Inserito il 5 Maggio 2019 alle ore 08:09 da Plinio Borghi
    			
    				“Non avete nulla da mangiare?” È la domanda che il Risorto rivolge agli apostoli di ritorno dall’ennesima pesca inconcludente. Il seguito è descritto nel vangelo di oggi ed è noto: rigetteranno le reti, ci sarà ancora una pescata miracolosa, finalmente riconosceranno il loro Maestro nello “sconosciuto” che grida dalla riva, mangeranno insieme pesce arrostito e avranno l’ennesima prova che il Salvatore è realmente risorto col suo corpo; Pietro riceverà col “pasci i miei agnelli” e “pasci le mie pecorelle” il primato di pastore della nuova Chiesa. Tuttavia, a me piace soffermarmi di più sul significato allegorico e sul tono della domanda iniziale. Quante volte ce la sentiamo in qualche modo rivolgere ogni giorno! Da chi bussa alla porta a chi ti chiede l’elemosina fuori dal supermercato, da chi cerca un posto di lavoro con una famiglia da sfamare alle spalle a chi scappa da miseria o guerre in cerca di sopravvivenza e di pace, da chi si accontenterebbe di un po’ di cibo spirituale come un sorriso o un minimo di consolazione per le pene che sta attraversando. Ho citato solo alcuni casi estremi, ma la platea dei bisogni include anche tante altre situazioni intermedie che spesso ci sfuggono e che magari si risolvono con un po’ di collaborazione o di solidarietà. La domanda però va oltre e potrebbe essere ribaltata e rivolta da chi ha verso chi non ha. Sovente non tutti quelli che si trovano in stato di necessità hanno la forza o il coraggio di farsi avanti ed ottenere l’aiuto che gli spetta o che potrebbero conseguire. A chi di dovere, cioè a tutti noi, deputati o meno a farlo, spetta l’obbligo professionale o morale di cercarli e di scovarli: “Figlioli, non avete nulla da mangiare? Venite, siamo qui ad indicarvi le strade opportune per risolvere i vostri problemi, per darvi una mano. Non abbiate paura”. Due toni diversi che racchiudono tutto il nostro modo di essere cristiani. In entrambi i casi, i protagonisti sono gli stessi e in tutti loro si nasconde un solo volto, quello di Gesù. Nemmeno Lui era stato riconosciuto dai suoi, in un primo momento, ma poi “il discepolo che lui amava” (Giovanni) lo gridò a Pietro: “è il Signore!”. Sembra la rappresentazione pratica di quello che il Messia ci ha comandato: riconoscere (altro verbo da usare nella doppia valenza, passiva e attiva) in ognuno dei diseredati il Signore. Se non ci viene spontaneo farlo per amore, facciamolo almeno per convenienza: è su questo che alla fine saremo giudicati.
    			 
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    			Inserito il 28 Aprile 2019 alle ore 08:04 da Plinio Borghi
    			
    				Un’insolita e puntuale precisione è quella che troviamo nel vangelo di Giovanni in queste due settimane. Domenica scorsa descriveva quasi l’ora esatta in cui Maria di Magdala, all’alba del giorno seguente il sabato, si recava al sepolcro di Gesù, trovandolo vuoto. Non solo, ma poi si soffermava con dovizia di particolari su come Pietro e lo stesso Giovanni vi giunsero: il secondo correndo più forte, ma, per rispetto all’autorità riposta sul capo degli Apostoli, aspettando poi che fosse questi ad entrarvi per primo. Oggi inizia precisando che quello stesso giorno il Maestro entrò nel luogo dove i discepoli erano riuniti a porte chiuse, assente Tommaso. Prosegue specificando che otto giorni dopo la circostanza si ripete, con la presenza di Tommaso, da cui l’episodio a tutti noto. Perché l’evangelista pone tanta cura nel racconto? Non penso sia casuale, come nulla nel Vangelo lo è. E allora notiamo che i fatti avvengono tutti il giorno dopo il sabato, il primo giorno lavorativo per gli ebrei, quello stesso giorno che noi oggi chiamiamo appunto Domenica, giorno del Signore. D’altronde non potevamo stabilire diversamente, visto che la Resurrezione, perno di tutti i fatti che riguardano la nostra fede, è indubbiamente avvenuta all’alba del terzo giorno rispetto alla morte. Altra curiosità: questa prima comunità di discepoli inizia a riunirsi periodicamente, ma non in un giorno qualsiasi o in modo discontinuo, bensì lo stesso giorno. Gli altri giorni, com’è descritto in altre parti del Vangelo, ognuno si dedica alle originali incombenze, tant’è vero che il Risorto un giorno li aspetta in riva al lago, di ritorno dalla pesca. Evidentemente sentono il bisogno di trovarsi per consolidare il loro rapporto e costruire questa nuova comunità di redenti, questa “Ecclesia” che diventerà custode della buona novella. Il Messia suggella tale scelta apparendo dove essi sono riuniti, quasi a consolidare quanto andava predicando: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sarò con loro. Mi sembra che si possa dedurne quanta importanza abbia sempre rivestito e rivesta ancora il ritrovo delle nostre comunità parrocchiali attorno alla mensa eucaristica la domenica. Lo stesso Spirito Santo, la “domenica” di cinquanta giorni dopo la Pasqua, scende sugli Apostoli e Maria riuniti e da allora tutto è chiaro per tutti. È chiaro pure che la fede espressa dalla comunità suscita l’interesse nei giovani, novelli Tommaso che vogliono vedere per credere, e innesca il meccanismo della continuità.
    			 
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    			Inserito il 21 Aprile 2019 alle ore 08:00 da Plinio Borghi
    			
    				Come festeggiare la Pasqua? Se ci rivolgessimo a mo’ d’inchiesta ad un campione di persone, sono certo che il 90% si verserebbe in mille congetture sul come e dove trascorrere la giornata speciale. Parecchi, prendendola larga, l’hanno già inclusa in un ampio periodo di vacanza che va come minimo dal Giovedì al lunedì dell’Angelo. Altri si stanno già dando da fare per prenotare un buon ristorante, magari in compagnia, all’insegna del “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”. I più “scarognati” si accontentano di organizzare una Pasquetta tradizionale, con gita fuori porta ed eventuale pic-nic, tempo permettendo. Qualcuno, più compreso dall’aspetto religioso, avrà pensato bene di sbocconcellare qualche partecipazione alle funzioni della Settimana Santa e di concludere rigorosamente con la Messa della veglia, così da tenere “sgombra” la giornata festiva da “obblighi di precetto”. Sfugge in questo contesto il fatto che è vero sì che in tutte le domeniche si celebra il mistero pasquale, ma che tuttavia questa ha qualcosa di speciale per tutti coloro che si dicono credenti: si rinnova il motivo per cui lo siamo e cioè il Cristo risorto. Se inventiamo tutti i modi di far festa, tranne quello di avere al centro dell’attenzione il Festeggiato, che senso ha? Proviamo a pensare a tutte le occasioni conviviali in cui ci riuniamo per qualche anniversario o qualche avvenimento, come una prima comunione, una cresima, un matrimonio e togliamo per un attimo le persone che sono oggetto di ciò: il resto diventerebbe una stonatura, una farsa. C’è di più. Come accennava il nostro parroco ne “L’incontro” di un paio di settimane fa, di Cristo possiamo dimostrare storicamente tutto, tranne la Resurrezione, che è giustificata solo da una fede che va oltre alla ragione, ma non per questo è irragionevole, tanto è vero che è l’unico fatto che è stato avversato (dai religiosi ebrei di allora) ed è contestato dai detrattori. La Resurrezione, proprio in quanto non dimostrabile, ma ineludibile, tiene in piedi tutto il “palco” della nostra fede. E allora perché svilirla agli occhi del mondo disattendendola nel momento più topico? Se la forza che ci deriverebbe dal confronto si riduce a una farsa, cosa andiamo a testimoniare? Il vangelo di oggi termina, anche per l’incredulità degli apostoli stessi, dicendo che non avevano ancora compreso che “Egli doveva risuscitare dai morti”. Allora, festeggiamo la Pasqua come vogliamo, purché al centro dell’attenzione ci sia Lui, il Signore risorto. Buona Pasqua.
    			 
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    			Inserito il 14 Aprile 2019 alle ore 08:56 da Plinio Borghi
    			
    				Sobillare il popolo dev’essere sempre stata la massima aspirazione degli antagonisti, specie se non riescono a far valere altrimenti le proprie ragioni contro il potere costituito. Già Mosè ebbe la “bella” esperienza quando, tornato con le Tavole della legge, trovò i suoi, incitati a dovere, ad adorare il vitello d’oro. Mentre mi accingo a “meditare”, scorrono in tv le immagini di quanti, a Roma, palesemente strumentalizzati dai rappresentanti di Casa Pound, ostacolano il trasferimento dei nomadi sloggiati dai campi, negando loro anche un minimo di sussistenza. Subito, andando agli argomenti della liturgia di oggi, mi vien da pensare: “Non è proprio cambiato nulla!”. Eppure la storia ci consegna tanti di quei fallimenti collezionati da chi sperava di ottenere, e soprattutto di conservare, il consenso del popolo alle proprie azioni rivendicative, a volte perpetrate col terrorismo. L’ex latitante Cesare Battisti ne ha di rievocati dagli anni di piombo! Il presupposto è sempre l’errore di partire con una contraddizione in termini: si tratta il popolo da “bue” e si spera che poi non si comporti come tale. Quando si crede di essere in testa, ci si gira e non si trova più nessuno, perché lo sport più praticato da gente raccogliticcia è quello del “voltagabbana”, non foss’altro che per avere trovato qualche altro più convincente. Anche il populismo è un’arte che chiede ben precise regole: la prima di tutte è il rispetto. Gesù, pur in circostanze negative come quelle proposte oggi, ce ne da una dimostrazione incomparabile. Non si monta la testa per la festosa accoglienza in Gerusalemme, perché sa quanto labile sia la gloria effimera, né si abbassa alla stregua di chi più tardi arruffa il popolo. Egli ama la sua gente, la ama comunque e la rispetta, sia che lo osanni sia che lo rinneghi, tanto che perfino sulla croce le sue parole saranno di comprensione: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!”. Come aveva previsto e senza sobillare alcuno, una volta “elevato” ha attratto tutti a sé e da allora sta continuando a farlo, alla faccia di tutti i detrattori che, nel tempo, non sono mai mancati. In questa settimana, gli spunti che ci vengono consegnati sono tanti, da stimolarci alla lealtà, al pentimento, alla riconoscenza per il grande regalo dell’Eucaristia e per l’estremo sacrificio subito dal Cristo per riscattarci, alla speranza per la prospettiva che ci è garantita; fino all’attesa di quella Resurrezione, senza la quale tutto il resto non avrebbe alcun senso.
    			 
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    			Inserito il 7 Aprile 2019 alle ore 09:56 da Plinio Borghi
    			
    				La tensione nella fede, per rimanere in sintonia con i temi accennati nella prima domenica, mi richiama la cinghia di trasmissione del motore e alla sua funzione di armonizzazione: chi se ne intende sa quale danno può provocare sia la troppa che la scarsa tensione (io l’ho imparato a mie spese). A noi interessa l’aspetto della giusta elasticità: l’eccesso può provocare rigidità, scarsa disponibilità a rivedere le proprie convinzioni, a rileggere i fondamenti sui quali si basa il nostro credo e a riprendere gli spunti giusti per ridare vigore alla nostra vita. Il difetto, di contro, ci smorza la voglia e i sentimenti, ci orienta all’apatia, la quale a sua volta ci porta lentamente all’abbandono e all’allontanamento. Insomma un elastico troppo morbido o troppo rigido non serve a svolgere la propria funzione, non solo, ma va allentato e tirato continuamente se vogliamo che mantenga le sue caratteristiche. Applichiamo il medesimo criterio sulla fede ed ecco perché la Quaresima diventa occasione di verifica del livello di tensione. Molti aspetti vanno allentati, perché è il momento di rivalutarli e di ridare loro la giusta dimensione; altri vanno incrementati, perché nella routine della pratica religiosa si corre anche il rischio di prendere le cose sotto gamba o di svilirle sulla via dell’abitudine. Oggi Gesù ci offre uno spaccato di questo dualismo col noto episodio dell’adultera. Scribi e farisei, presi e irrigiditi dalla loro miriade di norme e conseguentemente dalla loro ansia di prestazione, si sentono in diritto e dovere di lapidare la peccatrice. Manco passa loro per la testa una qualsivoglia alternativa. Il Maestro li affronta sullo stesso terreno con la famosa frase: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei”. La tensione (negativa) si allenta in un attimo e sembra di sentirlo ancor oggi il tonfo di quei sassi che cadono ad uno ad uno. Nello stesso tempo si accende un’altra tensione (positiva) nell’adultera, che, alle parole di Gesù: “Va’, e d’ora in poi non peccare più” scatenerà un crescendo d’amore per quel Salvatore che le ha cambiato la vita. La tensione, quindi, non è solo uno stato concreto, ma è anche un modo per vivere un sentimento e quindi non la s’inventa se questo manca o è sopito. Altro scopo di questo tempo, allora, è quello di ravvivare i sentimenti a tutto spettro: per il Padre che ci ha creati, per il Figlio che s’è sacrificato, per lo Spirito che ci aiuta a capire, per il prossimo da amare. Ce n’è per darci dentro senza frapporre indugi.
    			 
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    			Inserito il 31 Marzo 2019 alle ore 10:12 da Plinio Borghi
    			
    				Le ferie dell’anima, lo accennavamo la prima domenica, hanno pur esse una collocazione preferenziale, che è appunto la Quaresima. Anche per queste c’è un presupposto: che tipo di ferie intendiamo impostare? Escludiamo a priori quelle passive da nulla facenti: non fanno bene in alcun caso, nemmeno per il corpo. Il riposo ha una sua logica e non significa inerzia o impoltronire: per quelli il sonno basta e avanza. Invece è senz’altro diverso dall’abituale attività lavorativa, lascia più spazio a quegli hobby che in via ordinaria sono compressi, ritaglia tempo per il rilassamento mentale attraverso alcune attività culturali e le buone letture; perfino un bel viaggio impegnativo può essere liberatorio e riempire adeguatamente il periodo delle ferie, e non importa che si ritorni più stanchi di prima: se ci si è arricchiti a dovere, la ripresa fisica sarà veloce. Ora applichiamo gli stessi criteri in campo spirituale e avremo valorizzato il periodo forte che stiamo trascorrendo. Prima di pensare alle tradizionali rinunce, a svaghi sfrenati o ad eccedenze alimentari, risvolti che peraltro hanno perso parecchio mordente rispetto a una volta, presi come siamo dalla nostra “forma” fisica, dedichiamoci a momenti di approfondimento delle sacre scritture, fonte inesauribile di spunti sempre nuovi. Checché se ne dica, non sono “sempre le solite cose”, in quanto stiamo vivendo in situazioni ogni volta diverse ed è sorprendente come diano sempre una risposta alle grandi questioni della vita. Un buon esercizio sarebbe riprendere a seguire e capire la proposta liturgica. Una volta era automatico il seguirla, perché la vita civile viaggiava in sintonia con quella religiosa, benché il comprenderla avesse più limiti, dato il minor livello culturale. Oggi siamo in grado di riscontrare come e perché la liturgia sia costitutiva della nostra stessa fede. Infine possiamo aggiungere un minimo di frequentazione in più ai riti e non limitarci alla consueta Messa domenicale o alla formale confessione e Comunione pasquale, secondo i minimali richiesti dai precetti. Allora sì la Pasqua sarà anche per noi un momento di esplosione rigenerante. Se poi, nel contesto, ci accorgiamo di essere peccatori e facciamo spazio anche ad uno slancio di pentimento, come succede a quell’ingrato del figliol prodigo della parabola di oggi, che aveva proprio toccato il fondo, ben venga: sappiamo che c’è sempre un Padre amorevole e misericordioso che ci attende a braccia aperte.
    			 
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    			Inserito il 24 Marzo 2019 alle ore 10:11 da Plinio Borghi
    			
    				Revisione e revisionismo: due processi che non sono due facce della stessa medaglia. Il primo non mette in discussione l’impostazione di ciò che ne è oggetto, bensì l’uso che se ne fa e tende a rimediare eventuali scorrettezze o logorii per ripristinare un’adeguata funzionalità. L’esempio più tipico che abbiamo a portata di mano è il motore dell’automobile e la cadenza con la quale interveniamo. Il secondo invece si riferisce allo stravolgimento radicale di un’impostazione, mentale, ideologica, culturale o spirituale che sia; una vera e propria conversione. Applicati ai credenti, verrebbe da pensare che la gran parte si trovi nelle condizioni di ricorrere a una buona revisione, utilizzando il tempo opportuno della Quaresima, e che il revisionismo sia appannaggio di atei, miscredenti o appartenenti a fedi diverse, ai quali, folgorati sulla via di Damasco, di colpo s’apre la giusta strada da seguire. Magari! Se così fosse, la frase adottata all’imposizione delle ceneri “Convertitevi e credete nel Vangelo” sembrerebbe fuori posto. S’attaglierebbe meglio quella più incombente “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”: un esplicito richiamo all’impermanenza, il “dogma” tanto caro ai buddisti. Invece la ragione c’è e risiede per l’appunto nel nostro modo di vivere la fede e il Vangelo stesso. L’una non è più grande di quel granello di senapa che ci consentirebbe di spostare le montagne e all’altro di conseguenza si corrisponde in modo talmente episodico, soggettivo e relativista che si finisce per esserne completamente avulsi. Ognuno colga gli esempi che ritiene, non c’è spazio per dilungarsi. Mi limito a citare le sofferenze e le discordie che travagliano in questo periodo la nostra Chiesa, a livello centrale e periferico, dove, non bastassero i problemi comportamentali anche di alti suoi rappresentanti, falchi e corvi si alternano a gettar sul Papa e sui preti fango, condito da forme di contestazione e disobbedienza, anziché darsi da fare con l’esempio per adire la limpidezza di cui c’è bisogno e riconquistare quella compattezza e univocità di intenti che sole possono rilanciare la sua azione missionaria. C’è pertanto bisogno sul serio di un sano e profondo revisionismo e di approfittare di questo tempo per darci dentro, non fosse altro che per non fare la fine del fico descritto dal vangelo di oggi, che finirà per essere tagliato e gettato sul fuoco, se non porterà frutti. La frase di Gesù d’altronde è chiara: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
    			 
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    			Inserito il 17 Marzo 2019 alle ore 10:04 da Plinio Borghi
    			
    				L’introspezione non è un mero esercizio mentale riservato a chi non ha di meglio da fare o appannaggio di specialisti come gli asceti, bensì un momento di verifica della propria impostazione spirituale e mentale, praticabile da tutti. Ciò non vuol dire che sia soltanto un modo per star bene con sé stessi, una sorta di training autogeno o una SPA dell’anima. Al contrario, è un procedimento che dovrebbe stare alla base di ogni espressione dell’uomo, sia essa lavorativa o artistica, culturale o spirituale, rivolta alla collettività o individuale. Inoltre, dovrebbe avere una cadenza periodica vuoi per verificare se gli effetti prodotti corrispondono alle aspettative vuoi per analizzare il proprio potenziale in funzione di nuove e più valide performance. Lo strumento per favorire il percorso è la meditazione, fatta in particolari condizioni ambientali (il chiasso o il disordine non la favoriscono di certo) e condotta con precisi punti di riferimento e con metodo. Visitando un giorno una bella mostra di icone, con un settore dedicato al procedimento completo che sta alla base del prodotto, ebbi modo di constatare come la maggior parte del tempo non consistesse nella preparazione del fondo, dei materiali e nell’esecuzione dell’opera, ma proprio nell’immersione in una preghiera meditativa, solo la quale consentiva infine all’artista di trasferire nell’opera quell’espressività, che poi sarebbe divenuta a sua volta messaggio vivo. Così è per tutte le altre forme artistiche, ma dovrebbe esserlo pure in tutto ciò che l’uomo affronta, soprattutto se il suo agire richiede delle scelte. Per noi cristiani la Quaresima è un momento propizio per operazioni di tal fatta, non solo e tanto per l’introduzione ai misteri pasquali, ma anche per analizzare lo stato della nostra anima, giudicare se ha ancora potenziale da giocare e valutare se è in grado di rilanciare il livello di vita. L’ha fatto Gesù dopo il Battesimo, rintanandosi per quaranta giorni nel deserto, sperimentando altresì le tentazioni, come abbiamo visto domenica scorsa, pur non avendo bisogno di nessuna delle tre cose. Si ripete oggi nella Trasfigurazione, prima di intraprendere il percorso che lo porterà al sacrificio estremo, per darci alcuni spunti interessanti sui quali riflettere, che ci indicano prospettive che da sole giustificano una vita spesa per Lui. Se non fosse una bella sensazione, d’altronde, perché gli apostoli volevano piantare le tende e rimanere sul Tabor? Meditiamoci e traiamone spunto.
    			 
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    			Inserito il 10 Marzo 2019 alle ore 08:08 da Plinio Borghi
    			
    				Ma.. la Quaresima è per tutti? Premettiamo intanto che, se il carnevale non ci fosse, bisognerebbe inventarlo: è un trampolino di lancio utile per un periodo che si preannuncia forte. Tanto il primo è frivolo e inconsistente quanto il secondo è impegnativo e di uno spessore che incide profondamente nella nostra vita, e non solo spirituale. Entrambi sono ben circoscritti nel tempo e sia l’uno che l’altra sarebbero insopportabili se durassero senza limiti. Lo dico perché c’è qualche “gaudente” che, purtroppo, tenderebbe a trasformare la sua esistenza in una carnevalata continua, pensando di finalizzare tutto ad un divertimento effimero e ignorando platealmente che anche questo può essere bello se dura poco; poi diventa fatalmente un surrogato, una brutta copia della sana allegria. Di contro, c’è pure chi riduce la propria vita ad una Quaresima infinita e non tanto perché sia naturalmente portato alla tristezza, cosa che questo periodo non richiede affatto, come evidenziava il nostro parroco nel suo editoriale di domenica scorsa, bensì perché ritiene che l’introspezione, il revisionismo e la tensione debbano essere suoi compagni costanti. Nulla di più debilitante. L’introspezione ha senso se poi contribuisce alla crescita nella normalità; parimenti il revisionismo (o la conversione) comporta un cambio di rotta che poi ti offre una nuova direzione: se si ripete, va a finire che ci ritroviamo a girare intorno senza andare da alcuna parte; non parliamo poi della tensione, che per sua stessa natura richiede un allentamento, se si vuole mantenere elasticità di vedute, o al massimo una stabilizzazione, com’è per la cinghia del motore, se vogliamo agevolare il movimento. Tutto ciò vale sia per l’aspetto fisico sia per quello spirituale, al quale la Quaresima è particolarmente dedicata, ma nel quale siamo coinvolti totalmente, anche con qualche sacrificio concreto. A questo punto scaturisce la risposta al quesito iniziale: sì la Quaresima è per tutti, ricchi e poveri, sani e sofferenti, colti e ignoranti, credenti e non credenti o praticanti altre fedi (anche se quest’ultimi la chiamano con altri nomi). Tutti hanno bisogno di rigenerarsi, di riconsiderare le proprie impostazioni per poi riprendere più gagliardi che mai. È come fossero le ferie dell’anima. Attenzione, però, a non farne oggetto solo di esteriorità, bensì andare al sodo: quel che conta è l’intimità con Dio, come ci richiamava il vangelo del mercoledì delle ceneri, non la faccia smunta da mostrare agli altri.
    			 
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    			Inserito il 3 Marzo 2019 alle ore 10:11 da Plinio Borghi
    			
    				Siamo agli sgoccioli. Pasqua alta ci ha offerto un carnevale più lungo del consueto e questo comporta una domenica in più di riflessione, prima di entrare nel tempo forte della Quaresima: di rado infatti si arriva all’ottava domenica del Tempo Ordinario, la quale stavolta ci riserva qualche altro versetto in più del cap. 6 di Luca che in questo periodo stiamo leggendo e che tanti spunti pratici offre alla nostra attenzione. Oggi, poi, c’è un vero e proprio lancio di un concetto, che per noi è diventato quasi un proverbio: guardi la pagliuzza nell’occhio del fratello e non vedi la trave che hai nel tuo; con tanto di corollario: prima togli la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza da quello del fratello. Un passaggio che non ha bisogno di commenti, tanto siamo consapevoli di come ci sia più facile lavarci la bocca dei difetti altrui che ammettere i nostri. Nella migliore delle ipotesi tendiamo a minimizzarli, ma giammai a ritenerli travi rispetto alle pagliuzze dei nostri interlocutori: il nostro conformismo (a proposito di domenica scorsa) non ce lo consente. Piuttosto mi piace cogliere il taglio della prima lettura, dal libro del Siracide, che peraltro affronta lo stesso problema da un’altra angolatura: giudicare qualcuno solo dopo che avrà parlato, perché solo da come ragiona si comprende cos’abbia nel cuore. Ne consegue che è pura ipocrisia sperticarsi nelle lodi prima di aver udito la voce del cuore. Da quanto si manifesta nel bel mezzo di una discussione si percepisce il vero sentimento. È pur vero che altrove si dice che l’occhio è lo specchio dell’anima, ma, a parte la difficoltà di guardare bene qualcuno negli occhi, sono due situazioni diverse: quest’ultima più statica e duratura (“in fondo in fondo el xe bon”) e l’altra più contingente, perché mutabile razionalmente e sentimentalmente. Le conclusioni di entrambe le letture considerate sono analoghe: dai frutti si vede se un albero è buono o cattivo, non è dato che una pianta buona dia frutti cattivi e viceversa. Qui si apre un altro capitolo che andrebbe analizzato più in profondità, perché la vita ci ha insegnato che “di norma” dovrebbe essere così, ma non sempre sul piano umano accade in questi termini. Bisognerebbe vedere fin dove affondano le nostre radici nell’alternarsi delle generazioni e quali geni ci sono stati trasmessi. Intanto accontentiamoci delle pillole ricevute per imparare a “leggere” il prossimo e in Quaresima avremo tutto il tempo per allargare l’ottica.
    			 
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