Il blog di Carpenedo

Il blog di Carpenedo
La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Chapeau alla scaltrezza!

Inserito il 18 Settembre 2022 alle ore 10:04 da Plinio Borghi

Chapeau alla scaltrezza! Ovviamente a quella vera, quella che ti agevola a muoverti con destrezza nelle difficoltà della vita. Non è però da tutti e non a tutti è data in pari misura. E qui già sorge il primo inghippo, insito nel tendenziale rapporto di antagonismo presente in ciascuno di noi. La tentazione di usarla in forma distorta, solo per cavarsela meglio dell’altro (o detta più volgarmente per fregarlo) è in agguato. Il secondo risvolto diventa facilmente la disonestà, come quella dell’amministratore descritto nel vangelo di oggi, o, atteggiamento ancor più sopraffino, l’approfittarne per trarre indebiti vantaggi. È quello cui assistiamo anche attualmente con il problema energetico: molti sono presi per il collo a causa dell’eccessiva lievitazione delle bollette e sono costretti ad aumentare i prezzi e altri, pur non subendo danno alcuno, innescano sistemi speculativi, magari soft, per rastrellare guadagni maggiorati. Non è ovviamente questo l’uso consentito della scaltrezza, che in tal modo è ridotta a mera furbizia di bassa lega. Va da sé che in una società equilibrata tutte le nostre doti dovrebbero essere coltivate e rivolte al bene comune, per aiutare chi ne è meno provvisto, non per danneggiarlo; azione che poi alla fine si ritorce a nostro discapito. Gesù, nella pericope in esame, sembra citare a esempio il disonesto, ma in effetti sollecita i figli della luce a usarne il metodo per guadagnare punti per la vita eterna e perciò a non comportarsi con il Padre con la stessa ambiguità che propendiamo a usare fra noi. Infatti, finisce con il noto monito: non possiamo impunemente servire a due padroni e nella fattispecie Dio e la ricchezza. Lasciamo perdere chi addirittura usa il Primo in funzione della seconda, perché saremmo al massimo dell’autolesionismo, ma curiamo invece l’inverso, e cioè mettiamo in moto tutte le risorse in funzione del bene più duraturo, senza falsi intendimenti. Qui lasciatemi lanciare uno strale non tanto nei confronti dello scaltro o del furbo, quanto verso chi crede di esserlo, categoria molto diffusa e fastidiosa e, per me, la peggior genìa in circolazione: sei già povero di tuo, potresti stare tranquillo o metterti sulla scia di chi ti potrebbe aiutare e invece vai a inventarti quello che non sei, con la conseguenza di essere sempre sgamato. Purtroppo quella di credersi furbi è una presenza a tutti i livelli sociali. Se poi uno ci si mette anche con Dio… meglio una preventiva macina al collo.

Godere di quel che si ha

Inserito il 11 Settembre 2022 alle ore 09:57 da Plinio Borghi

Godere di quel che si ha. Aggiungerei anche “godere di quel che si è”. Forse l’ho già raccontata, ma una volta, assistendo la Commissione di Assistenza della municipalità presso cui prestavo servizio, il discorso è scivolato sui vari aspetti di garanzia e di tutela in atto. Ne è uscito un elenco di massima che andava dai profughi dalmati e istriani a quelli libici, dagli ex combattenti e reduci agli ex tossicodipendenti, dagli ex carcerati agli ex deportati, dalle ragazze madri alle ex prostitute e così via. Al che un giovane componente, che si arrabattava con i suoi normali problemi di studio e di lavoro, se ne uscì sullo stizzito dicendo: “Qui per sfangarla bisogna essere un ex di qualcosa di negativo!”. Di primo acchito veniva spontaneo dargli ragione: troppe attenzioni sembrano rivolte a chi viene “recuperato”, addirittura con benefici che non si limitano ai diretti interessati, ma vengono pure ereditati dai posteri, mentre chi ha sempre vissuto nella correttezza e nella normalità incontra spesso porte sbattute in faccia. Ragionando così saremmo anche noi uomini “dalla dura cervice” co-me il popolo di Israele descritto nella prima lettura di oggi o come il fratello maggiore del Figliol prodigo raccontato dal vangelo. Inutile dire che Gesù s’infila decisamente contro corrente, affrontando le critiche dei farisei che borbottavano per le sue frequentazioni poco raccomandabili. Le similitudini della pecorella smarrita e della dramma perduta e infine la parabola del Padre misericordioso gli consentono di affermare chiaro e tondo che si farà più festa in Paradiso per un peccatore convertito che per tutti i giusti che non hanno bisogno di conversione. Il nostro Maestro vuol sottolineare il fatto che il solo aver avuto parte nel bene, mentre altri sono stati nel dolore e nella tribolazione, è già oltremodo gratificante, come lo è essere sempre stati fra gli eletti, a differenza di chi ha subito a lungo la sorte del diseredato e dell’emarginato. Anche la Chiesa mette tanto in risalto le grandi conversioni, come quella di San Paolo o di Sant’Agostino, proprio perché è il rientro all’ovile, il ritorno alla casa del Padre, che da valore a chi non se n’è mai allontanato. Rammaricarsene vuol dire non aver capito quanto invece sia bello aver sempre goduto di quel che si ha e di quel che si è. Tuttavia, mettiamo anche in conto la nostra fragilità umana: chi più e chi meno siamo tutti bisognosi della misericordia divina. Scandalizzarsi per chi ne ha ottenuto di più non serve.

La sapienza del cuore

Inserito il 4 Settembre 2022 alle ore 09:45 da Plinio Borghi

La sapienza del cuore è il motivo conduttore della liturgia di oggi e si contrappone tout court alla nostra pretesa di regolare il comportamento traendo spunto da altri criteri apparentemente più efficaci. Nove su dieci prevalgono gli aspetti economici, il tornaconto personale prima di quello collettivo, di conseguenza il proprio primato rispetto a quello altrui. Per noi credenti la sapienza ha un’origine ben precisa e discende direttamente dallo Spirito di Dio, l’unico che può aprirci la mente e sgombrare il nostro cervello dall’argilla che lo opprime e gli impedisce di capire cosa vuole il Signore. La prima lettura riassume tutto questo e San Paolo nella seconda, di rincalzo, ci sollecita a guardare il fratello con occhio diverso, approfittando del dialogo con Filèmone, al quale aveva inviato il proprio servitore con la raccomandazione a non vederlo più come schiavo, bensì come fratello nel Signore. La bordata più diretta, come sempre, ci arriva tuttavia dal vangelo, dove il Maestro sbrigativamente incita all’”odio” per tutto ciò che ci invischia: se lo vogliamo seguire come si deve, non possono esistere reticenze nemmeno per i propri cari, perché sono alternativi all’attenzione per quella croce che ci invita a prendere sulle nostre spalle. Egli stesso ce ne dà un esempio nella famosa occasione in cui, durante una predicazione, lo vengono a chiamare perché sua madre e i suoi fratelli chiedono di lui. Sembra un gesto d’ingratitudine che rasenta la maleducazione, quando risponde che sua madre e suoi fratelli sono soltanto quelli che seguono la sua parola e la mettono in pratica, ma è in sintonia col messaggio di oggi. E non crediamo che tutto ciò appartenga solo alla sfera mistico-religiosa: leggiamoci il resto della pericope odierna e vi troveremo suggerimenti pertinenti anche alla vita di tutti i giorni. In termini correnti li definiremmo frutto di puro buon senso, sebbene nella realtà il nostro orgoglio e la nostra supponenza ci trascinerebbero in ben altre direzioni rispetto a quelle esemplificate da Gesù. Basta guardarsi attorno per vedere tante opere incompiute, anche storiche, e quanti conflitti, comunque inutili, hanno avuto epiloghi tragici, evitabili appunto solo con un po’ di buon senso ovvero con la sapienza del cuore. Ecco perché il Salvatore è perentorio nel pretendere una scelta di campo: ogni tentennamento indebolisce l’orientamento. Recitiamo allora con convinzione il Salmo Responsoriale: “Donaci, o Dio, la sapienza del cuore”.

Siamo tutti esaltati?

Inserito il 28 Agosto 2022 alle ore 09:57 da Plinio Borghi

Siamo tutti esaltati? Beh, la domanda in realtà è abbastanza retorica. Non dico che il livello sia quello dei numerosi tuttologi che imperversano con la loro prosopopea, ma non possiamo nemmeno affermare che la maggior parte di noi sia emblema di modestia o quanto meno espressione consapevole dei propri limiti. Non c’è bisogno di effettuare complesse ricerche comparate per dimostrarlo: basta guardarsi attorno, dalla discussione in osteria al talk show più prestigioso, dal giudizio che diamo su noi stessi a quello che confezioniamo per gli altri, anche sulle cose più banali, e abbiamo raccolto prove a sufficienza. Qui non si tratta di soffocare quel minimo di autostima che serve a esprimere al meglio la nostra potenzialità, ma di non cedere alla tentazione della sopravvalutazione. Anche a scanso di brutte sorprese, ci avverte il vangelo di oggi. In realtà, a forza di abituarci a tenere l’assicella più alta del necessario, corriamo il rischio di farci l’abitudine fino a convincerci che le cose stiano sul serio così e a rapportarci col Padre, che ci conosce fin troppo bene, nello stesso modo. Abbiamo visto in parecchie circostanze come, in controtendenza col nostro modo di vedere, Dio non gradisca l’immodestia e la millanteria, sono cose che lo infastidiscono. Anche l’incipit della prima lettura di oggi, dal Siracide, è su questa lunghezza d’onda: “Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso”. Notare che il riconoscimento arriva in via generale, sia da Dio che dagli uomini, sì, perché in definitiva anche sul piano umano a lungo andare si arriva ad apprezzare di più il modo con cui si dà, rispetto al quanto: è il rifiuto della carità pelosa. E a tal proposito la pericope in lettura non si limita alla lezione comportamentale, per non incappare nel consueto refrain che i primi saranno gli ultimi e viceversa, ma va oltre e invita a non fare qualcosa per i più intimi, dove ci scappa la riserva mentale di attendersi in qualche modo il contraccambio, bensì a rivolgere la propria attenzione a chi ne ha più bisogno, agli emarginati e ai diseredati, dai quali non ti passerà mai per la mente di aspettarti una reciprocità. Allora il tuo dare sarà più genuino e sicuramente più meritevole. Non è facile tradurre in pratica un simile invito, ma almeno acquisiamone lo spirito, cominciando ad agire sull’onda del sentimento a prescindere. Un buon allenamento: continuare a telefonare all’amico anche se quello non ti chiama mai.

Di buone intenzioni…

Inserito il 21 Agosto 2022 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

Di buone intenzioni è lastricato l’Inferno, dice sempre il proverbio e noi non ci preoccupiamo affatto di smentirlo, anzi, approfittiamo di ogni campagna elettorale (e di quelle non difettiamo) per fare un po’ di allenamento. È sorprendente la disinvoltura con la quale in questi frangenti si sciorinano soluzioni a nastro per qualsivoglia problematica, come se fino ad ora non ci fossero state mille occasioni per dimostrare se si fosse in grado di rispondervi seriamente. È altresì sorprendente con quale sussiego ognuno di noi pensa di avere capacità sufficienti per saper capire e discriminare, magari imbonito dagli stessi candidati che vanno avanti a ripetere che “la gente non è stupida”, per poi finire o a rinforzare i vari zoccoli duri di sempre o a rifugiarsi su fuochi fatui, solo perché danno l’impressione di scaldare di più. Oggi dalla liturgia arrivano parecchi input, a cominciare da San Paolo, che dopo averci richiamato all’umiltà nell’accettare le correzioni che ci derivano da fonte autorevole, ci avverte: “Perciò rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche camminate dritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire”. Non c’è bisogno di commento: occorre cambiare registro se vogliamo riprenderci. Il Vangelo poi, come sempre, è esaustivo e immediato: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta” diventa la parola d’ordine e qui è tutto un programma. Il bello è che questo è l’incipit di una risposta più articolata ad un tale che chiedeva a Gesù se saranno pochi quelli che si salvano. Ora, è chiaro che il Padre vuole la salvezza di tutti, altrimenti non avrebbe investito così tanto nel suo progetto, e infatti il Salmo Responsoriale canta tout court: “Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore”. Tuttavia, è altrettanto chiaro che l’offerta non è gratuita: come tutte le conquiste si richiede uno sforzo non indifferente, giustificato proprio dalla consapevolezza che la ricompensa lo vale. Non è d’altronde una novità per alcuno che anche nella vita nulla ti piove dall’alto. In sostanza il nostro Maestro non risponde alla domanda, ma tiene a sottolineare che Dio non si accontenta di buone intenzioni o di atteggiamenti formali (abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza..): chi ne è convinto si troverà la porta stretta sbattuta sul naso e vi garantisco che fa male. E a proposito del voto: rivolgiamo la nostra attenzione più a chi ci convince sul metodo che non a chi ci ubriaca di promesse allettanti.

È un mistero che ci esalta

Inserito il 14 Agosto 2022 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

È un mistero che ci esalta: l’assunzione di Maria in cielo, uno degli ultimi dogmi introdotti (Pio XII 1950) ma uno dei primi a essere entrato nella devozione e nella convinzione popolare. Il motivo, almeno per me, è semplice: prima di tutto come si poteva immaginare che la “Primizia di coloro che sono morti”, come lo definisce oggi San Paolo, in quanto unico ad aver sconfitto la morte, non coinvolgesse la sua amata madre nell’identica sorte? E poi, che senso avrebbe avuto che l’unica a essere stata concepita senza peccato (altro dogma atavico ma proclamato solo un centinaio di anni prima di questo) dovesse aspettare la resurrezione finale col resto dell’umanità? Ma ci sono anche un paio di aspetti di garanzia: la condizione di Maria è preludio della nostra e ci rassicura sapere di averla già lì; dove, come Madre di Dio, assume un ruolo di interceditrice ineguagliabile. A corollario e a conferma di un ruolo eccezionale c’è la nomina a Regina, anche degli Angeli e dei Santi, che si festeggia il 22 di questo mese (già oggi al salmo responsoriale canteremo “Risplende la Regina, Signore, alla tua destra). Ce n’è e avanza per esaltarci. Tuttavia, non tutto è così scontato: se da un lato l’emotività vorrebbe dare tutto per acquisito, la razionalità che la Chiesa è costretta ad applicare nelle sue scelte, include le ragioni di opportunità che si differenziano nelle tendenze e negli orientamenti diversi fra le varie componenti; ciò che ha determinato molte cautele nelle decisioni da assumere. D’altronde l’ha detto anche Gesù proprio nel vangelo di questa domenica: non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione; d’ora innanzi in una famiglia da cinque persone si divideranno tre contro due ecc. È chiaro che l’adesione a Cristo determina sempre motivo di contraddizione: è una Parola troppo contro corrente rispetto alle nostre impostazioni. La Chiesa non poteva essere speciale rispetto a questo e la storia fin qui l’ha confermato. Peccato che certe divisioni non abbiano trovato modo di essere superate e uno dei tanti motivi ruota ancora attorno a Maria. A me, nel mio piccolo, senza scomodare l’Apocalisse, basta il vangelo che leggiamo il giorno dell’Assunta, che narra della visita alla cugina Elisabetta, e nel quale Luca mette in bocca a entrambe quelle stupende parole che recitiamo nell’Ave Maria (anche quelle di Gabriele all’annunciazione sono opera sua) e nel “Magnificat”. Rileggiamocele e vedremo che già duemila anni fa era tutto previsto e definito.

Il rischio dell’imprevedibile

Inserito il 7 Agosto 2022 alle ore 10:02 da Plinio Borghi

Il rischio dell’imprevedibile si riduce solo agendo sempre con le spalle coperte, come si suol dire. Oggi Gesù continua la sua “lectio magistralis” sugli investimenti sicuri e sul modo di gestirli, attraverso allegorie, parabole e similitudini, nelle quali sono comunque escluse forme di furbizia a noi tanto care negli affari. Uno dei motivi conduttori rimane l’imprevedibilità: non sapere l’ora del ritorno del padrone e guai al servo che si trova fuori posto, che si è approfittato dei ricavi, che non ha instaurato rapporti più che corretti con gli altri collaboratori, ecc. Insomma, quello di essere in regola e accorti nell’agire è alla base di ogni attività e di ogni ruolo. La maggior parte di noi l’ha sperimentato nei posti di lavoro o nella professione, dove i frutti sicuri delle nostre azioni si sono moltiplicati e sono stati premiati. Abbiamo pure constatato quanto la disonestà e l’aggressività, l’arrivismo e lo sgomitare per la carriera alla fine non hanno pagato, prima di tutto perché non sostenute da una preparazione adeguata che, se ci fosse, non avrebbe bisogno di mezzucci e poi perché i nodi vengono al pettine, le pentole vengono scoperchiate e nessuno si fiderebbe di siffatti sprovveduti. Anche il vangelo di oggi conclude con questa chiave: a chi è stato affidato molto, e si è dimostrato previdente, verrà richiesto e dato molto di più. Ovviamente sul piano sociale il discorso potrebbe continuare in modo articolato, ma se trasportiamo l’impianto sul piano spirituale la sua pregnanza si rivela in tutto il suo peso e la sua efficacia; non c’è margine discrezionale nel definire il comportamento necessario e le indicazioni del Maestro diventano perentorie. È in sintesi quel ben noto Estote parati: che l’ora dell’arrivo della resa dei conti non sia conosciuta da alcuno, anzi soltanto dal Padre, è fin troppo ribadito e acquisito; che l’essere preparati non significhi qualcosa di raffazzonato in fretta e furia all’ultimo, ma frutto di una continuità, alla base della quale solo la fede è elemento di garanzia è parimenti scontato. Qualcuno più noto di me diceva che bisognerebbe impostare ogni giorno come se ci fosse una vita davanti e di viverlo come se fosse l’ultimo. Appunto. San Paolo nella sua lettera agli ebrei è più esplicito nel compiere un’ampia panoramica di quanto la fede abbia influito sulla storia del popolo eletto. A noi restino le parole d’ordine: fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dov’è il vostro tesoro là sarà anche il vostro cuore.

Gli affari sono affari

Inserito il 31 Luglio 2022 alle ore 10:05 da Plinio Borghi

Gli affari sono affari e ogni buon affare giustifica un investimento adeguato. Certo, un margine di rischio c’è sempre, ci mancherebbe!, ma se è calcolato non può mai portare alla rovina. Poi c’è sempre quello che pensa di aver trovato il filone giusto e si butta a pesce con tutto quello che ha, ritenendosi come minimo un furbo di tre cotte e magari meditando di sottrarre risorse al concorrente: a costui l’unica alternativa resta un bel pugno di mosche. Da che mondo è mondo la sicurezza economica ci deriva solo dall’investire in modo differenziato. No, non ho alcuna intenzione di impostare una lezione di politica commerciale, ma la liturgia di oggi mi ci ha tirato per i capelli. Il nostro Maestro, al quale evidentemente non difetta competenza alcuna, tant’è vero che viene interpellato per la divisione di un’eredità, imposta una lezione di economia e di vita da far invidia ai migliori sul mercato. D’accordo, ha estremizzato un po’ le alternative: in sostanza ha posto la morte, ovviamente imprevedibile e improvvisa, a scompigliare ogni progettualità, anche se è un evento che non va mai trascurato, da alcuno, credente o non credente che sia. Per noi, che ci prepariamo a qualcosa che va oltre, conta ancora di più impegnare le risorse temporali per guadagnare crediti utili per dopo. È la parabola dei talenti che si ripropone: guai lasciarsi prendere dalla paura o dai nostri limiti o, peggio, tendere al fatalismo! È chiaro che né Gesù né Qoelet che gli fa eco in prima lettura ci esonerano dal darsi da fare per migliorare: conta non rendere l’azione fine a sé stessa o a servizio del nostro egoismo, bensì con l’ottica del vero obiettivo, quello che si ha garantito il Redentore con la sua resurrezione. Ci incita in tal senso anche Paolo nella seconda lettura, dove fa un elenco di deviazioni che spesso diventano per noi obiettivi primari che vanificano tutto il progetto di salvezza. L’argomento mi porta a un aneddoto di cui sono stato protagonista nell’ambiente di lavoro (forse l’ho già raccontato, ma a una certa età mi sia consentito qualche volta di ripetermi), quando un collega, noto per essere un po’ libertino e disinvolto nel suo comportamento, se ne uscì esclamando: “Una bella fregatura avranno i frati se non esiste il Paradiso!”. Al quale ho prontamente ribattuto: “Pensa a che bella fregatura prendi tu se invece esiste!”. Il discorso è continuato sulla reciproca posta in gioco: una vita che è un batter di ciglia contro l’eternità. Se non basta la fede per convincerci, facciamolo per fare un buon affare!

Imparare a pregare

Inserito il 24 Luglio 2022 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

Imparare a pregare: sembra un paradosso in un ambito pregno di religiosità come il nostro, come lo era senz’altro ai tempi di Gesù, anche a fronte di un episodio come quello di Abramo, riportato nella prima lettura di oggi, che non v’è dubbio fosse ben noto ai discepoli. Pur persone semplici, da bravi ebrei essi dovevano conoscere a sufficienza le sacre scritture e in particolare la predisposizione di Dio ad ascoltare le suppliche del suo popolo prediletto. Eppure, si sono accorti che il loro Maestro aveva un quid in più nel rapporto che intratteneva col Padre e non hanno frapposto indugio a chiedergli: “Signore, insegnaci a pregare”. Gettando l’occhio sulle letture di questa domenica, per associazione d’idee, mi è tornato alla mente quanto fosse diffusa un tempo la pratica da parte della gente incolta di rivolgersi a qualcuno più istruito o più predisposto per farsi scrivere qualche lettera particolare o qualche domanda da inoltrare alle autorità. L’argomento più diffuso erano le domande di assunzione, magari integrate dai relativi curriculum. Mio padre, comune bidello ma con la terza media e una calligrafia invidiabile (pure questa contava per essere presi in miglior considerazione), era spesso sollecitato in questo ruolo, anche da colleghi insegnanti. A me, più tardi, è capitata la stessa cosa, non tanto per la calligrafia, un obbrobrio che avrebbe ottenuto l’effetto opposto, quanto per avere le mani in pasta nei rapporti con la burocrazia. Il maggiore e più generalizzato livello d’istruzione, nonché il superamento di certe obsolete impostazioni burocratiche hanno ridotto di molto la pratica in questione, anche se non del tutto visti gli scarsi risultati sulla padronanza della lingua e del linguaggio appropriato da parte delle persone “studiate”. E il nesso con la premessa? Basta soffermarsi un attimo ad analizzare il nostro modo di pregare paragonato a un’elementare esegesi dell’unica preghiera che Gesù ha consegnato ai discepoli per capire che in sostanza siamo sullo stesso piano: semianalfabetismo religioso e improprietà dei termini nel rivolgerci al Padre la fanno da padroni. L’analisi sarebbe lunga, ma mi limito a osservare che, di norma, si parte dalla seconda parte del “Padre nostro” e, nella migliore delle ipotesi, si passa all’ultima. Sulla prima, dopo duemila anni, abbiamo ancora molta strada da fare. Quindi conviene ancora anche a noi, se vogliamo essere ascoltati, chiedere a Gesù: “Signore, insegnaci a pregare”.

L’eterno dilemma dell’ospitalità

Inserito il 17 Luglio 2022 alle ore 10:03 da Plinio Borghi

L’eterno dilemma dell’ospitalità sta proprio nelle due ipotesi: è meglio cercare di soddisfare l’ospite con la nostra abilità culinaria oppure facendolo sentire a suo agio come fosse in famiglia e gradito, a prescindere da ogni tentativo di sorprenderlo con “effetti speciali”? È chiaro che la scelta sta nelle premesse dell’invito e del tipo di rapporto che esiste con il protagonista, non solo, ma anche nella nostra migliore tendenza: quella di abili intrattenitori e affabulatori, piuttosto che di provetti trasformatori d’ingredienti naturali. Le distinzioni e le alternative potrebbero proseguire all’infinito, a seconda delle diverse esperienze personali, ma io penso che in realtà la questione sia speciosa: ci vogliono entrambi gli atteggiamenti per far luogo ad un’ospitalità completa, senza tentativi maldestri di voler essere più di quello che siamo né superficialità nel disattendere le eventuali aspettative degli interlocutori. La liturgia di oggi ci offre uno spaccato interessante in merito. In prima lettura Abramo si dimostra d’una premura e di un’efficienza superlative nel voler soddisfare i tre ospiti che lo attendevano alle Querce di Mamre: pensa a rifocillarli a dovere, ma sa pure chi si nasconde dietro a quella triplice presenza e la sua deferenza è palpabile. Nel vangelo invece le protagoniste sono le sorelle Marta e Maria, che sembrano riproporre il dilemma di cui in premessa, ma che nella realtà si completano a vicenda, se non fosse che in questo caso è l’Ospite ad essere speciale, un Maestro dal quale pendere dalle labbra. Gesù, nell’affermare che Maria ha scelto la parte migliore, non voleva certamente svilire il ruolo utile di Marta, tutta indaffarata come Abramo nel predisporre la migliore accoglienza, segno che anche da parte sua c’è consapevolezza dell’autorevolezza dell’interlocutore. La mission del quale non è tanto dedicarsi al desco come ospite d’onore, anche, quanto di realizzare il progetto di salvezza, incardinato nell’ascolto e nella messa in pratica della sua parola. I tre di Mamre si congedano predicendo ad Abramo la nascita di un figlio da Sara; il nostro Redentore, che oggi peraltro a Venezia festeggiamo, più da Marta che da Maria a dire il vero, ci ha fatto rinascere come figli del Padre ed è andato a prepararci il posto per il banchetto senza fine. In entrambi si preannuncia un ritorno “verificatore”. A noi il compito di dar seguito a ogni prospettiva, annunziandolo al mondo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, come dice S. Paolo nella II lettura.

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