Inserito il 10 Luglio 2022 alle ore 10:07 da Plinio Borghi
Perché meravigliarsi se è normale? Quante volte ci viene posta all’attenzione la questione dell’amore per il prossimo! Naturalmente quella sollevata dal vangelo di oggi è la più classica e la più nota, il brano rifugio cui si ricorre per mettere in evidenza quello che è già lapalissiano: l’intensità del sentimento tende a essere inversamente proporzionale alla vicinanza dell’oggetto da amare. Se così non fosse, occorrerebbe insistere tanto sull’argomento? Perché porre bene in rilievo che la vittima dei briganti è stata scansata dal sacerdote e dal levita, mentre solo il samaritano, più estraneo degli altri due, se n’è preso cura? Perché è così da sempre, perché anche noi abbiamo tanto a cuore le sorti di tutti coloro che soffrono in giro per il mondo, siamo pronti anche ad adottarli se serve … a distanza, ma se poi si imbarcano per invadere le nostre coste cominciamo a mettere le mani davanti, o se ad avere disagi è il vicino di casa, lo stesso che magari ci sbatte le briciole della tovaglia sul davanzale, manco ce ne accorgiamo o giriamo volutamente la testa dall’altra parte. Non parliamo del collega che sgomita per fregarci il posto o del concorrente che fa carte false per sottrarci l’affare. Se poi analizziamo il rapporto con i parenti più stretti, specie se c’è di mezzo qualche residuo d’eredità da spartire, è meglio calare un velo pietoso sulle miriadi di incomprensioni e di rotture tragiche in atto. I risvolti anche sociali di questa impostazione sono stati ben sviscerati da papa Francesco sulla sua enciclica “Fratelli tutti”, che ha messo proprio la parabola di oggi come filo conduttore alla base delle sue considerazioni. Perché tanto impegno? Perché ne abbiamo di atteggiamenti, anche atavici, da rimuovere se vogliamo ottemperare all’invito che Gesù in chiusura rivolge al suo interlocutore: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Perché abbiamo poco da lavarci la bocca con solleciti alla pace nel mondo, se poi vogliamo un bene da matti solo ai “samaritani” che sono a casa loro e sono anni che teniamo il broncio col fratello. Se crediamo che ci sia un barlume di speranza di pace, dobbiamo cominciare a coltivarla a partire da noi stessi, da chi ci sta attorno e allargare progressivamente il cerchio. Così facendo ne avremo in abbondanza anche per i lontani e l’azione sarà più efficace, in quanto saremo più credibili. Agendo al contrario, contravveniamo in partenza all’unico comandamento: ama il prossimo tuo come te stesso. E allora il resto non serve ad alcunché.
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Inserito il 3 Luglio 2022 alle ore 10:07 da Plinio Borghi
Ne vale la pena? Quante volte ci saremo fatti questa domanda su un problema da affrontare in un certo modo o su una decisione piuttosto rischiosa da prendere! Tuttavia, non è posta sempre con il medesimo senso: dipende dal tono con cui lo diciamo e dalla volontà che si vuol esprimere ovvero dalle riserve mentali che nutriamo. Il più delle volte manifesta ritrosia e diffidenza, ma serve anche come stimolo per l’interlocutore, specie se in veste di educatori, per saggiare la sua sicurezza, perché valuti le opportunità. Spesso conta pure da richiamo, se il gioco non vale la candela. Certo che se tutte le grandi imprese che la storia ci tramanda avessero avuto a monte una frase del genere, saremmo qui a raccontarcene ben poche. Idem per il settore della ricerca, per il quale non è quasi mai possibile darsi una risposta: occorre andare avanti, costi quel che costi, anche se i risultati si fanno attendere, sennò addio scoperte e conseguente evoluzione. Guarda caso, il vangelo di oggi è sulla stessa lunghezza d’onda. Già domenica scorsa, quando Gesù andava verso Gerusalemme e mandava avanti i suoi “emissari” per le soste nei vari villaggi, alcuni di loro, respinti in malo modo, proposero di invocare un fuoco dal cielo per incenerire i riluttanti e lui li redarguì spingendoli a proseguire. Oggi siamo alle prove generali sulla missionarietà e, date le premesse, qualcuno potrebbe chiedersi se valga la pena. Il Maestro sa di mandarli come pecore in mezzo ai lupi, ma non mette nemmeno in conto titubanze del genere: si va e basta, e se c’è chi rifiuta la pace, la pace torni a voi; prima di tutto andare incontro ai bisogni della gente e accontentarsi di quello che si riceve in cambio; se qualche città vi rifiuta, avvertiteli comunque che il regno di Dio è vicino e che di quel luogo vi scuoterete anche la polvere dai vostri piedi. Insomma, non c’è motivo alcuno per demordere da quello che è il ruolo primario della Chiesa: annunciare il Vangelo a tutte le genti, far conoscere a tutti il Cristo redentore e risorto. Ovvio che si darà fastidio, ovvio che ci saranno porte sbattute in faccia, ma se trovassimo porte aperte e tappeti rossi ovunque che senso di missione sarebbe? Mentre scrivo, giunge la notizia della suora italiana uccisa a Haiti, dopo vent’anni che vi faceva del bene, in linea col mandato di cui oggi si parla. Verrebbe da dire se ne è valsa la pena, ma non è con questa domanda che si fanno bilanci. Altrimenti se lo poteva chiedere anche Gesù in croce.
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Inserito il 26 Giugno 2022 alle ore 10:08 da Plinio Borghi
Un invito perentorio è connotato ben diversamente da qualcosa di “ordinatorio”. Nella vasta gamma delle norme e dei rapporti che regolano la nostra convivenza civile abbiamo tanti esempi dell’uno e dell’altro: dal tono e dall’impostazione riusciamo a classificarli subito. Di solito una regola che impone un comportamento generico, magari priva di particolari sanzioni per l’inadempiente, è annoverata fra quelle ordinatorie. Invece un appello a presentarsi “entro e non oltre” una determinata data, magari con tanto di aspetti punitivi se non si ottempera, è senz’altro perentorio. Ebbene, nella liturgia di oggi riscontriamo entrambi questi aspetti. In prima lettura il rapporto fra Elia ed Eliseo si configura più ordinatorio, senza per ciò perdere di pregnanza: il nuovo designato dal Signore, ricevuto sulle spalle il mantello del maestro, lascia tutte le sue incombenze e lo segue, non prima, però, di aver ucciso un paio di buoi per sfamare la gente e di aver salutato suo padre e sua madre. Nel vangelo Gesù invece affronta in modo assolutamente perentorio chi si dichiara pronto a ricalcarne le orme: a quello che voleva prima provvedere alla sepoltura dei suoi cari risponde “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va e annunzia il regno di Dio”, e per l’altro che gli chiedeva, come Eliseo, di consentirgli di salutare quelli di casa la replica è “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”. Verrebbe da chiedersi il perché di tanta rigidità, di tanta intolleranza. La risposta è proprio nella solennità di venerdì scorso, quando abbiamo celebrato “Il Sacratissimo Cuore di Gesù”: il nostro Salvatore non ha riservato alle sue pecorelle un angolino del suo cuore, ma tutto e oggi sta appunto andando incontro al grande sacrificio. Possiamo pensare di ricambiare tanto amore centellinando i nostri slanci nella titubanza più fastidiosa? Certo che darsi totalmente non è facile, lo sa anche il Maestro, che al primo che si offrì con le parole “Ti seguirò ovunque tu vada” fece presente che “Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” mentre tutto il resto del creato ha il proprio nido o la propria tana, ma i benefici di ritorno sono incommensurabili. Infine, se pensiamo che la sequela sia un vincolo privativo della libertà, S. Paolo nella seconda lettura dimostra esattamente il contrario: “Cristo ci ha liberati perché restassimo nella libertà”. Svincolati da Lui, saremmo in balia della nostra carne; guidati dallo Spirito, non siamo più sotto la legge
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Inserito il 19 Giugno 2022 alle ore 10:02 da Plinio Borghi
Nutrirsi per sopravvivere: è un’esigenza fisica imprescindibile, ma non riguarda solo il corpo. Anche la mente e lo spirito si trovano nelle stesse condizioni e quindi vanno alimentati adeguatamente e nessuno dei tre è indipendente dall’altro. La mente è curiosa e ha bisogno di conoscenza, ma se è obnubilata dalla fame è rivolta solo a risolvere quel problema e, priva della tranquillità nel discernimento, non lo risolverà bene. Lo spirito ha bisogno di elevarsi, di proiettarsi oltre la mera costrizione naturale: da che mondo è mondo l’uomo ha sempre anelato all’oltre, al trascendente; ha sempre rifiutato che il suo spirito si esaurisca con la vitalità. Quando si raggiunge l’equilibrio fra i vari aspetti, allora c’è spazio per il passo successivo: il nutrimento può diventare anche piacere, la mente avrà modo di ampliare la sua sfera di interessi, lo spirito, non più appesantito, si librerà fino a sublimarsi nella fede. Figurarsi se Gesù non aveva ben presente tutta questa armonia quando s’è accorto che la folla aveva fame! Se l’avesse congedata, come suggerivano gli apostoli, ci sarebbe stato un calo di tensione spaventoso. E nei fatti che il vangelo di oggi ci narra, nasce il preludio, la translazione di quella che sarebbe stata l’istituzione dell’Eucaristia. Tant’è vero che dopo la stessa gente, sfamata, rincorre il Maestro perché sente ancora il bisogno della sua parola, risposta per la mente, conforto dello spirito. Il compimento di questa interazione avverrà proprio attorno alla tavola, quella dell’ultima cena, quando, spezzato il pane, lo trasformerà fisicamente nel suo corpo, in procinto di essere sacrificato. Prometterà di non lasciarci soli e di restare con noi sempre e questo è stato il mezzo per realizzare tali promesse. Ben lo descrive anche San Paolo nella seconda lettura. Anche qui, però, come fece allora con la folla (“dategli voi stessi da mangiare”), affida la continuità della sua presenza fisica agli apostoli: “Fate questo in memoria di me”, che non significa solo ricordare, bensì rivivere ogni volta i fatti. Un regalo senza pari, che merita tutta la nostra riconoscenza, soprattutto con una fede che ci faccia rincorrere Gesù per esserne saziati in tutti i sensi. Spesso accampiamo difficoltà ad acquisire il concetto della sua presenza in corpo, sangue, anima e divinità in quella particola e a digerire la “transustanziazione”. Impariamo dai profanatori dell’Eucaristia: loro hanno ben capito chi si cela in quelle sacre specie e, col loro gesto dissacrante, non fanno che testimoniarlo!
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Inserito il 12 Giugno 2022 alle ore 10:00 da Plinio Borghi
La classica finale col botto: Pentecoste chiude formalmente e sostanzialmente il periodo dell’anno più forte e giustamente la liturgia non poteva collocare a ridosso altra festa se non quella della Trinità, una sublime sintesi del progetto di creazione e di salvezza che scaturisce dalla più alta espressione d’amore che si possa immaginare. Se prima della venuta del Salvatore l’idea di Trinità non aveva connotati ben precisi, oggi, dopo l’arrivo dello Spirito Santo che ha reso ogni cosa comprensibile, il tutto ha assunto una chiarezza inconfutabile. Gesù ci ha rivelato il vero volto del Padre (chi conosce me conosce il Padre..) e il Paraclito ci ha aperto la mente sulla Parola rappresentata dal Figlio. Domenica scorsa, nel vangelo, il nostro Maestro ci assicurava che se la mettiamo in pratica tutti e tre prenderanno dimora presso di noi. Ne consegue che a scaturire non può essere che un inno di gloria e una fiamma d’amore da tenere sempre viva con coerenza, perché è l’unica che rende concreta tale ospitalità: se viene meno cade il presupposto, il che equivale a una azione di sfratto vera e propria. Lascio immaginare lo squallore che subentrerebbe; lo stesso che se nella famiglia tipo venisse a mancare quel collante che la tiene unita e viva. La liturgia, che non è qualcosa di avulso dalla nostra quotidianità, rispetta perfettamente questi ruoli e pone la Trinità come “tenuta” di ogni espressione di lode e gloria nelle nostre preghiere, che, infatti, si concludono sempre con il Gloria a Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, dossologia presente anche nella conclusione degli inni. Senza pretendere di penetrare il mistero, che non serve, è sufficiente osservare come lo esplicitiamo in ogni gesto benedicente (ci benedica Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo), in ogni manifestazione di fede, in cui mai ci sogniamo di pensare a Dio, se non nella sua manifestazione trinitaria e viceversa mai invochiamo le singole persone senza pensare di non rivolgersi a Dio stesso. Fin qui non ci piove, ma non basta. La nostra completezza come cristiani deriva solo dall’assumere l’essenza della Trinità, l’amore, come punto di riferimento e non solo nei confronti del fantomatico “prossimo” in generale, ma anche nel particolare, come nel rapporto coniugale e in quello con i figli. Nella famiglia, infatti, si traduce in pieno l’amore trinitario del quale non siamo solo riflesso, ma traduzione. Se no, non abbiamo capito non solo il mistero, ma neanche la sua portata.
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Inserito il 5 Giugno 2022 alle ore 09:54 da Plinio Borghi
La vivacità dello Spirito Santo sta all’anima come la vitalità sta al corpo. Quante volte abbiamo avuto modo di sottolineare la briosità di talune persone, sempre in movimento, sempre pronte a mettersi a disposizione, mai stanche, ottimiste, brillanti, capaci di sollevare il morale di chiunque e via dicendo! E quante volte abbiamo constatato che anche nella malattia l’efficacia delle cure e delle medicine aumenta se il carattere è positivo, se il fisico vibra di vitalità anche nella sofferenza! Ebbene, lo stesso discorso vale per l’anima, da non confondere con lo stato d’animo (ma non lo escluderei del tutto). Abbiamo bisogno di vivere una vita spirituale piena, in grado prima di tutto di capire e poi di trovare tutti i riferimenti con i quali poter elevare la fede ai massimi livelli. Per ciò è indispensabile l’azione dello Spirito Santo, senza la quale ogni aspirazione ci sarebbe preclusa e ogni pretesa di rispondere alle esigenze minimali di una sequela di Cristo non reggerebbe posando solo sulle nostre forze. Oggi la liturgia celebra il compimento della promessa che il Salvatore fece agli apostoli e degli effetti di questa discesa abbiamo avuto un’ampia dimostrazione dalla lettura degli Atti che si è articolata in questo periodo pasquale. Le cose incredibili che riescono a compiere questi uomini, fino a ieri rozzi e insicuri, sono il segno della potenza e della vivacità con le quali lo Spirito si esprime. Già il Maestro a suo tempo aveva accennato a un paio di peculiarità, come quella di Paraclito e di Consolatore, ma era chiaro che c’era molto di più e basta andarsi a leggere la Sequenza prevista prima del Vangelo di oggi per averne il florilegio: padre dei poveri, datore dei doni (i famosi sette doni studiati al catechismo), luce dei cuori, consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo, riposo nella fatica, riparo nella calura, conforto nel pianto, ecc. La conclusione contiene invocazioni valide per tutte le situazioni, nella convinzione che “senza la sua forza nulla è nell’uomo”. È una preghiera pregna di rara bellezza, che andrebbe la pena di recitare spesso, anche per tirarsi su il morale (ecco che c’entra pure lo stato d’animo cui accennavo). Con questi presupposti è nata la Chiesa e su questi presupposti ha sempre navigato fino ad oggi, anche per acque impervie, compiendo tutte le scelte necessarie, a partire da quella dei successori di Pietro. Per quanto ci riguarda, quindi, non priviamoci mai del ricorso a questo Riferimento prezioso.
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Inserito il 29 Maggio 2022 alle ore 10:08 da Plinio Borghi
Lo squarcio nel cielo rimane, non viene più rabberciato. Attraverso quello che si è creato al momento dell’Incarnazione, quando i cieli si sono riconciliati con la terra e le nubi piovvero il Giusto, oggi è risalito il Salvatore per tornare alla destra del Padre, a breve scenderà lo Spirito Santo, al giorno stabilito passerà pure ognuno di noi e al compimento dei tempi il Figlio di Dio ritornerà per recuperare l’umanità redenta. E nel frattempo? Nessuno starà con le mani in mano ad aspettare: il nostro Maestro, ce l’ha promesso, sarà sempre con noi e ci guiderà, mentre sarà indaffarato sull’altro fronte a prepararci il posto che ha garantito; di contro noi non dovremo indugiare nel farlo conoscere a tutti gli uomini e nel sottoporre alla sua regalità tutti i regni di questo mondo, come Egli stesso ci ha ordinato. Non sono imprese da poco, né per Lui né per noi. Conoscendo i nostri limiti, le debolezze che minano continuamente la nostra fede, l’incapacità di gestire quella sua pace che ha tanto insistito nel darci e che ci sfugge continuamente dalle mani, la discontinuità con la quale lo serviamo, la pigrizia che sembra averla sempre vinta sulla nostra buona volontà, l’attrazione per le cose di questo mondo, molto più facili da afferrare, la disperazione e, non ultima, la malvagità che si impossessa dei nostri comportamenti, il nostro Gesù dovrà fare una faticaccia per riuscire a coprire tutti i posti che si accinge a preparare. Sempre sperando che, riuscendo a sfangarla, non ci sia più di qualche farlocco che si presenta al banchetto senza “la veste nuziale” o addirittura in ritardo. Per tutti gli stessi motivi, anche noi dovremo superare mille difficoltà per non disattendere il mandato ricevuto, per valorizzare ogni momento di vita che ci è concesso per investire alla grande su quella eterna, per tenere costantemente presente che le conquiste non cadono dall’alto come “peri maturi”, ma saranno frutto di tensione e fatica, per non lasciarci attirare dalla via larga e facile, che non porta da alcuna parte, perché anche la porta dalla quale dovremo entrare sarà stretta, per non presentarci senza aver le mani colme dei frutti dovuti, perché quelli costituiscono la nostra veste nuziale, e fare la fine del fico improduttivo, tra fiamme e stridore di denti. Eh, ma allora pare tutto impervio, che vita è? Nient’affatto. Non facciamo gli imbambolati come i discepoli che guardano il cielo dov’è appena salito il Maestro: il “vademecum” ce l’abbiamo (il Vangelo), basta seguirlo e il resto vien da sé.
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Inserito il 22 Maggio 2022 alle ore 09:59 da Plinio Borghi
L’inquietudine di Gesù è palese. Ammesso che i discepoli abbiano nel frattempo metabolizzato la sua morte e la conseguente resurrezione, si preoccupa della loro tenuta dopo il suo rientro alla destra del Padre e fa intendere che c’è ancora molto da capire oltre a quanto è stato finora rivelato, ma non c’è problema: ci penserà lo Spirito Consolatore ad aprire le loro menti. Conta, al momento, assumere per oro colato la sua parola, che poi è quella del Padre stesso che lo ha mandato. Tuttavia, lo sa che, se anche il cervello si sforza, il sentimento è un’altra questione e l’aria di sbaraccamento che tira li intristisce, per cui fa leva sulla prospettiva che si appresta a concretizzare dopo la sua partenza per esprimersi a un livello che più umano non si può: “Non sia turbato il vostro cuore … tornerò a voi … se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre..”. Sembra la copia di tutti i discorsi che facciamo con le persone amate al momento del distacco. Ritengo, però, che la preoccupazione del Maestro andasse ben oltre quella per i suoi pochi intimi, i quali, lo stiamo leggendo dagli Atti degli Apostoli riferiti in questo periodo dalla prima lettura, se la caveranno alla grande. Il pensiero era per tutto ciò che nel mondo sarebbe successo in seguito, con le divisioni, i contrasti, gli odi, le guerre, tutto frutto della disattesa all’insegnamento che Egli è venuto a darci con l’annuncio del Regno, sostenuto appunto dal progetto di salvezza che ha visto la sua incarnazione, la sua morte e la sua resurrezione. Il nostro atteggiamento, sempre più refrattario, sembra averlo vanificato. Se dovessimo fare una carrellata tra quanto è successo prima e quanto è accaduto dopo, ci accorgeremmo che poco è mutato e che anzi molti contrasti sono sorti anche in nome di quello stesso Dio che il Messia è venuto a rivelarci. Siamo ancora uomini di dura cervice, come Gesù definì un giorno quelli dei tempi di Mosè. Infatti, tra i vari discorsi, oggi mette ancora il dito sulla piaga, come dicevamo domenica scorsa, e torna a battere il tasto dolente: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi”. Sarebbe così bello e appagante vivere tutti nella tranquillità e nella prosperità, brandendo come arma solo la sua parola e lasciando spazio alla contemplazione di tutto il bene ricevuto, incrementandolo e diffondendolo come ci ha ordinato. Macché! Da bravi masochisti continuiamo a fare orecchie da mercante e il risultato ce l’abbiamo ogni giorno sotto gli occhi.
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Inserito il 15 Maggio 2022 alle ore 10:02 da Plinio Borghi
La lingua batte dove il dente duole e Gesù non fa eccezione: pace e amore sono il motivo conduttore di queste domeniche di Pasqua che sembrano ritagliate sulla situazione di belligeranza in atto. Evidentemente non stiamo attraversando momenti straordinari, anzi, continuiamo ad anteporre gli interessi più squallidi e meschini a qualsivoglia forma minimale d’amore. Scommetto che se non avessimo tutti un fondato timore che qualche testa calda possa mettere mano al nucleare saremmo già in piena guerra mondiale. Forse il concetto di amore o di pace ai più suona come un atto di debolezza o cedimento e questo non è ammesso in una società dove prevale il machismo, dove conta mostrare i muscoli anche se non abbiamo nemmeno il cibo per tenerli in efficienza. Sugli appelli del Papa prevale la teoria che solo un adeguato armamento può favorire un traguardo più rapido, anche se nasconde il pericolo di un’escalation. Le tragiche conseguenze di tale ambaradan non sembrano intaccare alcuna presa di posizione: la strage di civili e militari sul campo, le ingenti e dissanguanti spese per armi sempre più sofisticate, le economie in picchiata anche per il blocco di produttività, scorte alimentari destinate come unica risorsa a diversi Paesi africani ferme ai porti di partenza (col rischio che, presi dalla fame, diano corso anche là a reazioni inconsulte) e via dicendo non fanno che inasprire gli animi. Inasprimento che sarà destinato a ripercuotersi nelle future generazioni, le quali, pur in regime di pace formale, continueranno a odiarsi. Eppure tutte le parti oggi in lotta si professano cristiani e lo ostentano, continuando però a disattendere platealmente, oltre al resto, anche l’ottavo comandamento e usano le bugie come strategia di guerra. Sorvoliamo per il momento, ma non più di tanto, i reati comuni cui assistiamo quotidianamente, fino al più schifoso come il femminicidio, nonché tutti gli atteggiamenti arrivisti, discriminatori, aggressivi, prevaricatori, ecc. e mi viene spontaneo chiedermi: “Ma chi glielo fa fare al nostro Maestro di continuare a predicare, come nel vangelo di oggi, di amarsi gli uni gli altri come lui ci ha amato e che solo da questo tutti sapranno che siamo suoi discepoli?”. Diamogli pure il beneficio dell’ottimismo, ma è certo che i comportamenti che abbiamo brevemente considerato certificano esattamente il contrario! Ci sono momenti, lo confesso, che vorrei che Dio non fosse così paziente e lento all’ira, come dice il Salmo!
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Inserito il 8 Maggio 2022 alle ore 10:04 da Plinio Borghi
Zelensky buon pastore? Il fenomeno Ucraina che stiamo vivendo in questo periodo ha messo in evidenza parecchi risvolti inaspettati, che hanno da un lato spiazzato chi pensava di andarsi a fare una passeggiata in terra altrui portandosi a casa qualche souvenir a basso prezzo e dall’altro interpellato quelli, come noi, che avevano trascurato quanto stava succedendo da quelle parti dal 2014 e non hanno reagito al furto della Crimea. Adesso tutti si ravvedono e i dibattiti in merito si sprecano, anche perché non sempre le medesime azioni sono mosse dalle stesse intenzioni. Lascio agli esperti (oggi, come prima per la pandemia, stanno spuntando come i funghi) ogni considerazione sulle strategie e mi limito a sottolineare un paio di sensazioni che mi hanno particolarmente colpito. La prima è, ovviamente, il protagonismo indiscusso del popolo ucraino, che si è attrezzato contro ogni aspettativa e ha chiesto aiuto con dignità e inconsueta fierezza. La seconda il coro all’unisono che si sta registrando in quel Paese, diretto magistralmente dal suo presidente, che ha guadagnato una fiducia impensata, anche da parte dei suoi oppositori. Certo, molto ha contato anche la protervia dell’aggressore, ma non mi sarei mai aspettato che in quelle condizioni si registrassero addirittura flussi di rientro in una terra ancora martoriata. Mi pare evidente che l’autorevolezza e il buon esempio di Zelensky abbiano agito da collante e gli abbiano fatto avere sul campo il meritato titolo di Buon Pastore, cosa ben difficile per una guida in clima democratico e più ancora per un politico. Basti vedere con quali “distinguo” lo stesso Draghi, d’indiscussa autorevolezza, è tuttavia sostenuto da questa eterogenea maggioranza. Non ditemi dissacrante se tali considerazioni mi sono venute proprio leggendo il vangelo di oggi, domenica dedicata al Buon Pastore per eccellenza. Il feeling con il proprio gregge non si crea se non c’è una profonda e reciproca conoscenza, tale da determinare una sequela incondizionata. Lo dice Gesù stesso che questi sono gli elementi caratteristici, anche se è ovvio che le offerte di sicurezza e di vita che ci garantisce il nostro Salvatore sono tutt’altra cosa e non hanno confronto alcuno che possa reggere. C’è un’altra sottolineatura del nostro Maestro: le mie pecore non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Anche gli ucraini stanno morendo per questa certezza. Speriamo che il maligno non prevalga.
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