Il blog di Carpenedo

Il blog di Carpenedo
La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Rimani saldo in quello che credi

Inserito il 17 Ottobre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Di fronte alla richiesta cristiana di soffrire il cristiano può tremare e chiedersi nell’intimo se la sua strada e l’impegno di vita che offre non si basi su di una grande illusione. Tutto questo è così certo? Non si dovrebbe forse riesaminare tutto da capo e procurarsi prove migliori? Paolo consiglia di «rimanere saldi». Proprio di fronte alla minaccia che sta prendendo il sopravvento. E precisamente in quello che un tempo si è imparato come una materia scolastica. Ma la verità teorica è divenuta nel frattempo verità di vita, ha compenetrato la vita del cristiano, se ne è nutrita e l’ha a sua volta nutrita, tanto che ora non è più possibile separarle. Chi volesse strapparsi la fede a questo stadio si strapperebbe nello stesso tempo cuore e anima. La fede governa l’esistenza, questa la serve. E così occorre «restare saldi».

Se la fede dovesse perdere di vigore, è di aiuto guardare alle persone che ce l’hanno comunicata: la loro immagine spirituale è una luce immediata per chi vacilla. Paolo, nelle sue lettere si definisce “padre” e “madre” e “nutrice che allatta” per i suoi figli nel Signore. Colui che vacilla deve sentire in sé la forza della paternità e della comunità che lo porta e lo genera. Non è un isolato. Fiumi di forza scorrono, più alti disegni operano in lui.

Più in alto, c’è la forza della parola di Dio. Madre e nonna, ricorda Paolo, avevano introdotto il piccolo Timoteo alla Scrittura. La sacra Scrittura costituisce per il cristiano il primo incontro con la rivelazione del volto di Dio, e offre la «sapienza», la profonda conoscenza interiore, indispensabile per addentrarsi nel contesto della salvezza.

È una Parola di Verità, di Bellezza e di profondità inesauribile per ogni creatura. La Parola è per ogni persona credente riferimento in quanto giudizio e conforto ad un tempo. Da essa viene la conoscenza della volontà di Dio, il riconoscimento dei peccati, l’annuncio della misericordia.

L’«uomo di Dio» vive della parola di Dio, che lo «provvede» di quelle «opere buone», che «Dio ha predisposto perché noi le praticassimo», che fa di lui “un’opera” nella mano plasmatrice di Dio.

Per l’«uomo di Dio», che è strumento scelto da Dio per la Chiesa, l’ascolto fedele della parola di Dio è una necessità “vitale”.

La lettera, dopo queste sottolineature a favore dell’ascolto della Parola, si sposta sempre più sotto i segni della fine: martirio, tempo ultimo, ritorno, giudizio.

La parola della chiesa deve risuonare attraverso tutte le relazioni umane anche in vista della meta della vita personale e del compimento della Storia. Per coloro che amano la Parola nulla sarà più opportuno della venuta di Cristo («il beato ultimo giorno»), per coloro che non la amano, giungerà inatteso e indesiderato («come un ladro di notte»). Così anche la Parola della chiesa che risuona dall’eternità. Coloro che l’ascoltano con animo aperto comprenderanno l’atteggiamento di chi annuncia e vi riconosceranno l’incoraggiamento e la magnanimità di Dio.

Don Danilo

Settimana missionaria guidata da alcuni missionari della comunità di Villaregia

Inserito il 10 Ottobre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Carissime famiglie,
approfitto di una piacevole occasione per rivolgervi un caloroso saluto.

Dal 18 al 24 ottobre, accoglieremo nella nostra comunità parrocchiale quattro missionari della Comunità Missionaria di Villaregia, un’Opera nata nella Chiesa nel 1981, per l’evangelizzazione dei popoli. Ci proporranno di vivere insieme una settimana comunitaria e missionaria: momenti intensi di incontro, di spiritualità e gioia di condividere la nostra fede. Attraverso la loro presenza, vorremmo anche aprire gli orizzonti del nostro sguardo alla realtà della missione universale della Chiesa, conoscendone l’importanza, l’urgenza e la bellezza.

I missionari desiderano coinvolgerci in un’esperienza di incontro con Dio e tra noi, offrendoci alcuni appuntamenti che si rivolgeranno alle diverse categorie di persone che compongono la nostra comunità. Avremo modo di incontrarli personalmente e in momenti di gruppo, di rivolgere loro delle domande, di ascoltare dalla loro voce una testimonianza missionaria e uno stimolo a continuare gioiosamente e concretamente il nostro cammino di discepoli di Gesù.

Per chi desidera, ci sarà anche l’opportunità di ospitare uno di loro per un pasto e condividere così un momento semplice e familiare. Anche per quanto riguarda il pernottamento, i missionari sono contenti di ricevere ospitalità nelle famiglie.

Chi volesse accogliere un/a missionario/a, può rivolgersi a me, a don Stefano o al diacono Franco, dando la sua disponibilità.

Vorrei segnalarvi, tra gli appuntamenti che sono previsti:

Un’ora con Dio per il mondo: ci ritroveremo Sabato 23 pomeriggio in chiesa. Sarà un incontro di preghiera attraverso la meditazione della Parola di Dio e dell’adorazione eucaristica come momento di intercessione per il mondo. Per chi desidera ci sarà la possibilità di confessarsi.

Serata Missionaria – colori musiche e sapori d’altri popoli: venerdì 22 sera, presso la sala Giovanni Paolo II del Lux, conosceremo le ricchezze culturali di un popolo: la musica, i valori, le tradizioni che esprimono la sua vitalità… ma anche le problematiche che ne minano la speranza, per avere un cuore che batte a tempo con il cuore di Dio. Per ogni appuntamento è prevista una durata massima di un’ora e mezza.

Operazione saponetta: i missionari coinvol-geranno i nostri ragazzi nella raccolta di prodotti per l’igiene personale e della casa da inviare nelle loro missioni: Belo Horizonte e San Paolo (Brasile), Lima (Perù), Città del Messico (Messico) e Abidjan (Costa d’Avorio). Attraverso un volantino, le persone verranno avvisate del materiale che si intende raccogliere e del giorno in cui chi desidera potrà portarlo in un ambiente parrocchiale. Durante un pomeriggio, i ragazzi saranno invitati a dividere il frutto della raccolta per genere e a prepararlo nelle scatole per la spedizione. Avremo bisogno anche della collaborazione di qualche adulto.

Momenti particolari di incontro saranno le celebrazioni eucaristiche quotidiane e domenicali, durante le quali verrà sviluppata ogni giorno una breve riflessione missionaria, le visite agli ammalati, al catechismo, alla catechesi per adulti e con alcuni gruppi (Agesci, Missioni…)

Sono lieto di proporvi questa settimana, ricca di occasioni propizie per rinsaldare i vincoli di comunione già esistenti e per farne nascere di nuovi, tempo favorevole per stare un po’ con Dio e lasciarci affascinare nuovamente da Lui, momento per scelte importanti per noi e per riappropriarci della nostra chiamata missionaria. Su “lettera aperta” e sul foglio a questo dedicato trovate gli orari di tutte le iniziative e gli incontri.

Spero vivamente che questa iniziativa possa incontrare i vostri desideri di bene e possa contribuire alla nostra crescita cristiana.

Vi saluto tutti con particolare affetto, assicurando il ricordo nella preghiera a chi è visitato dalla sofferenza.

Cordialmente

Don Danilo

Dio, nostro Salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati

Inserito il 19 Settembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. (1 Tm 2, 1-5)
San Paolo ricorda a Timoteo che ogni cosa nella Chiesa ha inizio nella preghiera, e questa preghiera è a sua volta innanzitutto una preghiera universale, mondiale. La preghiera ecclesiale non è quindi in primo luogo una preghiera per la prosperità della Chiesa e dei suoi membri e secondariamente per tutti gli altri, ma il contrario: il mondo esterno è la prima cosa e la prosperità della Chiesa ne deriva di conseguenza.
Non sempre le nostra liturgie seguono rigorosa-mente questa indicazione.
La preghiera è, in concreto, preghiera per la comunità terrena. La Chiesa si presenta dinanzi a Dio pregando così in vista della sua missione. Essa prega dunque indirettamente per se stessa, proprio in quanto, per essere “testimone di Cristo” e “luce del mondo”, deve essere realmente luminosa. E può esserlo soltanto se la sua luce non è minacciata e spenta dalle tenebre dell’odio e della difensiva. Non le importa di essere perseguitata, ma che il mondo si converta. Non prega per il mondo con il proposito di essere lasciata in pace. L’impegno della Chiesa davanti a Dio è dunque aperto a tutto il volere di Dio; essa gli dice: «Fa’ questo e quello, affinché davanti a te io sia come tu mi vuoi». E questa apertura è appunto «tutta la pietà e la dignità» della vergine-sposa. È cosa gradita che la Chiesa tenda con piena dedizione a conformarsi alla volontà di Dio che “vuole che tutti gli uomini siano salvati”. L’accento è posto su «tutti»: la volontà di salvezza di Dio non ha limiti, e chiunque costruisce dei limiti non si adegua ad essa. Limiti della Chiesa nei confronti del mondo, limiti di un numero circoscritto di eletti, limiti di fondo, aprioristici…
Se coloro che pregano nella Chiesa dovessero sostenere quest’idea fissa (salvezza per pochi) per essere cattolici, Paolo non potrebbe dar loro l’incarico di pregare con sincerità, forti di tutta la speranza cattolica per tutti gli uomini. La speranza deve essere sconfinata quanto la dedizione. Dio è Padre per tutti gli uomini, ognuno è uomo perché ha lo stesso Dio di suo fratello: questa è la ragione dell’amore umano. La volontà di salvezza di Dio su di me è la volontà di salvezza di Dio su di te; come io posso amare me stesso grazie alla volontà di salvezza di Dio, così posso amare anche te; quello che mi auguro in modo incondizionato, lo auguro anche a te in modo incondizionato, che tu sia cristiano, ebreo o pagano. Paolo, in quanto «apostolo», presta insieme allo Spirito Santo una testimonianza totale: nulla in lui è menzognero quando si tratta della sua missione. «Verità» della missione è nello stesso tempo «autenticità» di colui che testimonia: la sua fede è nel contempo la sua fedeltà. Giungono infine indicazioni relative alla preghiera: in primo luogo “le mani alzate”. è l’atteggiamento di preghiera antico e universale, teso ad accogliere la benedizione che discende da Dio. Insieme all’anima anche il corpo deve poter parlare il suo linguaggio nella preghiera. Proprio gli uomini non devono avere qui delle «remore». «Sante» e pure sono le loro mani se il loro cuore è libero da «ira e contese». La preghiera cristiana può e deve aver luogo «dovunque», così come deve aver luogo «in ogni momento» e «incessantemente».

Don Danilo

Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori

Inserito il 12 Settembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento.
Ecco il vero Vangelo, di cui Paolo può parlare sempre soltanto personalmente e con traboccante gratitudine. è il miracolo incomprensibile della sua vita, da cui egli non riesce ad allontanarsi e a cui deve sempre far ritorno: il fatto che la grazia di Dio lo abbia «giudicato degno»! E la Grazia stessa era la fiducia, la mano tesa da Dio, la mano che rinfranca e che rafforza, che ha innalzato colui che era indegno rendendolo una persona interiormente capace, ricca e perciò degna, “nobile” in senso sovrannaturale. è  il miracolo della fedeltà eterna di Dio, che si fida di noi, che si affida a noi: questo è il vangelo della gloria.
Paolo torna sulla sua situazione precedente: “prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento”.
Da questa oscurità del peccato giunge colui che è stato chiamato e il suo passato gli resta nella memoria a glorificazione della grazia e per nessun altro motivo. Né per interesse psicologico in sé, né per incapacità di liberarsene. Allo stesso modo il cristiano (Agostino!) confessa il suo passato per esaltare la grazia. Neppure per porsi come modello di convertito.
San Paolo si sente parte di coloro cui è diretta la parola della croce: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Così anche l’essere portati dal buio della mancanza di fede alla sua luce meravigliosa, è la situazione normale; da qui si può intraprendere una missione, un apostolato. Diverso sarebbe se qualcuno peccasse nella fede, nella «conoscenza», dopo aver intrapreso la sua missione: costui perderebbe coscientemente, per quanto lo riguarda, la Grazia.
In questo effondersi al di là di ogni limite della Misericordia di Dio sta l’essenza della riflessione di Paolo: intende evidenziare il venir meno della proporzione, che ancora regnava nell’Antica Alleanza, tra grazia e merito. Fede in senso cristiano è perciò fede in Cristo, figlio di Dio, da cui deriva tutta la grazia del Padre, insieme alla fede e all’amore; ma anche fede e amore insieme con Cristo nei confronti del Padre. Dio Padre e Figlio e Spirito Santo ci fa partecipi della sua stessa Vita. Questa è «sovrabbondanza». Insieme con Paolo, con gratitudine, contempliamo con stupore il fatto incomprensibile che ci è accaduto.
“Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io”.
Non è lontano dal pensiero di Paolo leggere nella grandezza della grazia gratuitamente concessagli, la grandezza della perdizione, in cui la grazia ha brillato e tuttora brilla; perché la confessione è al presente. Damasco resta sempre attuale.
“Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia”: poiché Paolo è stato il primo peccatore, Dio lo ha reso un modello per dimostrare la «magnanima» grazia di Cristo.
Tutto infine sfocia nell’adorazione; la dimensione personale si libera in una formula liturgica di glorificazione e di ringraziamento che coinvolge tutta la Chiesa.

Don Danilo

Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore

Inserito il 5 Settembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

“Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”: così recita un versetto del salmo che pregheremo nella Santa Messa di oggi, 5 settembre.
Nell’occasione dell’inizio del nuovo anno pastorale questa invocazione è quanto mai provvidenziale.
è proprio importante vivere ogni giorno come un dono prezioso. Iniziare la giornata accogliendola dalle mani di Dio Padre e a Lui riconsegnarla prima di addormentarsi permette di prendere in mano l’agenda con i suoi mille “calendari” senza ansie, paure o pretese.
Ritrovare lo sguardo della fede in Cristo “dentro” il tempo dell’orologio e dentro la complessità dei nostri ritmi è un dono urgente per ciascuno di noi e una testimonianza per tutti.
“Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” significa saper rendere grazie per i quattro anni di ministero di don Marco in mezzo a noi e saper accogliere don Stefano.
“Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” significa custodire fedelmente la partecipazione all’Eucarestia domenicale e far crescere la “bellezza” dell’amore nelle nostre famiglie, grandi e piccoli.
“Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” significa desiderare di incontrarci per “leggere” insieme i fatti del nostro tempo alla luce della Parola di Dio e del Mistero Pasquale.
Un primo appuntamento in questa direzione sarà quello dell’assemblea parrocchiale di Domenica prossima, 19 settembre.
“Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” significa lasciarci educare da Dio nella scelta della gestione del nostro tempo. La sapienza del cuore permetterà di “fare” e di “dire”, di “pensare” in modo da orientare la vita nella stessa direzione, quella della Storia della Salvezza, della Bellezza, della potenza della Carità e della Misericordia.
Soltanto così ogni giorno sarà “luminoso”anche nei momenti più duri e tenebrosi.
Sì, Signore, ne abbiamo proprio bisogno: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”.

Don Danilo

Voi vi siete accostati alla città del Dio vivente

Inserito il 29 Agosto 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

“Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.” (Ebrei 12,18-19.22-24)

Anche se non è possibile stabilire una perfetta antitesi tra le due descrizioni, tuttavia il senso generale di questo dittico è chiaro. La vecchia alleanza e la relativa rivelazione di Dio avvenuta nel contesto del monte Sinai sono contrassegnate dalla paura.
La nuova alleanza siglata nel sangue di Gesù, è una esperienza gioiosa di festa, caratterizzata dalla partecipazione alla salvezza definitiva.
Il mediatore dell’alleanza nuova è Gesù che con “l’aspersione del suo sangue” attua la piena riconciliazione e l’incontro salvifico con Dio, inaugurando l’accesso definitivo alla Gerusalemme celeste.
I particolari della prima visione sono una raccolta di elementi desunti dai testi biblici che descrivono la rivelazione di Dio al monte Sinai o Horeb. Del resto il fuoco e la tempesta sono i simboli ricorrenti.
Però il nostro oratore non si limita a trascrivere i testi biblici, ma li rilegge in vista della comunità alla quale rivolge il suo discorso. L’autore della lettera richiama il rifiuto del popolo ai piedi del Sinai ad ascoltare la «Parola». Questa precisazione prepara l’avvertimento successivo sul rischio che corrono i cristiani di subire una più grave condanna se seguiranno l’esempio degli ebrei che ricusarono la voce di colui che parlava loro tramite Mosè.
Più complessa è l’identificazione di alcuni particolari del secondo quadro, quello della nuova alleanza. È facile rilevare la disposizione scenica dei vari particolari: le prime tre espressioni tratteggiano il «luogo» (monte Sion, Città del Dio vivente, Gerusalemme celeste); le tre successive, descrivono “l’assemblea celeste”, “angeli”, “primogeniti e giusti resi perfetti”.
Sorge un interrogativo per queste tre espressioni che presentano l’assemblea celeste: si tratta della chiesa terrena storica, o di quella ideale celeste e escatologica?
Probabilmente il nostro autore non si pone questa alternativa. E’ annunciata la Chiesa come realtà globale e definitiva alla quale partecipano i cristiani. Questo incontro nell’assemblea celeste dove si trova il santuario di Dio e la comunità dei salvati è reso possibile dal sangue di Gesù che con la sua morte accolta liberamente ottiene perdono e salvezza per i membri della nuova alleanza.
L’intera esistenza cristiana, accolta come dono di Dio, vissuta nella fedeltà, è il culto accetto a Dio. L’impegno con il Dio vivente non è un hobby o un passatempo per gente sfaccendata o volubile, ma una scelta seria e irreversibile che abbraccia l’intera esistenza.

Don Danilo

Vivere la “prova” perché il piede “zoppo” guarisca

Inserito il 22 Agosto 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

“«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio». Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire” (cfr. Ebrei 12,5-13).

Questo “passaggio” della Lettera agli Ebrei affronta la delicata tematica dell’«educazione» divina dei figli “attraverso le prove”. Non dimentichiamoci che essa fa seguito alle affermazioni sull’esperienza vissuta da Gesù, il Figlio, che “attraverso quello che patì esperimentò la fedeltà”.
Qui il rapporto educativo “padre-figlio” è ricostruito secondo i criteri dell’antica pedagogia che prevedeva il ricorso a sistemi preventivi e rigorosi. È proprio dentro la cornice di questo sistema educativo che si può inserire il discorso del nostro autore, il quale desidera offrire una riflessione sul senso delle prove, tribolazioni o sofferenze dei cristiani.
Le conclusioni della sua argomentazione, che si avvale del metodo dell’analogia, si possono riassumere così:
1. le sofferenze sono un «segno» del rapporto di figliolanza con Dio, perché solo verso i figli veri si rivolge la cura pedagogica-disciplinare dei genitori (-> Dio Padre).
2. l’educazione o pedagogia divina a confronto di quella terrena o umana ha questo vantaggio: è fatta da un Padre che in quanto «celeste» ha di mira il bene definitivo dei suoi figli che consiste nel partecipare alla sua santità, alla sua pienezza di vita.
3. quindi nonostante l’attuale crisi o sofferenza che provoca questa pedagogia divina essa alla fine produrrà un frutto eccezionale: una vita corrispondente alla divina volontà, garanzia della pace o salvezza definitiva.
Questo modo di affrontare il problema delle sofferenze o tribolazioni cristiane ha una sua logica quando si sono accettati i criteri dell’antica pedagogia (che suscitano legittime perplessità e riserve al confronto con le moderne scienze dell’educazione).
Ma il problema non è qui. Il rischio è quello di semplificare il paragone utilizzato dal nostro autore tra pedagogia umana e divina, e concludere che Dio è Padre perché «rimprovera e castiga» i suoi figli e tanto più si rivela buono e paterno quanto più li “riprende”.
Il paragone condotto alle sue estreme conseguenze porterebbe ad attribuire a Dio le sventure e disgrazie o le sofferenze e tribolazioni che colpiscono i credenti. Se in una visione teologica astratta si può far rientrare “tutto quello che capita” nel disegno di Dio, resta il fatto che le criminalità umane, fonte spesso di sofferenza e dolori, come nella morte di Gesù, non possono essere semplicisticamente giustificate sulla base del “destino”.
Solo in un contesto di fedeltà, sulla linea di Gesù (il Figlio fedele anche nelle prove) le sofferenze che accompagnano l’esistenza dei credenti possono diventare un invito a riscoprire il nuovo rapporto con Dio Padre in un contesto là dove la fede viene purificata anche dalle sue scorie di illusione e di interessi superficiali. In altre parole l’efficacia della «pedagogia» divina delle prove suppone già quella scelta di fede e fedeltà che trova in Gesù la sua sorgente (e nei padri dell’Antico Testamento e nei Santi i testimoni). Certamente queste considerazioni entrano in un percorso delicato ma estremamente concreto e quotidiano. Un percorso da approfondire, da leggere con gli occhiali del nostro tempo, ma inevitabile. Le prove di ogni giorno non si possono eludere. O le “attraverso” nella fede di un figlio che si affida a Dio Padre oppure vivrò l’illusione della mia presunta onnipotenza seguita da un’inutile fuga, deluso davanti all’incapacità di avere in pugno il cammino della vita.

Don Danilo

A ottobre arriverà don Stefano!!!

Inserito il 15 Agosto 2010 alle ore 08:00 da webmaster

Vi annuncio che il Patriarca ha nominato nuovo cappellano di Carpenedo don Stefano Cannizzaro, trasferendolo da San Lorenzo m. di Mestre. Accompagniamolo con la preghiera e con la simpatia con le quali continuiamo a fare il “tifo” per don Marco.

Nato al Lido di Venezia il 25 gennaio del 1977, don Stefano è cresciuto nella parrocchia di Sant’Antonio. Entrato in Seminario in prima media, è stato ordinato sacerdote il 22 giugno del 2002. Ha cominciato la sua attività pastorale come vicario parrocchiale a Catene di Marghera, e nel frattempo ha conseguito il baccalaureato in Teologia presso l’Istituto Laurentianum dei Cappuccini al Redentore, e si è iscritto al corso di Diritto Canonico dello Studium Generale Marcianum a Venezia. A settembre del 2004 ha ricevuto dal Patriarca Scola l’incarico di vicario parrocchiale a San Lorenzo di Mestre. Ha seguito in particolare il settore della catechesi dei bambini e dei ragazzi, quello dei fidanzati, degli sposi e delle giovani coppie, e tutto il settore della carità. E’ appassionato e versato per le scienze informatiche. In base alle voci che girano si dice sia “juventino”…

Ringraziare per il dono di un prete e accogliere il dono del suo “successore” chiama a “raccolta” una famiglia. Questi fatti aiutano a rendersi conto, ancora una volta, che nulla è scontato, tutto è “nuovo” quando è segnato dallo stupore e dalla passione del Vangelo.
Chiediamo a Dio il dono della Santità per i nostri preti, per la nostra comunità. Non è più il tempo di mezze misure, non ci è più permesso di “accontentarci” del minimo. Lo Spirito Santo soffia e invia in missione.
Oggi la Storia ci domanda un Amore sempre più autentico, forte e fedele per nostro Signore Gesù e per le persone che la vita ci fa incontrare.
O Signore Gesù, dona alla nostra comunità di essere sempre “il luogo dell’incontro con Dio e con l’altro” per “riempire di futuro e di speranza” ogni persona: i bambini, i vecchi, i “morosi”, i poveri, gli ammalati, le persone sole, i giovani e gli sposi…    Grazie don Marco. Benvenuto don Stefano.

Don Danilo

La FEDE: fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede

Inserito il 8 Agosto 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Il primo versetto del cap. 11 della lettera agli Ebrei descrive la FEDE in termini chiari: “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”. Questa frase iniziale non può essere separata da tutto il capitolo 11, dove si “racconta” la fede.
La fede dei padri, di Abramo, di Mosè e dei martiri che perseverarono nelle prove in vista del compimento futuro, è fondata sulla promessa del Dio fedele.
L’accento non è posto tanto sulla “stabilità” della fede; quanto sul suo dinamismo, sulla sua apertura al “futuro definitivo” come «cose sperate» o «realtà invisibili».
Questo aspetto verrà continuamente marcato nel tratteggiare il profilo spirituale dei “padri”: Abramo, i patriarchi e Mosè sono quelli che guardano alle realtà promesse da Dio, quelle definitive o ultime e per questo possono perseverare nella loro scelta di fede, possono mettersi in cammino. L’autore della lettera agli Ebrei non offre una definizione astratta, ma una descrizione che illumini la vita quotidiana a partire dalla storia della salvezza. La fede è la condizione per entrare in relazione vitale con Dio. Dio non è un oggetto «dottrinale» della fede, ma una realtà personale alla quale l’uomo si apre con l’ascolto, la fiducia, la risposta. La presenza di Dio rientra in quelle «realtà» che non si vedono, ma di cui la fede dà la certezza; la sua azione efficace e salvifica, che risponde alle attese profonde dell’uomo, fa parte di quelle «cose che si sperano» e delle quali la fede dà la garanzia.
Il racconto giunge ad Abramo. Per la tradizione cristiana primitiva Abramo è il padre della fede. Il cammino di fede di Abramo inizia con la «partenza», l’uscita dal suo passato sicuro per andare verso un futuro che egli non conosce, ma che gli è solo promesso come «eredità», cioè un bene da trasmettere alla discendenza: all’origine di questa partenza c’è la chiamata di Dio alla quale Abramo aderisce prontamente. Questa prima fase è caratterizzata dal movimento che va dal posseduto a quello che non è posseduto, da “quello che si vede e conosce” all’invisibile e sconosciuto. La stessa tensione si esprime nella contrapposizione tra abitare nella tenda da straniero nel paese promesso e l’attesa della «città» dalle solide fondamenta progettata e costruita da Dio.
La seconda fase si svolge attorno al tema della «discendenza». Anche in questa sequenza è palese il contrasto tra la sterilità da una parte e la potenza di generare la tensione tra la morte e la vita, tra uno solo e la moltitudine dei discendenti. Ancora una volta il passaggio o il superamento avviene grazie alla «fede» che si appoggia alla potenza e fedeltà di Dio.
Il terzo momento, quello della prova, rappresenta il vertice dell’espressione e forza della fede.
Qui la tensione raggiunge l’acme perché sembra che Dio stesso voglia distruggere il pegno del futuro promesso chiedendo il sacrificio di Isacco. Il superamento della crisi avviene in forza della fede di Abramo che si fida della «potenza» di Dio che risuscita i morti. La conclusione di questa sequenza fa intuire uno scorcio “cristiano” della fede di Abramo: egli per la fede ritrova non solo il figlio della promessa, ma il figlio «risuscitato» da Dio. In questo l’autore cristiano intravede un’anticipazione profetica della vicenda di Gesù.

Don Danilo

Don Marco sarà Parroco

Inserito il 27 Luglio 2010 alle ore 22:34 da Don Danilo Barlese

Carissimi/e,
nel cuore dell’estate ci raggiunge l’annuncio della nomina a Parroco del nostro don Marco.
La notizia da un lato ci riempie di letizia e di soddisfazione perché questo nuovo ministero dona ad un sacerdote la responsabilità della cura della “famiglia allargata” di una determinata comunità.
D’altra parte il cuore prova dispiacere perché si dovrà concludere un cammino pastorale comune con un compagno di strada generoso, discreto e intelligente.
L’appartenenza alla Chiesa di Venezia ci spinge ancor più a custodire i frutti delle esperienze condivise in questi quattro anni e a cercare i luoghi e le occasioni per nuovi momenti di incontro e di impegno comune.

Caro don Marco,
sono certo che tutto il tempo donato in mezzo a noi porterà frutti abbondanti che passeremo nelle mani anche del nuovo cappellano (il cui nome conosceremo a fine agosto).
Il distacco porta con sé sempre un sacrificio e una sofferenza nel campo degli affetti: soprattutto, ne sono certo, in tanti ragazzi e ragazze, in tanti giovani e adulti, che hanno potuto trascorrere con te giornate e momenti importanti per la loro vita e per la crescita nella fede.
Io ringrazio insieme con te il Signore per il dono che sei stato e che sei per la nostra comunità di Carpenedo e per il nostro vicariato, per tutte le Sante Eucarestie che hai presieduto per noi, per tutti i giorni trascorsi insieme, a servizio del Vangelo, con semplicità, con sempre maggiore “complicità”, con gioia.
Il Patriarca ti ha chiesto di diventare segno del “Pastore Buono” per la comunità cristiana dei Ss. Francesco e Chiara di Marghera (mantenendo i precedenti incarichi diocesani nella pastorale sociale).
Noi preghiamo per te, perché il Signore ti sostenga e ti illumini in questa nuova avventura.
Tu continua a pregare per noi perché Gesù, il Crocifisso Risorto, ci doni di crescere nella santità e di edificare una comunità cristiana secondo la sua volontà.

Saluteremo e ringrazieremo coralmente don Marco a settembre e nel mese di ottobre lo accompagneremo al suo ingresso come Parroco in quel di Marghera.
Negli stessi giorni accoglieremo il nuovo cappellano, anzi fin d’ora preghiamo il Signore per lui, (chiunque il Signore ci manderà).

Nel frattempo la parola più adeguata è sempre “GRAZIE”. “Grazie” per aver condiviso un tratto di strada con il mistero della vocazione di un prete che ci ha testimoniato il suo amore per Gesù, per la Chiesa, per il mondo.
Invochiamo insieme il dono inestimabile di vocazioni alla vita consacrata nella nostra Chiesa di Venezia e nella nostra comunità parrocchiale, pronti ad accompagnare tutti, anche fossero… milanisti!

Don Danilo

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