Il blog di Carpenedo

Il blog di Carpenedo
La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Una ventata di anticonformismo

Inserito il 24 Febbraio 2019 alle ore 08:10 da Plinio Borghi

Una ventata di anticonformismo non manca mai nel succedersi delle generazioni: sembra un rito al quale è difficile sottrarsi. Anche chi segue le orme dei padri, un pizzico di innovazione tende a introdurla. Non c’è alcunché di sbagliato, se non fosse che poi tutto diventa una moda da seguire e ci si ritrova tutti uguali, magari diversi da chi ci ha preceduto o dall’impostazione sociale che va per la maggiore, ma ben conformati fra coetanei. È stato così negli anni ’60, quando abbiamo reagito ai capelli tagliati “all’umberta” e giù tutti con i capelli fin sotto le orecchie, con i Beatles come idoli di riferimento. Poi è stata la volta delle minigonne, dei pantaloni a campana e via così fino a oggi dove imperversano scarponcini slacciati, capelli all’ultimo dei moicani, jeans sgualciti, magari col cavallotto alle ginocchia, dei quali a farne le spese sono, in primis, le panche della chiesa, decorate di graffi prodotti dalle borchie delle tasche posteriori scese a livello di coscia. Purtroppo anche negli aspetti negativi ci si conforma e da qui al ricorso da parte di adolescenti sempre più giovani alla droga e all’alcool, alla costituzione (vigliacca) in bande dedite ai reati più stupidi, come il vandalismo o il picchiare la gente a caso, specie se debole, il passo è breve. Non basta, ci conformiamo pure nell’educazione, nel voler bene a chi ce ne vuole, nel trattare bene chi ci considera, ecc. ecc. Ma di quale anticonformismo andiamo cianciando? Ma l’abbiamo mai letto bene il Vangelo? Oggi il più grande Anticonformista di tutti i tempi ci dà una lezione in merito che è esemplare: amare chi ci vuol male, benedire chi ti maledice, dare anche la giacca a chi ti sottrae il cappotto (come dire “dai i soldi per la benzina a chi ti frega la macchina”), se ti picchiano porgi l’altra guancia. Tutti sono capaci di applicare il criterio della reciprocità e pronti a “queo xe ‘na vita che nol me ciama, te par che mi ghe telefono ‘ncora?”. Il nostro Anticonformista per eccellenza ci dice di fare senza contare di essere ricambiati. Ma come?! Si è sempre detto che i più conformisti sono proprio quelli che si appiattiscono alla religione, nel nostro caso al Vangelo! Ecco l’inganno! Il Vangelo non va seguito passivamente, va vissuto e qui sta il vero anticonformismo, perché vuol dire veramente provocare, altro che accontentarsi di qualche sguardo di commiserazione per un look strambo! Dice: “Però è dura!”. Appunto e.. quando il gioco si fa duro, solo i duri (nella fede) cominciano a giocare!

Un bell’investimento

Inserito il 17 Febbraio 2019 alle ore 08:36 da Plinio Borghi

Un bell’investimento. A chi non piacerebbe avere le possibilità economiche per potervi accedere! È il primo pensiero che d’altronde ti viene in presenza di una vincita consistente, perché abbiamo da sempre acquisito il concetto base: nessun capitale resiste a lungo se non si fa luogo ad una serie di investimenti articolati e differenziati, nemmeno se si nascondono i soldi sotto il materasso. Naturalmente ci sono delle regole di massima da seguire, le stesse che valgono poi anche per i più modesti risparmiatori, la più ovvia delle quali è che a una maggior rendita corrisponde un forte rischio, checché ne dicano taluni millantatori: la truffa è sempre dietro l’angolo, come ci ricordano il gatto e la volpe di collodiana memoria. Va da sé che in ogni caso abbondiamo anche di seri esperti in materia e il dilemma è solo a quali mani sicure affidarci. Tuttavia, non illudiamoci di avere a che fare con una materia nuova o con regole recenti, dovute a come gira oggi l’economia o alla globalizzazione: l’investimento fa parte della grande famiglia del commercio, la cui origine si perde nella notte dei tempi ed è connaturata all’uomo. È da mo’ che s’usa dire che il mondo è dei furbi. Figurarsi un paio di millenni fa che reazione di scetticismo ci sia stata quando un sedicente “Esperto” ha cominciato a dire: “Beati i poveri, beati gli affamati, beati quelli che piangono..”, con il seguito di: “Guai a voi ricchi, guai a voi che siete sazi, guai a voi che ridete..”! Fuori di testa, contro ogni logica! E non è che oggi, con le stesse parole che continuano a risuonare dal Vangelo, la reazione sia diversa, con l’aggravante che conosciamo bene la fine che ha fatto poi quell’Esperto. Sì, sappiamo che la morte non l’ha vinto, che è risorto, primizia di coloro che sono morti, come ci ricorda San Paolo oggi, ma il tarlo che puntare tutto sul “fantomatico” Regno dei Cieli non sia un buon investimento tormenta anche i credenti; con quelle regole poi! Eppure una logica c’è e ce la ricorda Geremia nella prima lettura: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo… Beato l’uomo che confida nel Signore…” In poche parole i piani del Signore hanno un respiro più ampio delle nostre piccole congetture, ma soprattutto non ci può ingannare con un investimento fasullo. La rendita è enorme, il rischio è minimo: una vita; un batter di ciglia in confronto a un’eternità. Non ci convince? Investiamo pure sulla nostra breve esistenza e.. perderemo tutto. L’ha detto l’Esperto di cui sopra.

Qua no s’imbarca baùchi

Inserito il 10 Febbraio 2019 alle ore 08:06 da Plinio Borghi

Qua no s’imbarca baùchi. In un paio di circostanze noi veneti usiamo una frase simile: se qualcuno cerca in modo maldestro di turlupinarti o, sgamato, di tergiversare e quando si vuol dimostrare sicurezza a fronte di chi ti vorrebbe insegnare come si fa. In entrambi i casi, di norma, il destinatario non è mai persona autorevole o affidabile. Raramente, tuttavia, succede anche il contrario e cioè se abbiamo preso fischi per fiaschi e non lo vogliamo ammettere o se, insicuri, intendiamo solo ostentare abilità che sono messe in discussione. Per averne una riprova, basta intrufolarsi in un gruppetto di anziani che osservano i lavori in un cantiere e apostrofi di tal fatta volano in entrambe le direzioni; ma poi ognuno di noi chissà quante ne avrà registrate di analoghe nei propri ambienti di lavoro! Per una strana associazione d’idee sono intervenute queste considerazioni mentre scorrevo le letture di oggi e ho immaginato lo stato d’animo di quei pescatori, delusi del pessimo risultato ottenuto, che, mentre rassettano le reti, si vedono capitare fra i piedi quel Personaggio (per fortuna giovane), di professione falegname per giunta, che li invita a riprovarci. D’istinto ci saremmo senz’altro difesi con la succitata imprecazione e Pietro non se ne discosta poi di molto, ma c’è qualcosa che lo frena: l’autorevolezza di chi la pronuncia. Il che non è poco. “Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. Conosciamo l’epilogo, che ci insegna anche qui un paio di cose: primo, che al Signore nulla è impossibile e, secondo, che non ha bisogno di specialisti per farsi testimoniare. Quei pescatori, abbandonata immediatamente l’abbondante retata, sono corsi a diventare “pescatori di uomini”, ma San Paolo è prodigo di esempi di come Gesù non abbia lesinato di inviare chiunque “fino agli estremi confini del mondo”, lui stesso, che lo perseguitava e si autodefinisce “aborto”. Spesso tendiamo ad essere schivi alla chiamata, che non è solo quella al sacerdozio, e parecchi profeti hanno tentato di declinarla, con la scusa di essere inadeguati, come Isaia nella prima lettura. Dio, però, non demorde e, purificate le sue labbra con la brace, ripete l’invito, al quale Isaia stavolta risponde prontamente: “Eccomi, manda me!”. Stiamo attenti a non tirare troppo la corda con Dio, perché, alla resa dei conti, potrebbe essere Lui a risponderci: “Qua no s’imbarca baùchi”. E la fregatura sarebbe assicurata.

A ciascuno il proprio ruolo

Inserito il 3 Febbraio 2019 alle ore 10:06 da Plinio Borghi

A ciascuno il proprio ruolo: è il principio base di ogni tipo di convivenza. In alternativa c’è solo l’eremitaggio solitario o il caos. Vale in primis per la famiglia, dove è palese che i genitori debbano fare i genitori e i figli sappiano di essere figli. Purtroppo non è sempre così e allora assistiamo anche qui a una fatale deriva. La consonanza tra i vari ruoli rafforza il tessuto operativo e la ricerca del meglio in ogni singolo ruolo porta beneficio a tutto l’apparato. Viceversa, se anche uno solo scantina, anche tutti gli altri ne risentono. No, non mi sto aggrappando al “manuale delle giovani marmotte” per la perfetta corale, né aggiornando il discorso di Menenio Agrippa, bensì sintetizzando il lungo brano di San Paolo declamato domenica scorsa, tratto dalla lettera ai Corinzi e finalizzato a contenere i comportamenti confusi che nella Chiesa nascente si stavano verificando. Da notare la conclusione: “Aspirate ai carismi più grandi”; che vuol dire non adagiarsi nel proprio ruolo, ma puntare al meglio.

E qual è il ruolo del cristiano? Ce lo spiega sempre Paolo nel seguito di questa domenica: la carità, cioè il “collante” che ci lega e armonizza tutte le funzioni e i rapporti fra di noi. Senza di essa, afferma, perfino la fede e la speranza perdono lo spessore necessario. La carità è la dimostrazione, nei fatti, che siamo credenti credibili (scusate il bisticcio). È bello quel passaggio: “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. Ce n’è per un serio esame di coscienza, per tutti.

Qui siamo al ruolo di Gesù. Altro bell’insegnamento! S’è messo a fare il profeta in patria e a momenti lo linciano. Se l’è cercata? Secondo me aveva due validi motivi: collegarsi con le profezie e con i profeti stessi, molti dei quali non hanno avuto miglior sorte in quel popolo di dura cervice, e rilanciare il valore universale della lieta novella, che non poteva essere riservata ai pochi eletti. Tant’è che poi se n’è andato a predicare altrove. Cosa significa “essere profeti”, come tutti dovremmo? Significa essere testimoni con le parole e con le opere (a proposito di quel che si diceva prima), ben sapendo che ci muoviamo nella diffidenza. Intanto cominciamo a non fare come i compaesani di Gesù e accogliamola questa lieta novella!

E che nozze! (seconda parte)

Inserito il 27 Gennaio 2019 alle ore 08:02 da Plinio Borghi

E che nozze! (seconda parte) Completo l’argomento di domenica scorsa e ingloberò quello di oggi con la prossima, che ne è il seguito. È sempre don Franco de Pieri che scrive, nel 2013.

Invitata era la “Donna”, sedeva accanto ad Eva, ed era la Madre nuova, attenta, incontaminata; non si era rassegnata ad obbedire al tentatore, all’ingannatore, a chi ti vende acqua sporca per vino buono. Vide la miseria di quelle nozze e la cattiva piega che stava prendendo la tavola dell’umanità. Si rivolse allo Sposo che gli sedeva accanto e gli fece la più bella proposta che potesse fare al Figlio: “Non hanno più vino…”. Questa umanità non ha più nulla, non sa più gioire, non sa più fare festa, non sa più voler bene, non sa più generare figli a Dio. Sposala Tu, insegna come si ama, come si gioisce, dimostra che questa è ancora un’umanità amata da Dio”.Quel Figlio, che un angelo chiamò “Gesù”, il cui nome significa “Salvezza”, capì che quella era la sua sposa promessa. La guardò, osservò ogni uomo, ci vide come eravamo, ubriachi di miserie, ciechi di odio e di egoismo, storpi e zoppi perché camminavamo su strade sbagliate, sordi ad ogni parola buona; ci volle bene egualmente, anzi, di più. Rispose alla “Donna”: “Non è ancor giunta la mia ora”. Parlava dell’ora della Croce, dell’amore supremo e totale. I testimoni più vicini, udirono le parole della “Donna” ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Era Lui che doveva rendere gioiosa quella festa, che doveva offrire il segno che erano finite la vecchia umanità e le vecchie nozze. Lo videro alzarsi e dire ai servi increduli: ”Riempite le anfore di acqua e servite”. Sulla tavola apparve un Vino diverso da tutti gli altri, rosso come sangue, buono e gustoso a non finire, e chi lo gustò si sentì riempire la vita di energia, il cuore di gioia, la mente di grandiosi pensieri. Che nozze erano mai quelle! A quella tavola c’era Giovanni, il futuro evangelista. Annotò nella sua mente parole e gesti. Se ne ricordò sotto la Croce, dove sentì di nuovo Gesù, suo amico, chiamare la Madre con lo stesso nome di quel giorno: “Donna, ecco il tuo figlio.!” L’ora dell’amore iniziato a Cana si completava. Il segno dell’amore non era più il vino buono, ma un sangue donato su una Croce, dove Gesù, chiamato Salvezza, ha trasformato l’umanità da acqua sporca in vino buono. Le anfore, riempite affinché mai ne mancasse, sono conservate piene dalla Chiesa per coloro che accolgono l’invito a nozze con Dio, a mettersi alla tavola dell’amore e della fraternità. Che belle nozze furono celebrate a Cana di Galilea!

E che nozze! (prima parte)

Inserito il 20 Gennaio 2019 alle ore 08:00 da Plinio Borghi

E che nozze! (prima parte). Come la settimana scorsa (e anche per la prossima) riporto un originale pensiero di don Franco de Pieri sul terzo “miracolo” della manifestazione, pure questo del 2013 e riadattato. Un taglio che mi sembra interessante riprendere e partecipare.

Nozze a Cana di Galilea. Lo Sposo: il Signore Gesù; la sposa: l’umanità. Madre dello sposo: la Vergine Maria; invitati: tutti noi. La sposa era per la verità un po’ miserella, ma quel giorno, accanto a quello Sposo faceva anche lei la sua bella figura. Genitori della sposa: due poveracci, uno si chiamava Adamo, l’altra Eva. Avevano avuto tanti figli, da perdere il conto. Ormai erano abituati a matrimoni uno più fallimentare dell’altro, sapevano che qualcosa di cattivo ogni volta riusciva a guastare tutto e quindi a quello che si stava celebrando a Cana non prestavano molta attenzione: era sempre lo stesso copione, un uomo si univa ad una donna, facevano figli, più meno gli stessi, e avevano perso la speranza di vedere tra i loro figli Uno che si distinguesse. A Cana la loro speranza fu esaudita. Tra le loro figlie era nata una “Donna” diversa da tutte le altre. All’inizio non si erano resi neppure conto di quale grazia era capitata alla loro discendenza. Eva, la vecchia madre, sperava che ad ogni nascita venisse al mondo “la Donna”, non una donna qualsiasi, ma la “benedetta tra tutte le donne”, la Donna che sapesse vincere il tentatore antico, che sapesse generare senza egoismo, senza pensare a se stessa, che potesse mettere al mondo il Figlio da sempre atteso. Adamo era così vecchio che aveva ormai perso la speranza che dalla sua discendenza potesse uscire un virgulto che potesse ridare vita nuova all’umanità. Venne l’occasione, un giorno di nozze, e che nozze! Tutta l’umanità era rappresentata, tutta l’umanità fu invitata. L’umanità era la sposa! Ma lo Sposo non si fece subito riconoscere. Anche gli invitati non si resero conto di essere ognuno di loro l’invitato, di essere la sposa. E lo Sposo? Era lì, seduto accanto al vecchio Adamo, assieme ad una schiera di pescatori, di convitati affamati ed assetati di cose di questo mondo. Pensavano tutti che fosse una cena di nozze come tutte le altre. Tutti si sono messi di buon appetito, tutti si sono messi a bere quello che l’oste portava in tavola. Era così ormai nauseata l’umanità invitata, che a furia di bere di quell’acqua sporca fornita a tavola, finì come sempre per ubriacarsi. Ma quelle non erano nozze come tutte le altre! Erano nozze speciali”. (segue)

Battesimo e Salvezza

Inserito il 13 Gennaio 2019 alle ore 09:02 da Plinio Borghi

Battesimo e Salvezza. Così titolava sul suo Bollettino parrocchiale del 2013 il compianto don Franco de Pieri nella stessa ricorrenza di oggi. Mi è piaciuto il taglio e lo ripropongo in forma più concisa e adattata: “Fa scalpore la notizia che molti in questi tempi hanno chiesto di essere “sbattezzati”, cancellati dai registri battesimali. Io invece è l’unica firma che mi sento di riconfermare per sempre e che vorrei non fosse scritta solo nei registri, ma anche e soprattutto nel libro della vita, nel registro degli invitati a nozze nel regno dei cieli, il libro paga di coloro che hanno accettato di lavorare nella vigna. Tutte le altre le firme sono nulla in confronto a questa, messa proprio dal Signore Gesù a caparra della nostra salvezza, e sarà bene che nessuno la tolga. È segno di appartenenza, di distinzione e di alleanza tra noi, il Cristo e la sua Chiesa della terra e del cielo. Gesù, andando al battesimo, si sottomise al Padre come un Figlio obbediente, si consegnò a Dio come agnello immolato e senza macchia, capì da quel giorno la sua vocazione di Salvatore. Imparò che prima di tutto bisognava servire e obbedire a Dio, più della sua vita stessa. Il suo battesimo nell’acqua del Giordano era un annuncio del suo battesimo reale attraverso la morte e la risurrezione. Cos’è il nostro battesimo? Tre doni principalmente. Primo, ci rende conformi a Cristo, figli come lo era lui. Secondo, quello di entrare a far parte del suo corpo, membri della sua comunità che egli ama e salva, partecipi della sua Chiesa. Terzo e meraviglioso, ci porta in dono già fin d’ora la vita eterna, ci abilita e ci riveste di una veste nuziale che ci permette di entrare nel Regno dei cieli. Per conseguire questi tre doni basta credere e imparare a chiamare Dio con il nome di Padre, sentire una vera e reale fraternità con gli altri e, per quanto siamo capaci, di assomigliare a Cristo. Perché pensare che il battesimo sia una forzatura? È un’Epifania del Signore, è il giorno in cui lui si manifesta a noi come la salvezza definitiva. Neppure i nostri peccati riescono a cancellare questo patto. Dice il vangelo che si “aprirono i cieli” e lo Spirito Santo scese su di Lui come una colomba. È quello che avviene anche nel nostro battesimo. Ci si aprono i cieli e lo Spirito del Signore ci aiuta e ci dà forza in questa vita. Così comandò ai suoi discepoli: “Andate per il mondo intero e battezzate tutte le creature”. Il Battesimo è l’atto di fede e di appartenenza a Cristo più coinvolgente della nostra vita. Riconfermiamo oggi il nostro battesimo!”

La rivelazione è dono gratuito?

Inserito il 6 Gennaio 2019 alle ore 08:33 da Plinio Borghi

La rivelazione è dono gratuito? Non sempre e non certo in via ordinaria. Sotto il profilo tecnico, ad esempio, è quasi totalmente frutto di lunga e laboriosa ricerca, dove il “quasi” sta ad indicare il margine di sorpresa che si potrebbe avere nel percorso. Se invece la guardiamo dal punto di vista artistico, la gratuità potrebbe costituirne la gran parte, anche se poi occorre un lavoro a monte per farla emergere e un occhio esperto per notarla: “Non l’avrei mai creduto, ma quel ragazzo è stato proprio una rivelazione!”. Sul piano religioso la Rivelazione presiede a tutte le sacre scritture, anche qui è senz’altro un dono, ma raramente gratuito, come potrebbe dirsi per i pastori avvertiti dall’angelo della nascita del Salvatore o com’è stato per San Paolo, folgorato sulla via di Damasco; per gli altri, di norma, è il frutto di una predisposizione, di un’educazione, ma soprattutto di una ricerca, tanto più fruttuosa quanto più è onesta, puntuale, minuziosa e costante. Ne sono esempio i Magi, che oggi sono i veri protagonisti di quella che è stata la manifestazione più importante dell’arrivo del Messia. In questo periodo la liturgia mette in sequenza le tre manifestazioni più eclatanti: l’Epifania, appunto, il Battesimo (domenica prossima), dove i protagonisti saranno Giovanni Battista e nientemeno che la Trinità stessa, e le nozze di Cana, quando sarà Maria ancora una volta la vera protagonista. Tornando ai Magi, che più si avvicinano alla nostra condizione, crediamo che la loro storia si riduca “semplicemente” ad aver seguito una stella? Proviamo ad immaginare quanto studio biblico (e non appartenevano certamente al popolo eletto), astronomico, storico e tecnico ci sia stato alle spalle prima di giungere a talune conclusioni. E quanta passione! Tale da spingerli a mettersi in moto al momento giusto per affrontare un viaggio nient’affatto tranquillo per quei tempi e per di più recando seco beni piuttosto preziosi. Sono stati premiati con la manifestazione in anteprima, che per loro è stata anche una rivelazione sulla validità dei loro studi. E noi? Noi abbiamo la fortuna di aver ereditato la Rivelazione sul piano religioso, ma ciò non ci esime dal continuare nella ricerca e nell’approfondimento (una seria catechesi in primis), se non vogliamo vanificare il regalo che ci è stato fatto e se è nostra convinzione godere anche noi della reale manifestazione del Cristo, che sarà quando tornerà trionfante sulle nubi per il giudizio finale.

Guardare alla Santa Famiglia

Inserito il 30 Dicembre 2018 alle ore 08:06 da Plinio Borghi

Guardare alla Santa Famiglia oggi come oggi sembra quasi un paradosso. Da un lato sono tali e tanti i fattori che hanno concorso a modificare il concetto di famiglia che riesce difficile fare paragoni con passati così remoti; d’altro canto “santa” è percepito in modo così distorto da ritenere più vicini Marte e Terra che una famiglia delle nostre a simile definizione. Fosse una questione di lana caprina, si potrebbe sorvolare, ma il guaio è che sganciarsi da un riferimento che non è affatto irraggiungibile porta a essere ondivaghi o addirittura ad assumere modelli negativi, nella convinzione che siano rimasti gli unici accessibili. Il livello di guardia, allora, si abbassa alquanto e i continui fenomeni diseducanti ai quali assistiamo sono il risultato di questo processo. Per rimuovere alibi di comodo diciamo intanto che la santità è alla portata di chiunque: basta vivere il proprio tempo in maniera positiva, concreta, corretta, coraggiosa se non eroica e l’obiettivo è raggiunto. In buona sostanza non vale essere passivi e rinunciatari: il ruolo di genitore va esercitato in modo deciso e autorevole; il figlio s’impegni a crescere per diventare autonomo, non contro qualcuno, ma per costruire un avvenire sempre nuovo e diverso; altrimenti avremo genitori debosciati e figli destinati a diventarlo. Crediamo forse che Gesù, Giuseppe e Maria vivessero in un mondo di fate e ippogrifi? Hanno avuto pur essi delle belle gatte da pelare, prima per accettare una situazione fuori dalle righe e poi per gestirla. Non risulta che Gesù da piccolo non sia stato anche un po’ discolo (basti vedere dal vangelo di oggi lo scherzetto che ha giocato ai genitori) e che Giuseppe e Maria non abbiano esercitato la loro autorità su di lui, pur sapendo chi era: sennò perché sarebbero stati chiamati in causa? Nella sua infinita sapienza, Dio non poteva trovare altre vie per la salvezza? Furono genitori protettivi e attenti fino in fondo, dalla fuga in Egitto per scampare all’eccidio di Erode alla vita in famiglia per insegnare al figlio il mestiere. E anche dopo, iniziata la predicazione, Maria è stata un riferimento per il Maestro e ha seguito il figlio nelle sue performance, tanto che durante un discorso, lo interruppero dicendo che madre e fratelli lo stavano cercando. Certo, anche Maria non poteva aver capito tutta la portata del progetto divino, ma, come riporta Luca nei due brani di oggi e di capodanno, ha saputo essere mamma perfettamente imitabile “serbando tutte queste cose nel suo cuore”, ma senza rinunciare alla sua autorevolezza. Imitate gente, imitate. (Auguri di un buon 2019)

Buon Natale Erode

Inserito il 23 Dicembre 2018 alle ore 08:04 da Plinio Borghi

Buon Natale Erode. È il titolo d’un pezzo scritto dal nostro ex collaboratore domenicale don Luigi Trevisiol, che tutti ricordiamo come fosse preciso, diretto e pungente, oltre che conciso, nel suo dire e nello scrivere. Da giovane lo era ancor di più e, già parroco di Torre di Fine, ha anche pagato care la sua chiarezza e l’esigenza di schierarsi. Il pezzo è del gennaio 1973, pubblicato con lo pseudonimo di “Apolide” su “Segno sette nel mondo”. Mi piace riproporlo, almeno per la parte che riveste tuttora motivi di attualità: “Com’è lontana nel tempo quella notte santa in cui i pastori furono svegliati nella notte dall’annuncio di una grande gioia! In un mondo più povero, più ingiusto di oggi, se vogliamo, era nata una speranza fragile come un bambino in culla. Un bambino che tutti ci affrettammo ad uccidere. Oggi il bambino sembra non nascere più. I pastori vengono dirottati da abili cornamuse verso i grandi magazzini, per esservi derubati dei loro miseri risparmi. Erode indice libere elezioni, viene democraticamente rieletto e organizza in tutto il mondo la sua festa alternativa. Mai si è avuto un natale così freddo e senza speranza, neanche ai tempi di barbarie e di guerra; mai il sopruso e la confusione hanno tenuto banco come oggi, riuscendo per di più a strappare gli applausi del pubblico. Perché, prima, l’ingiustizia era manifesta, era la legge del più forte: il povero la subiva, soccombeva, ma la speranza non era assassinata. Oggi ormai l’attesa del povero viene svuotata dall’interno, ripagata malamente col prezzo banale di oggetti di paccottiglia e infine derisa. La coscienza stessa è narcotizzata. Al suo posto ci ritroviamo un panettone o un brandy”. Tralascio gli esempi con riferimenti a fatti e personaggi dell’epoca, che possono, tuttavia, essere sostituiti con quelli di oggi; non ci manca la materia prima o di sapere dove dirigere i nostri strali: ovunque, dalla politica alla società, sempre più distanti fra loro, dalla mafia alla malavita organizzata, dalla Chiesa combattuta al suo interno alle coperture di comodo e opportunistiche. Ce n’è da gridare ancora “Buon Natale Erode”. Ci sono ancora emarginati e immigrazioni, popoli oppressi e costruttori di muri. Usciamo pure dall’Europa, per non sbilanciarci, ma ogni riferimento a Trump non è casuale. “Buon Natale Erode”. L’articolo del nostro così prosegue: “Ma nonostante questo, malgrado l’apparente trionfo dell’ingiustizia e della stupidità, …, il Bambino nasce ancora. Fuori dall’occhio indiscreto delle telecamere … nasce ed è subito sulla via dell’esilio. Sulle strade dei nomadi e degli emigranti. Vive misconosciuto nella sofferenza delle masse … . Bada, Erode, il Bambino è nato. La tua fine è segnata”. E comunque, Buon Natale a tutti.

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