sono integrati da iperboli: “Io ti voglio un bene grande come una casa”, si diceva da piccoli alla mamma; e se poi si faceva a gara con i fratelli il secondo rilanciava “e io grande come tutta la città”, “e io grande come tutto il mondo”, “e io grande come tutto l’universo”. Proviamo a prestare un po’ di attenzione ai dialoghi e ci renderemo conto che è così. Probabilmente c’è l’esigenza di sottolineature o forse il bisogno di farsi capire bene senza tante perifrasi. Anche Gesù, da uomo, ha questo problema con i suoi, teme che non passi bene il concetto del Regno e pertanto in diverse circostanze si affida a paragoni e similitudini, sovente accompagnate da parabole. Nel vangelo di oggi, poi, dopo aver disquisito per Giovanni e su Giovanni, coglie l’occasione di “divagare”, esaltando il suo precursore, e conclude con un’affermazione di tutto rispetto: “In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista”. Frase esaltante, che gli serve però da trampolino per il seguito. Ed ecco il paragone: “Tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”. Non c’è dubbio che pure il più sprovveduto colga di quale bene enorme stia parlando e di come sia ambizioso il piano di salvezza che il Padre ha su di noi, tutti, al punto di mandare il suo stesso Figlio ad annunciarlo. Un altro aspetto balza all’occhio: nel Regno dei cieli non saremo tutti uguali e la nostra grandezza sarà commisurata non all’intelligenza o al titolo di studio o all’importanza della nostra persona in questa vita, bensì ai meriti che avremo accumulato, all’umiltà che avremo esercitato, a quanto saremo riusciti a farci piccoli per capire e mettere in pratica la lieta novella. Un bell’esempio ci è venuto questa settimana nientemeno che da Maria, la quale, nella sua modestia e pur non comprendendo, con tanta disponibilità risponde all’Angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Che l’Avvento ci aiuti a predisporci con analogo atteggiamento, se vogliamo garantirci quella prospettiva incomparabile, che la nascita del Messia rende concreta.

Un senso di disagio…

Inserito il 4 Dicembre 2016 alle ore 11:18 da Plinio Borghi

Un senso di disagio, con uno sbiseghesso sotto i piedi, tipo quello che avverti dopo una frenata al limite della collisione, mentre il sangue va in acqua, è quello che mi prende ogni qualvolta affronto il brano del vangelo di oggi. Il contesto, in sé, è quello che conosciamo da sempre in queste circostanze: Giovanni che  nel deserto veste di peli di cammello, mangia locuste e battezza invitando alla conversione. Però ci sono in coda anche farisei e sadducei, ovviamente pieni di riserve mentali, che il Battista intuisce, tanto che li apostrofa come “razza di vipere”. Sapeva evidentemente che il loro gesto era solo “populista”, una sorta di rito per farsi vedere dalla gente e sminuire l’importanza di quel che il precursore del Messia andava predicando. A loro non passava nemmeno per l’anticamera del cervello di abbandonare il riferimento ad Abramo. Ebbene, io mi sento come loro, la mia mente è attratta da ben altri problemi che non quello di far spazio alla venuta del Salvatore; sono fermo nei miei principi, legato alle mie impostazioni, poco aperto al contributo altrui. Il mio cuore a parole dice che è ansioso di accogliere, di fatto è gretto e quando si tratta di tradurre nei fatti la vera accoglienza, tenuto conto che Gesù è nel povero, nell’emarginato, nell’immigrato che bussa, l’istinto è di svicolare, perché l’impatto è con realtà scomode. E se non ci riesco, assumo un atteggiamento esteriore di circostanza, che non corrisponde per niente al mio stato d’animo reale. Ecco perché sentire quella voce che grida nel deserto mi provoca un fastidio da matti, specie se mi sgama e mi avverte che la scure è pronta alle radici del mio albero, se questi non dà frutti “degni di conversione”. Mi sento in pericolo come uno aggrappato ad un appiglio precario che ha il vuoto sotto pronto ad ingoiarlo. Potrò resistere? So che là non posso barare e che detta forza mi arriverà solo se saprò convertirmi sul serio. So che se sarò disposto ad essere battezzato in Spirito Santo e fuoco nessun baratro potrà farmi paura e men che meno avermi. So anche però che, se non sarò pronto a questo, lo stesso fuoco mi brucerà in modo inestinguibile, perché sarò solo pula, che il ventilabro avrà separato dal grano buono. La Giustizia divina non si fa ingannare dalle apparenze, dice la prima lettura. Sarà bene pertanto che approfitti dell’Avvento per fare una profonda riflessione, iniziare una bella revisione e darmi un radicale rimediata.

C’è un po’ di nostalgia…

Inserito il 27 Novembre 2016 alle ore 09:44 da Plinio Borghi

C’è un po’ di nostalgia, mista ad un pizzico di melanconia, ogni qualvolta si chiude un periodo della nostra vita e ne inizia uno nuovo. Almeno, a me dà questa sensazione. Si sa, il tempo macina tutto e il vissuto è quello che è e tale rimane. Voltare l’ultima pagina del vecchio quaderno ed avviare la prima di quello nuovo è un fatto puramente formale, dato che non c’è soluzione di continuità in ciò che si sta scrivendo, però ti viene da impegnarti ad usarlo meglio, a non riempirlo di errori, a dargli un aspetto più ordinato, con una calligrafia più bella. È l’augurio che in buona sostanza ci si fa ad ogni ripartenza. Poi al primo intoppo i buoni propositi vacillano e si riprende la consueta routine di alti e bassi, sempre più fatalisti e rassegnati. Forse è anche per questo che la liturgia ha voluto ribaltare una tendenza comune e porre in apertura del nuovo anno un tempo forte di reale attesa, che ci debba tenere in tensione per rivivere al meglio quella nascita che stravolge la nostra esistenza. Noi cristiani sappiamo che far memoria non significa ricordare, bensì ripercorrere tutte le fasi della nostra salvezza, che includono la grande speranza del ritorno di Gesù nella sua gloria. Lo ripetiamo spesso ed è un grande mistero, ma pure qui non dobbiamo scivolare in un concetto puramente celebrativo, collocando il fatto in termini temporali al momento della resurrezione dei corpi, seguita dal Giudizio universale: è un ritorno già in atto, in progress, come si direbbe scimmiottando termini più correnti. Succede già ora quello che dice il vangelo di oggi e cioè che “due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata”; il busillis sta nel fatto più volte ribadito: che non conosciamo l’ora in cui il Figlio dell’uomo verrà e quindi non possiamo farci cogliere impreparati. Ecco perché c’è un tempo particolare per  una rinfrescata al quadro delle nostre prospettive e per rinfocolare le nostre speranze, speranze che per la nostra fede sono certezze. Come cattolici dobbiamo imparare a tutti i livelli, personali e comunitari, ad “esporci di più alla Parola di Dio”, come diceva il filosofo Mancini su Gente Veneta di due settimane fa, “altrimenti i pur lucidi e avanzati prodotti del Magistero rischiano di restare marginali”. In sostanza è l’invito che ci rivolge anche San Paolo dalla lettera ai Romani della seconda lettura. Rileggiamola con calma, perché è la traccia per vivere in modo produttivo questo Avvento.

Il risultato delle elezioni USA…

Inserito il 20 Novembre 2016 alle ore 10:36 da Plinio Borghi

Il risultato delle elezioni USA è stato sorprendente anche per coloro che dimostrano una certa simpatia per il neo eletto presidente. Checché se ne dica, non è proprio il top della presentabilità, sotto parecchi profili. Qualcuno mi ha chiesto cosa ne pensassi di questo epilogo. Ho risposto che non mi preoccupo tanto per il Trump: può darsi che in fondo in fondo, ma molto in fondo, ne possa pure derivare qualcosa di positivo, dato il ruolo delicato che è destinato a ricoprire e l’ha già dimostrato con la calmata che si è dato a kermesse conclusa. Mi preoccupano invece gli americani e le loro impennate cicliche da deriva. Non sono i soli cui capita, ma è un popolo che pesa molto  più di altri sullo scenario mondiale. Bah, speriamo che passi anche questa senza eccessivi danni. Per fortuna imperituro e di tutt’altra pasta è il Re che noi abbiamo “eletto” e che oggi festeggiamo. È un Re che ci ha scelti, ci ha salvati e al quale ci siamo impegnati di ricondurre tutti i troni di questo mondo, affinché Egli possa ritornare trionfante nella sua Gloria. Un Re strano, che ha scelto come trono una croce ed è talmente attaccato a quella scomoda sedia che vi si è fatto pure inchiodare, incurante delle provocazioni che gli vengono rivolte dai soldati, come ci riporta il vangelo di oggi. Non ci pensa proprio Gesù a “salvare sé stesso”, come lo incita anche uno dei ladroni che gli stanno a fianco nelle rispettive croci. Volendo avrebbe potuto svicolare quand’era da Ponzio Pilato, ma anche a lui aveva ribadito: “Il mio Regno non è di questo mondo” ed è un regno cui si accede solo attraverso la resurrezione, per Lui, e per noi idem. Il nostro Re non fa la storia, a quella ci pensiamo noi, ma la interseca e ne diventa riferimento per tutti, Non ci fa mai mancare il Pane della Vita e non ci infonde apprensione con prospettive incerte: la sua Parola è garanzia incomparabile. Di più, è un Re che guida solo chi lo “elegge” (sembra quasi un ossimoro) e chi vuol prendere altre strade è libero di farlo. Valla a trovare un’altra realtà dove solo quelli che lo votano seguono le sorti del capo!  Sarebbe impensabile. Sicuramente il cosiddetto “buon ladrone” l’aveva intuito, tanto da redarguire il compagno di sventura, facendogli notare che proprio il sangue di quel Giusto era la loro salvezza. Oggi è il momento, anche per noi, di far proprie le sue parole e di rivolgersi parimenti al nostro Re e Salvatore: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!”.

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